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Nuovo rapporto Onu sul clima: siamo al codice rosso per l’umanità

Francesco Provinciali

Non si potrebbero trovare parole più appropriate di quelle riportate nel titolo, per descrivere la situazione del pianeta che si muove verso una deriva irreversibile di autodistruzione: sono quelle usate dal Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres, per commentare il sesto Rapporto “Cambiamenti climatici 2021” stilato dagli scienziati dell’IPCC sull’emergenza del “climate change” e approvato dai 195 Governi aderenti all’Organizzazione delle Nazioni Unite. O meglio: forse ancora più terribile e ammonitrice per i decisori politici e l’intera umanità è la sottolineatura del presidente di turno della conferenza ONU sul clima COP26 – il ministro britannico Alok Sharma – per presentare i risultati e le conclusioni del Rapporto: “Il tempo a disposizione per fermare la catastrofe del cambiamento climatico sta pericolosamente avvicinandosi alla fine: non possiamo permetterci di aspettare ancora due, cinque o dieci anni, questo è il momento di agire”.

Ci sono delle evidenze che definire spaventose è più prossimo all’eufemismo che alla realtà: l’innalzamento del livello dei mari è stato valutato “irreversibile ancora per millenni”, non si era mai riscontrato questo livello di tendenza negli ultimi 3000 anni, ed è causa di erosione delle coste e inondazioni. Addirittura le emissioni di CO2 misurate nel 2019 erano le più alte di sempre, considerando almeno i due milioni di anni precedenti, quelle dei gas serra (biossido di azoto e metano) in cima alla scala dei valori degli ultimi 800 mila anni. E tutto questo mentre la temperatura media si innalza con un trend incrementale mai riscontrato in passato (+ 1.09° tra emissioni antropiche e gas serra nel decennio 2011/20 rispetto ai 50 anni che vanno dal 1850 al 1900): si pensi alle conseguenze per la vita degli abitanti della Terra, per l’agricoltura, l’allevamento del bestiame, la sostenibilità ambientale, le condizioni delle metropoli ad altissimo tasso di urbanizzazione. Si considerino le osservazioni del biologo Edward O. Wilson – già illustrate e note da tempo – sull’incremento demografico: siamo 7 miliardi e mezzo di abitanti su un pianeta dove la soglia di compatibilità massima è stata stimata ai 6 miliardi di persone. A fine secolo si prevede una popolazione mondiale di 11 miliardi. Queste eloquenti condizioni erano già state rilevate nel Rapporto dell’ONU-2019 stilato in 3 anni di lavoro da parte di oltre 150 esperti, volto allo studio e all’approfondimento dei rischi delle biodiversità, che metteva in guardia dal pericolo di arrivare in tempi definiti “relativamente brevi” all’estinzione di una serie di specie viventi che popolano i mari e la Terra, fino ad 1/8 di quelle attualmente censite pari ad una cifra mostruosa di circa un milione di ‘specie’ animali e vegetali. Evidenze riprese e rilanciate nel seminario svoltosi dal 29/4 al 4/5 2019 in sede OCSE, dai rappresentanti di 130 Paesi aderenti all’Ipbes. Alla pubblicazione di quel Rapporto la Terra veniva descritta “alla soglia della sesta estinzione di massa della sua storia, la prima attribuita ai comportamenti umani”.

Sono trascorsi due anni e il nuovo Rapporto 2021 non può che stigmatizzare con toni ultimativi questa responsabilità, aggravata dalle emergenze per sommi capi descritte, peraltro riconducibili alle concause dell’eziopatogenesi della pandemia, una sorta di ribellione della natura all’opera distruttrice da parte dell’uomo. Ricordiamo al riguardo le parole del Prof. Arnaldo Benini, Emerito all’Università di Zurigo: “L’umanità utilizza e violenta la natura spietatamente. Si è estesa e dilaga in tutti gli angoli della terra, sconvolgendo ecosistemi remoti e antichi di millenni, costruendo strade, estirpando e asfaltando boschi e foreste, usando a profusione e senza criterio concimi tossici e antibiotici, inquinando aria, laghi, mari, fiumi e torrenti, trivellando in terra e in mare. L’alterazione violenta degli ambienti è una delle cause delle mutazioni degli agenti patogeni e quindi delle epidemie e pandemie”. In questo contesto ambientale ai limiti della compromissione irreversibile, una umanità in espansione illimitata diventa indebolita e vulnerabile agli attacchi di virus che dimorano abitualmente in ospiti animali, come accaduto in tutte le sue varianti con il Covid-19 che ha attaccato l’uomo per traslazione zoogenetica. Questa coincidenza epocale tra compromissione climatica ed emergenza pandemica non è dunque casuale e può ripetersi. Occorre padroneggiare una visione olistica di questi fenomeni per tentare adesso, senza rinviare, di arginare la deriva catastrofica. L’obiettivo più immediato è dimezzare le emissioni di gas serra entro il 2030 per azzerarle entro il 2050: il nemico numero uno è il riscaldamento globale, l’obiettivo è fermarlo a + 1,5° rispetto all’epoca preindustriale, come programmato nell’Accordo di Parigi (COP21-2015). Temperature più elevate porterebbero tra le altre conseguenze un ulteriore innalzamento dei mari: al trend incrementale attuale potrebbero salire fino a 50 cm a fine secolo, con una previsione ad oggi ingovernabile di 20 metri come corrispettivo di 5° di aumento della temperatura, né ci consola che ciò potrebbe avvenire al limite dei prossimi 2000 anni. Il Rapporto ONU ha snocciolato una serie di dati eloquenti e di previsioni decisamente allarmanti, rispetto a cui ogni rinvio diventa imperdonabilmente colpevole. È in gioco la vita stessa sul pianeta, a cominciare da quella dell’uomo. Ed è altrettanto evidente che se le scelte sui grandi numeri competono ai Governi della Terra, ciascuno di noi è tuttavia chiamato a realizzare comportamenti adeguati, rispettosi e responsabili. Non basta aver consapevolezza dei pericoli incombenti, occorre realizzare stili di vita sostenibili su scala mondiale.

Intanto i decisori politici accorciano i tempi delle consultazioni e delle decisioni da assumere, il prossimo step è previsto per novembre p.v. a Glasgow: tema centrale la completa decarbonizzazione, la drastica riduzione delle emissioni nocive e dei gas serra, il contenimento dell’innalzamento delle temperature nei limiti già convenuti in sede di Accordo di Parigi del 2015.

Problemi enormi ma gestibili se l’etica e la scienza supportano le politiche degli Stati, con la consapevolezza che non esistono in questo campo i tempi supplementari, poiché la tattica dei rinvii non porta a soluzioni ma solo ad un irreversibile ‘game over’.

Già dirigente ispettivo MIUR

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