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ROUBAIX, UNE LUMIÈRE

Regia:Arnaud Desplechin.  Produzione: Francia 2019

Recensione di Francesco Domenico Capizzi

In una periferia degradata e povera al nord della Francia, affollata di extracomunitari d’origine araba, il commissario di polizia, algerino di nascita francese di formazione, esercita il compito di mantenere l’ordine senza pregiudizi, autoritarismi, odii e rancori, sensibile alle vicende dei suoi collaboratori come degli indagati per i numerosi crimini che si succedono, fino all’uccisione di una donna anziana. I metodi adoperati in indagini e interrogatori contengono durezze e perfidie tipicamente dell’agire poliziesco, esente però da accenti violenti e ricattatori sebbene condotti fino al limite del lecito formale e sostanziale. Il commissario si avvale di un unico lenitivo per le sue tante ferite inferte dai crescenti crimini che intaccano la vita quotidiana sua e di questa parte di umanità disgregata e spesso disperata: la passione per i cavalli. Nessuna amicizia, nessuna consuetudine se non la frequenza saltuaria e marginale di un maneggio. In ginocchio un suo giovane e affezionato collaboratore chiede perdono a Gesù prima di coricarsi. Gli altri conducono una vita di relazione del tutto normale. 

Fra sospetti e denunce di violenze Il culmine delle scene viene raggiunto nell’interrogatorio, singolo e nel confronto, di due ragazze conviventi, dedite all’alcool e al consumo di tabacco ed erbe, sospettate di avere commesso l’omicidio in una casetta attigua alla loro: vengono convinte gradualmente della necessità di confessare il crimine commesso e, addirittura, a rappresentare plasticamente le sequenze che hanno condotto al soffocamento della loro vittima, poco prima derubata nella propria povera abitazione. Non soltanto a recitare le loro rispettive parti, ma una di loro, la più giovane e meno avvenente, pur essendo innamorata dell’altra e a lei devota, giungerà a sostenere la premeditazione e l’efferatezza del delitto nonostante l’intenzione omicida venga decisamente negata dall’amica.

Quale interpretazione dare ad una storia tanto tragica e ai personaggi che in essa agiscono?  Il commissario, sbarcato in Francia all’età di sette anni, interpreta il ruolo del ligio funzionario di Stato, leale e totalmente votato in ogni momento della sua vita al rispetto delle leggi in un contesto sociale al quale se medesimo e la sua famiglia erano appartenuti. Legge e ordine pubblico, armonia e bellezza assoluta lo attraggono totalmente come la visione e il portamento altero dei cavalli, unicorni e divinità che si ergono al di sopra delle appartenenze culturali e religiose e delle umane vicende quotidiane di cui non si scandalizza, ma cerca di comprendere anche a costo di sottomettere alla verità dei fatti, scalfendoli appena, i pieni diritti degli accusati. Il suo collaboratore più giovane, meglio il suo discepolo, aspira ad una purezza di spirito insita nella preghiera serale dopo una giornata tempestosa trascorsa fra estenuanti interrogatori, caserma e luogo del delitto.

Le due ragazze rappresentano l’esatto opposto della parabola ascendente seguita dal commissario visibilmente oriundo: il baratro e il tentativo di riscatto descrivendo la verità dei fatti e la più giovane, addirittura, precipitandosi serenamente ad accusare se stessa della premeditazione delittuosa e chiamando in causa l’amica allo scopo, forse inconscio, di prevalere finalmente su di lei superando se stessa, alzando la testa per la prima volta orgogliosa.

Un limite del copione: la pretesa di ritenere catartica l’azione indagatrice e repressiva della polizia in una società tanto lacerata e attratta inevitabilmente dalla perversione che può accompagnare la condizione di povertà estrema. 

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