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Donne sole e invisibili

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Donne sole e invisibili

da La Repubblica

Non è questione solo di nascite. Guardare alle previsioni demografiche prodotte dall’Istat per i prossimi 20-40 anni deve significare capirne l’impatto sociale, i nuovi bisogni che si creeranno, le risposte di welfare indispensabili. E bisogna cominciare da oggi ad agire. Altrimenti, il tempo passa, i problemi si incancreniscono e sarà sempre più difficile sradicarli, perché diventano strutturali.
I dati ci dicono che nel 2043 le persone che vivranno sole raggiungeranno i 10 milioni 700 mila e le famiglie composte da madri sole con figli saranno 2 milioni 300 mila, 1 milione quelle formate da madri sole, con uno o più figli minori di 20 anni.
Tra le persone sole una componente importante sarà rappresentata dagli anziani, come già sta succedendo ora. Oltre i 75 anni saranno soprattutto donne, sia perché vivono più a lungo, sia perché si sposano solitamente con uomini di qualche anno più anziani di loro ed hanno, quindi, una più alta probabilità di rimanere vedove. Nel 2043 saranno 3 milioni le donne sole di questa età, 860 mila in più di adesso.
Tale segmento è già oggi particolarmente vulnerabile da un punto di vista economico, il 28,5% è a rischio di povertà o esclusione sociale. Lo è dal punto di vista della salute e dei bisogni di assistenza, perché sta in peggiori condizioni sia in termini di multicronicità che di disabilità. Lo è dal punto di vista del rischio di solitudine, dato il forte logoramento e lariduzione dell’estensione delle reti di aiuto informale soprattutto familiari, alimentato dalla permanente bassa fecondità.
Poco si sta facendo per far fronte a questa grave criticità. Eppure il problema già esiste.
Basta pensare alla vicenda della riforma sulla non autosufficienza, che è stata varata nel 2023 e che necessitava di 7 miliardi, ma che non è stata finanziata dal governo neanche con 1 euro. Basta pensare alla riduzione della platea dei percettori di sostegno contro la povertà.
Le madri sole con figli rappresentano un altro segmento di famiglie da attenzionare, perché particolarmente vulnerabile e a rischio di povertà ed esclusione sociale, che coinvolge sia le madri che i figli. I dati dell’Istat mostrano che tali famiglie monoparentali hanno maggiori difficoltà a far fronte ad imprevisti di natura economica, a riscaldare la casa in modo adeguato, a permettersi almeno una settimana all’anno di vacanza lontani da casa, o a pagare le bollette. Rischi questi che derivano anche da una condizione lavorativa più difficile e precaria.
Le madri sole a rischio di povertà o esclusione sociale sono il 31,6%, se hanno figli minori il dato arriva al 41,9%. Soprattutto i nuclei monogenitore che si formano all’indomani di una separazione o di un divorzio si trovano in questa situazione. La separazione è spesso un momento di passaggio verso la povertà. Le madri che hanno bisogno di un assegno di mantenimento per i figli sono anche vittime di mancati pagamenti, o per difficoltà oggettive dell’ex marito, impoverito anche lui dalla separazione, o, purtroppo, anche per altri motivi. In altri Paesi l’assegno di separazione viene anticipato dallo Stato. In Italia no. Di questa tipologia familiare si parla assai poco.
Eppure è una delle più colpite dalla povertà.
Queste due tipologie familiari sono invisibili nelle politiche di questo governo. Di loro non ci si occupa. Per motivi ideologici, si resta ancorati ad un unico modello famigliare, le coppie con figli, preferibilmente due o più, che non rappresentano né rappresenteranno in futuro la maggioranza delle famiglie, ma una delle forme familiari esistenti.
E non a caso stiamo parlando di due tipologie con a capo donne. Se indaghiamo e andiamo a fondo nelle pieghe di tanti problemi sociali e demografici, comprese le nascite, ritroviamo al centro il grave disagio delle donne.
Affrontare i loro problemi pare, a taluni, uno spreco di risorse, o inutile assistenzialismo. Al contrario, dobbiamo imparare una volta per tutte che investire sul tenore di vita, sulla cura, sul bisogno di lavoro negato a metà della popolazione femminile, sul loro benessere, richiama innanzitutto a un dovere perequativo uno Stato democratico e civile. Ma comporta anche un ritorno non solo in termini di qualità della vita per l’intera collettività, ma anche di nuova linfa per l’economia del Paese.

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