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“LEÇONS SUR LES PHÉNOMÈNES DE LA VIE”

             Autore: Francesco Domenico Capizzi*  

Ritorno al passato: mi vesto nei panni di un famoso chirurgo del tardo XIX secolo per impartire una lezione accademica di Clinica chirurgica a Vienna. Si svolge nell’anfiteatro del Policlinico davanti ad aiuti-chirurghi che occupano le prime file insieme ad assistenti e chirurghi in formazione. A seguire, sugli spalti, gli studenti della Facoltà medico-chirurgica. Una disposizione topografica che corrisponde alla gerarchia di funzioni e responsabilità. 

Gli applausi accolgono l’ingresso del docente mentre gli inservienti si apprestano a collocare sulla cattedra due arcelle ed una larga bacinella ricoperta da uno spesso telo bianco. Fra coltelli, forbici, specilli, pinze, flanelle ed ampolle campeggia un bernoccoluto pezzo anatomico grigiastro, stranamente opaco, immerso in una soluzione di formolo che, volatilizzatasi, raggiunge l’olfatto di tutti. Servendosi di pinze il docente dispone il reperto su un telo prima di prendere la parola.

“Come già sapete si tratta del segmento di stomaco asportato ieri ad una giovane donna la quale da mesi accusava un’astenia ingravescente che ha convinto il medico condotto a disporre il ricovero in ospedale. La malata, emaciata con polso flebile e frequente, presentava una tumefazione palpabile all’epigastrio che non lasciava dubbi sulla diagnosi: un cancro dello stomaco. Nei nove casi precedenti, purtroppo non operabili, l’esame istopatologico seriato ha dimostrato che il fenomeno neoplastico è il risultato di gradi successivi di degenerazione cellulare, che potrebbero durare anni. Questi malati, accomunabili nella semeiotica, nell’istopatologia e nelle condizioni sociali e lavorative, conducono ad un orientamento sull’etiopatogenesi della malattia focalizzata sugli effetti della povertà e del lavoro protratto in concerie ed ambienti saturi di vapori di carbon fossile e petrolio. Eppur dobbiamo tener conto di altre esperienze: la famiglia di Napoleone, fratelli e sorelle, il padre e lo stesso Imperatore, tutt’altro che appartenenti a classi disagiate, morirono per cancro gastrico. 

Codesta familiarità sembrerebbe conferire credito all’ipotesi ereditaria o quanto meno all’influenza di comuni lussuriosi stili di vita. Ma, attenzione! La genesi ereditaria delle neoplasie non mette in conto la pressione che l’ambiente esterno esercita in ogni istante sull’equilibrio dell’intero organismo, che trova la sua stabilità nell’omeostasi descritta nel 1778 dal professor Claude Bernard in “Leçons sur les phénomènes de la vie”. Grazie a queste ricerche possiamo affermare oggi che l’origine di ogni malattia, e prima di tutto la neoplasia, poggia sulla rottura dell’equilibrio omeostatico, che consiste nel governo di cellule, composizione dell’organismo e del suo adattamento all’ambiente esterno fino all’evoluzione della specie e alla continuità della vita. Ora, se lo squilibrio dipendesse soltanto dallo spontaneo discostamento dalle condizioni naturali, la malattia assumerebbe il valore di una casuale anomalia responsabile della lesione neoplastica. Consisterebbe in una semplice variante patologica dell’anatomia, oggettiva e indipendente dai condizionamenti esterni. In tal modo la patologia risulterebbe racchiusa nel guasto di un organo, in questa massa opaca qui posta: un incidente ineludibile dell’esistenza. Quest’ipotesi, che potremmo definire oggettivista, elide il valore della soggettività cristallizzando la vita nella sola dimensione biologica: la malattia come conseguenza di fatalità e sventura. Se, al contrario, gli squilibri omeostatici e le corrispondenti lesioni si inquadrano nella storia della persona, i confini della Medicina si espandono oltre l’Ospedale e la neoplasia. In quest’ipotesi salute e malattia rispecchiano le modalità di vita nelle specifiche condizioni sociali e nel contesto ambientale. Questo punto di vista potremmo definirlo soggettivista

Però le due ipotesi, oggettivista e soggettivista, non devono risultare antitetiche, ma integrabili fra loro coesistendo fattori predisponenti individuali accanto ad agenti patogeni esterni. L’evoluzione scientifica e tecnologica, i progressi della Chirurgia, e ciò vale anche per l’intervento da noi eseguito, espongono al rischio dell’orientamento esclusivo verso l’azione diagnostico-terapeutica provocando involontariamente un cono d’ombra sulle primitive cause di molte malattie”.  

Nell’immaginazione questa lezione intende riflettere il pensiero di Theodor Billroth, come testimoniato da un messaggio di Nicolàs Pirogoff dopo il congresso internazionale di Chirurgia celebrato a Vienna nel 1881: “Voi, caro Theodor, siete il primo a dire tutta la verità sui risultati che la Chirurgia è in grado di conseguire dispiegando un’analisi rigorosa dell’esperienza. Avete ragione Voi, stimatissimo Theodor, la Chirurgia, che entrambi amiamo, deve essere considerata l’ultima difesa contro le malattie. La prima spetta ai progressi sociali e alle correzioni del modo di vivere”. In epoca positivista un’enormità l’affermazione del grande chirurgo pietroburghese, che rilancia, dopo un secolo, l’affermazione di un altro grande chirurgo e docente nelle Università di Glasgow e Londra, John Hunter: “la Chirurgia è come un’azione armata che conquista con la forza ciò che una società civilizzata potrebbe ottenere mediante una strategia” (M. Roberts, John Hunter, Med. Press, London 1929). Evidente la contrapposizione culturale a “l’’uomo si distingue soltanto per i suoi meccanismi complessi” del medico francese Julien Offray de la Mettrie (1748) e la totale divergenza con “l’uomo delinquente in rapporto all’antropologia e alla psichiatria” di Cesare Lombroso (Bocca, Torino 1897, 5a ed.). Ma davvero l’Uomo in carne ed ossa va assimilato ai Meccanismi complessi delle statue semoventi delle cattedrali di Monaco di Baviera, Praga,  Messina, Venezia e all’uomo delinquente, come risultò Lombroso, alla sua morte secondo i suoi stessi parametri antropometrici, va addossata tutta la responsabilità del suo stato oppure va riconosciuta una tolstoiana responsabilità nell’organizzazione sociale? 

Una risposta si ottiene considerando l’origine della malattia, la quale non risiede solamente in mutazioni del DNA addebitabili a modifiche epigenetiche, anch’esse, si ipotizza, sottoposte alla pressione di una pluralità di agenti fisici e di fattori socio-economici e culturali. 

In questo paradigma risiedono i risultati deludenti della Chirurgia oncologica a distanza di 140 anni dalla prima resezione gastrica di Billroth: la Chirurgia possiede un ruolo del tutto centrale nella terapia dei tumori solidi,  pur con i limiti imposti dal preponderante teso della biologia, con circa il 50% di guarigioni. La ricercata e travagliata radicalità chirurgica non coincide con la radicalità biologica delle cellule neoplastiche nonostante le tecnologie innovative diagnostico-terapeutiche, comprese le manovre mininvasive, laparoscopiche, toracoscopiche e robotizzate, che riducono le sofferenzepostoperatorie e i periodi di convalescenza, ma risultano inefficaci sui tempi liberi da tumore e sulle aspettative di vita. L’entusiasmo suscitato dalle nuove tecnologie non contribuisca ad offuscare la strada che conduce alle origini della malattia neoplastica. Le convinzioni di Bernard, Hunter, Pirogoff e Billroth si proiettano nella nostra contemporaneità.

  • già docente di Chirurgia nell’Università di Bologna e direttore della Chirurgia generale degli Ospedali Bellaria e Maggiore di Bologna

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