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Università israeliane, una lunga complicità

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Università israeliane, una lunga complicità

da © 2024 il manifesto

– Paola Rivetti, Professore associato di politica e relazioni internazionali, Dublin City University

24.10.2024

Il nuovo libro di Maya Wind «Torri d’avorio e d’acciaio», edito da Alegre, spiega le ragioni del boicottaggio degli atenei

Il libro di Maya Wind Torri d’avorio e d’acciaio, (Alegre, pp. 320, euro 18) viene pubblicato in italiano in un momento tragico che, paradossalmente, è però il migliore visto il dibattito che suscita la richiesta di sospendere le collaborazioni istituzionali con le università israeliane, arrivata in questo ultimo anno ancora più forte da studenti, da lavoratrici e lavoratori di tutto il settore della ricerca in Italia e nel mondo. Perché proprio le università? L’accademia è il luogo del libero dibattito per eccellenza e ricercatrici e ricercatori sono, da che mondo è mondo, una comunità professionale liberale e progressista. Perché, allora, «punirla» con un boicottaggio?

Maya Wind, studiosa israeliana presso l’Università della British Columbia, smonta i pregiudizi positivi che sottendono a queste domande. Dimostra che non solo gli accademici fornirono nel 1948 e forniscono tuttora giustificazioni morali e legali per le numerose violazioni del diritto internazionale commesse da Israele, ma anche che sono complici nel perpetrare atrocità, crimini di guerra e atti genocidari attraverso la teorizzazione di strategie militari e la produzione di armi e tecnologia bellica. La complicità, dice Wind, è connaturata al sistema accademico israeliano, sempre più indistinguibile dall’esercito e sempre meno indipendente dal potere politico. Infatti, le autorità accademiche hanno nel corso dei decenni cooperato con governi, servizi segreti ed esercito anche per eliminare le voci critiche interne, persino con arresti, come accaduto a Nadera Shalhoub-Kevorkian, collega internazionalmente conosciuta e rispettata.

IL LIBRO È DIVISO in due parti, intitolate «complicità» e «repressione», a loro volta divise in sei capitoli che dettagliano, con numerosi esempi desunti dal lavoro archivistico e di indagine storica dell’autrice, la centralità dell’accademia israeliana nel perpetrare un vero e proprio «epistemicidio» nei confronti dell’accademia e dei saperi indigeni palestinesi, nell’esproprio sistematico di terra e risorse palestinesi (non dimentichiamoci, infatti, che le università sono anche luoghi fisici che occupano spazio), come nel veicolare una sempre maggiore presenza dell’esercito nei campus. L’Idf è infatti investitore, riceve formazione e forma a sua volta studenti. Si tratta di un vero e proprio complesso universitario-militare- industriale, Wind sostiene, che reprime e silenzia ogni voce contraria.

La seconda parte del libro analizza come i saperi prodotti da colleghe e colleghi israeliani servano alla riproduzione di regimi di conoscenza vigilati, perimetrati, che sistematicamente delegittimano ogni critica anticoloniale, avvallando razzismi, islamofobia e suprematismo ebraico, e rimuovendo l’esistenza stessa di cittadini israeliani arabi e palestinesi. La repressione si abbatte contro gli studenti, soprattutto se palestinesi. Non solo per gli e le palestinesi il diritto all’istruzione superiore è continuamente messo in discussione perché inappropriato o addirittura pericoloso per la sicurezza nazionale, ma la stretta sorveglianza alla quale sono sottoposti è un vero e proprio laboratorio per simili regimi di controllo sulla popolazione più ampia. Questo capitolo sarà molto utile a chi pensa che i palestinesi cittadini di Israele abbiano gli stessi diritti dei cittadini ebrei di Israele e che la definizione di «apartheid» sia inappropriata nel caso israeliano.

IL CAPITOLO CHE CHIUDE il volume è dedicato allo strangolamento burocratico, militare, epistemico delle università palestinesi nei Territori palestinesi occupati da Israele. È bene ricordare che a Gaza non esistono università e scuole funzionanti dall’ottobre 2023, e che centinaia di migliaia di bambini e studenti sono deprivati del diritto allo studio, e da molto tempo. Non esistono infatti libertà accademica e diritto allo studio sotto occupazione; la loro mancanza garantisce il mantenimento del sistema accademico israeliano analizzato da Wind. Infatti, i benefici tratti dall’accademia israeliana in termini di fondi pubblici e privati, usati per mettere in sicurezza il regime di occupazione e apartheid dal punto di vista militare, architettonico, archeologico, giurisprudenziale, antropologico e quant’altro, non esisterebbero se non esistessero l’occupazione e l’apartheid. Per questo, Wind definisce l’accademia israeliana «contro la liberazione».

Il libro di Wind si basa su solide fonti storiche: ora che conosciamo la storia, Wind interroga le nostre responsabilità. Sostiene che l’adesione al pacbi (la campagna palestinese per il boicottaggio accademico e culturale di Israele) è necessaria non solo per spezzare un sistema internazionale di complicità e omertà, ma anche per spingere le università israeliane a non rendersi strumento della sistematica violazione dei diritti umani dei palestinesi e della libertà accademica dei colleghi e colleghe critiche delle politiche israeliane.

Come Ilan Pappe disse una volta, il boicottaggio serve anche a ridare dignità agli accademici israeliani, spingendo le università a diventare laboratori democratici di dibattito per tutta la comunità, studenti palestinesi inclusi, protetti da rettori che sono al servizio non del governo ma della popolazione.

© 2024 il manifesto

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