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La diversità è una ricchezza, non un pericolo!

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La diversità è una ricchezza, non un pericolo!
Autore: redazione di Tempi di fraternità

Se oggi fossero in vita Gandhi e Aldo
Capitini li arresterebbero (fino a 15
anni per resistenza attiva; fino a 4
anni per resistenza passiva – nuovo
reato, ribattezzato “anti-Ghandi”).
E se oggi tornasse Gesù al tempio lo arresterebbero
per opposizione alle grandi opere.
C’è poco da scherzare ma quello che é stato
battezzato Decreto Sicurezza n.1660 (che qualcuno
ha soprannominato “leggi super fascistissime”)
se la prende, con una certa acrimonia,
con i più deboli, sempre più condannati alla
sofferenza, all’indigenza: con i senza casa (carcere
fino a 7 anni per chi occupa una casa sfitta
o solidarizza con le occupazioni), gli immigrati
sbarcati sulle nostre coste (vietato a quelli
senza permesso di soggiorno finanche l’uso del
cellulare, vincolando l’acquisto della SIM al
possesso del permesso), i detenuti (le proteste
in carcere o nei Cpr possono essere punite col
carcere fino a 20 anni), le donne e i bimbi di
etnia Rom (carcere immediato anche per le
madri incinte o con figli di età inferiore a un
anno), solo per fare alcuni esempi.
Oltre alla dignità umana calpestata da questo
Governo, stiamo assistendo ad uno smantellamento
dei diritti sanciti dalla Costituzione
italiana: si pensi solo all’articolo 17 che recita
“I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente
e senz’armi. Per le riunioni, anche
in luogo aperto al pubblico, non è richiesto
preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico
deve essere dato preavviso alle autorità, che
possono vietarle soltanto per comprovati motivi
di sicurezza o di incolumità pubblica”,
oppure all’articolo 40 “il diritto di sciopero si
esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”
(il blocco stradale e quindi gli scioperi diventano
reato penale con condanne fino a 2
anni di carcere). Sembra la demolizione pezzo
per pezzo della democrazia reale.
Tutto ciò per nascondere problematiche irrisolte,
smantellando di fatto il “welfare state”,
cioè il complesso di politiche pubbliche mes-
se in atto da uno Stato che interviene in un’economia
di mercato per garantire l’assistenza e
il benessere (welfare per l’appunto) dei cittadini,
intervenendo così sulla distribuzione dei
redditi causata dalle forze del mercato stesso
(fonte: www.edenred.it/welfare-aziendale/
welfare-state-caratteristiche/).
Così facendo il Governo in carica in questo
momento mette la testa sotto la sabbia come
gli struzzi:
• non risolve il problema della casa, delle famiglie
che non sanno dove andare a vivere,
degli sfrattati, dell’alto numero di appartamenti
sfitti nelle grandi metropoli, e degli
affitti esosi per chi si trasferisce per motivi
di lavoro o di studio da una città ad un’altra;
• non dà risposte serie e concrete al sovraffollamento
delle carceri, alle inumane condizioni
di vita ed ai suicidi dei detenuti, nonché
al disagio delle guardie carcerarie e degli
altri operatori che in carcere lavorano;
• non si prende cura degli immigrati stranieri
che sbarcano da noi, facendo finta che non
esistano, anzi li trattano violando con cattiveria
i loro diritti. Anche quello così importante
di poter comunicare con i propri cari
attraverso un cellulare;
• non dà delle certezze al ceto medio che lavora
ma che, spesso, non arriva a mettere
assieme il pranzo con la cena e che quotidianamente
frequenta con la famiglia le varie
caritas territoriali;
• distrugge l’ambiente circostante, punendo
chi si batte e manifesta contro le cosiddette
Grandi Opere come il Tav, oppure i giovani
studenti che fino a pochi anni fa studiavano
ecologia a scuola nella cosiddetta Educazione
Civica. E chi si impegna in tal senso con
manifestazioni e volantinaggio è punibile
fino a 6 anni, essendo considerato questo
“terrorismo della parola”.
Un dato che lega tutti gli aspetti del decreto
è la negazione del conflitto che viene represso
e coloro che lo praticano vengono considerati
come nemici.
In realtà il conflitto sociale consente, come
ci ricorda Bauman, l’espressione dei subalterni
e delle vite di scarto e la lotta per la propria
dignità è il motore che produce inclusione ed
emancipazione. È attraverso il conflitto che
nascono e si esercitano i diritti. Il conflitto è
fondamentale in una democrazia sana. Con la
mobilitazione e la lotta si sconfigge la rassegnazione,
l’apatia, l’indifferenza e si favorisce
la partecipazione.
Il conflitto è l’opposto della guerra. Da una
parte si tratta di muoversi sul terreno della complessità,
della differenza, della discussione e
della convivenza mentre la guerra tende alla
semplificazione, all’omogeneità, alla creazione
del nemico e, in ultimo, alla sua eliminazione.
Contro il decreto c’è stata la risposta e la mobilitazione
di partiti, sindacati, gruppi, associazioni
e singole persone. Potrebbe essere un
segnale importante di “risveglio” da un senso
di sfiducia, impotenza e rassegnazione che
sembra essere entrato delle nostre vite, e che
le guerre, con le quotidiane devastazioni e la
non volontà di cercare mediazioni, ancor più
rafforzano la sensazione di inutilità del nostro
testardo impegno per pace e giustizia.
Tornando al DDL 1660 ci sembra interessante
il comunicato dell’ANPI che accompagna
la partecipazione dell’Associazione alle
iniziative di mobilitazione.
Nel silenzio dei media e del dibattito pubblico
è stata approvata dalla Camera nei giorni
scorsi la cosiddetta legge-sicurezza. Si aumentano
le pene per reati già codificati e si
disegnano nuove fattispecie di reato. È una
‘summa’ repressiva che criminalizza le lotte
sociali, con particolare accanimento verso lavoratrici
e lavoratori, ambientalisti, migranti,
detenuti, madri detenute, chiunque protesti
contro le scelte del governo. Si vuole condizionare
la libertà di espressione e impedire il
pacifico conflitto sociale che è un cardine della
democrazia costituzionale. La legge è un
tassello evidente di un disegno più generale
teso a stravolgere lo stato di diritto.
Ma al di là delle singole disposizioni su materie
di natura molto diversificata, ciò che preoccupa
è l’impianto culturale complessivo del
provvedimento in via di approvazione. Una
cultura che legge la diversità come un grave
pericolo, anziché comprenderla nella sua reale
essenza: quello di una ricchezza sociale, una
garanzia contro derive autoritarie e un fattore
di maturazione civile e culturale.
In una società autenticamente democratica
la vera ricchezza è la presenza di un’ampia pluralità
di opinioni e di una molteplicità di proposte
culturali capaci di confrontarsi liberamente
e valorizzarsi reciprocamente. È questa
la sfida che abbiamo davanti, confrontarci positivamente
con chi è diverso da noi, raccogliere
i semi di novità che vengono lanciati da
chi vive o opera in contesti più in prima linea.
Provvedimenti che puntano invece a un’omologazione
culturale dettata per legge, limitano
la crescita del paese, anzi ne favoriscono il
declino e spianano la strada a possibili derive
antidemocratiche.
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