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La crisi di un arco storico

Autore: Francesco Domenico Capizzi*

             Sono innumerevoli gli esempi di avanzamento impetuoso tecnico-farmacologico-scientifico connesso alla Medicina moderna dalle radici nell’empirismo dell’autopsia e dell’istologia  e della correlazione fra sintomi e malattia stabilendo così criteri nosologici di riferimento. In questo processo evolutivo, ben lontano dalla teoria dei miasmi, si assottigliano gli aspetti soggettivi dei fenomeni clinici badando soprattutto al come e non alle loro ragioni d’essere. Un razionalismo positivista che è giunto ad interpretare la malattia come segno di corruzione e di inadeguatezza di interi ceti sociali. La Medicina allevia la sofferenza, si occupa della persona come entità estranea alla malattia adagiata su un letto trasformato in campo d’investigazione  dominato da una scienza neutra. Sintomi e segni confluiscono in un quadro clinico che sottende lesioni anatomiche, diagnosi, terapie, prognosi. L’azione medica si attiva sull’evento patologico, ma resta indifferente di fronte a connessioni fra malattia, fattori patogeni e condizioni dell’esistenza umana. Resta arte e carisma, geometria anatomica e calcolo topografico, per consegnarsi a tecnologie che generano tecnologie, a macchine che producono macchine, all’innovazione tecnica svincolata da una cultura incentrata sulla persona essendo la coltre tecnologica percepita come esaustiva. Atavismi sostengono l’idea di malattia legata alla natura della persona e a misteriosi fattori genetici da scandagliare come il sottosuolo, il mare e lo spazio con metodiche che appartengono a geologi, fisici, astronomi, astronauti. Su questa strada la Medicina resta avulsa dalle situazioni che favoriscono la malattia: il cancro, sua declinazione estrema e compimento patologico totale, la malattia per eccellenza come eccellenti sono definite le strutture che lo diagnosticano e lo curano con risultati spesso deludenti che dovrebbero indurre a rivedere strategie elette a verità che in realtà sono travestimenti ideativi che innalzano a verità quanto è soltanto un metodo. Infatti, la Scienza, tanto meno la Medicina, “non poggia su un solido strato di roccia, ma si eleva su palafitte sopra una palude. Il desistere dal conficcarle più a fondo non significa che si sia trovato un terreno solido, ma che si è soddisfatti ritenendo che i sostegni siano abbastanza stabili da sorreggere la struttura (Karl Popper)”. Queste le ragioni della crisi di un  arco storico che sorge nel positivismo al quale tuttora si trovano sospesi Scienza e Medicina. Questa è la via che riduce la Medicina a terminale di apparati dirigistico-tecnocratici e la malattia a lesione anatomica e, spesso, a scoria sociale. Sta esaurendosi l’era copernicana, sostituita da empirismo e concezione del mondo riconducibile a sole formule matematiche apparentemente imparziali? La  peste fu davvero una maledizione imparziale, sempre uguale a se stessa. Le malattie odierne no. Il cancro, ad esempio, si propone come malattia del progresso, poliedrica nell’era del progresso, misterioso suo lato oscuro e corollario, innominabile, dunque indicato per allusioni e parafrasi. Non epidemico, agisce per decimazione silente, sembra appartenere all’organizzazione sociale, paradigma dell’entropia e segno di contraddizione: da un lato implorati e ricercati antidoti per contrastarlo e sconfiggerlo, dall’altro prodotte e inconsapevolmente desiderate sostanze che lo provocano. Si annunciano antivirus, vaccini, antineoangiogenetici, statine, terapie geniche, scoperte di fattori ereditari e razziali, programmi per  studiare e riparare i danni del DNA  che presto sprofondano nel dimenticatoio, mentre nuove sostanze vengono immesse nell’ambiente, fatte salve alcune formalità, finché non si dimostri la loro pericolosità

                Memoria popolare, Storia e Letteratura registrano spesso il rapporto di causa-effetto ancor prima che la ricerca epidemiologica, involontaria necrofora, disveli che l’origine della malattia segue andamenti definiti riguardo a culture, appartenenze sociali, gruppi etnici, residenze urbane e extra-urbane, varia da un continente all’altro, da una regione all’altra, da una condizione esistenziale ad un’altra: nelle società industriali prevalgono le malattie cardiovascolari, immunitarie, da stress, metaboliche, i tumori, l’obesità, le affezioni renali, le lesioni traumatiche; nelle società sottosviluppate permangono le malattie infettive e disnutrizionali per insufficienze alimentari, abitative, fognarie, di acquedotti, servizi sanitari, fonti di energia, attrezzature, lavoro, istruzione, diritti fondamentali. Constatazioni che potrebbero portare ad una differente classificazione di molte malattie o, meglio, di persone  candidate ad ammalarsi: fumatori-non fumatori, bevitori-non bevitori, ricchi-poveri, europei-africani, ecc.. Ne deriverebbe, nella sostanza, che qualità e durata di vita sono migliorabili mediante condizioni e stili di vita adeguati, sebbene siano indiscutibili i meriti che la Medicina scientifica ha acquisito nel travagliato processo di contrasto alle molte affezioni. E’ opinabile, al contrario, ritenere che esistano nessi inscindibili fra Medicina ed attenuazione od estinzione delle grandi malattie: la loro eradicazione va ricercata soprattutto nei risanamenti ambientali e nelle migliorate condizioni di vita e di lavoro delle popolazioni, a scelte politiche piuttosto che ad azioni mediche, a volte improntate ad  eroismo ma impotenti. Nonostante questa constatazione  l’attività  ospedaliera prosegue, imperturbata, sul cammino di complessità e consumi crescenti di materiali ed apparecchiature, suggerimenti involontari al consumismo e all’equazione diagnosi più terapie uguale guarigione. Una cura per ogni male. 

                 C’è da chiedersi davvero perché tutto ciò accada nonostante  il  cosmo assomigli all’orticello di casa, il genoma venga smontato e rimontato come un meccano, le clonazioni si gestiscano come gli elettrodomestici, la vita si generi in laboratorio. L ’inversione di tendenza è possibile a partire dalla ricomposizione dell’unicità delle culture umanistica e scientifica, separate da tradizioni e differenziazioni del linguaggio, per la riproposizione della tutela della salute come diritto supremo della condizione umana oggi immersa in un contesto che appare sempre più a-politico e a-storico.

  • * Già docente di Chirurgia Generale nell’Università di Bologna e direttore della Chirurgia Generale negli Ospedali Bellaria e Maggiore di Bologna
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