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Gli scorbutici

di Manfredi Lanza*

Lo spirito critico è alla base della mentalità scientifica e del nostro patrimonio culturale moderno. Si impernia sul principio del dubbio. Vero e rilevante si considera ciò che, sulla scorta dei dati razionali, ma altresì di osservazione e sperimentazione, risulta meno dubitabile. Non, però, assolutamente certo, poiché esistiamo e viviamo in una condizione di strutturale relatività e non abbiamo attinenza comprovabile con alcunché di assoluto. Quando si dice «risulta meno dubitabile», si intende: ora come ora, al momento presente. E, non solo non è certezza assoluta, ma è pressoché certo che, godendo appunto presentemente di tutti i crismi per essere reputato vero, sarà domani sbugiardato o superato da un vero più vero; anche quello, d’altronde, provvisorio.

Lo spirito critico si è imposto, in Occidente, a principiare dal tempo del cosiddetto Rinascimento del Quattrocento, italiano e prevalentemente toscano. Si è imposto lottando contro una teocrazia dogmatica, basata invece sul principio della verità come rivelazione, inoppugnabile, incontestabile, inevolvibile, quantunque interpretato e mediato da un umanissimo “sacerdozio” autopromosso, che ha dominato durante tutti i lunghi secoli del medioevo.

Lo spirito critico e la ricerca scientifica si sono fatti strada a spese della teocrazia dogmatica, non senza che questa resistesse, tentasse con ogni mezzo di arginarli e si sbarazzasse, per quanto in suo potere, dei loro fautori e campioni con condanne al rogo, all’abiura forzata, al silenzio (Bruno, Galilei …). E ha guadagnato terreno decisamente allorché, ad inizio Cinquecento, ha cominciato ad andare in pezzi lo stesso blocco teocratico con le riforme protestanti di Lutero, Calvino, Zwingli ed altri, soprattutto nell’Europa centrale e nord-occidentale. 

D’altronde le autentiche, storiche, radici della cultura occidentale non sono affatto cristiane, come insiste a ripetere Roma, bensì politeiste e pagane. Il pensiero e le metodologie di ricerca dell’Occidente moderno devono non poco, in particolare, agli antesignani della filosofia e della scienza dell’antica Grecia. E le religioni pagane avevano, rispetto a quelle dette del Libro, un sicuro vantaggio nella loro fondamentale apertura di spirito e ampia tolleranza. Il cristianesimo dogmatico medievale è stato soltanto una parentesi lunga e impattante, ma pur sempre parentesi interlocutoria, nella nostra storia, civile e culturale.

Dal punto di vista della cultura laica, lo spirito critico è fondamentale. È anzi il vero e proprio fondamento di ogni attendibile cultura.

Di per sé, la critica comporta solo l’esame dei problemi e delle realtà; un esame imparziale, quanto più possibile scevro da pregiudizi e che giudica razionalmente sulla base di dati oggettivi. In pratica è, per così dire, asettica. Può, però, assumere la forma, l’andamento, il metodo della polemica in sede di controversia. Va da sé che la scienza e la cultura laica in generale è spesso stata trascinata nella polemica e si è anche data di propria iniziativa, talvolta veementemente, alla polemica nei suoi conflittuali rapporti con le Chiese, le resistenze e le aggressioni di matrice pseudo religiosa. Un’aspra polemica, ma anche e persino lotta armata, si è scatenata nella Chiesa medesima e tra le Chiese con la Riforma religiosa. Aspramente polemico contro la fede ingenua e le istituzioni chiesastiche è stato l’illuminismo enciclopedico francese, dal quale è poi indirettamente scaturita la grande Rivoluzione politica che, a partire dalla Francia, ha mutato gli assetti statuali di mezza Europa, se non, in certa misura, di tutta l’Europa. Polemico e sarcastico Voltaire, disperatamente polemico il romano Giuseppe Gioachino Belli.

Mentre, lo spirito critico e la critica hanno un valore intrinseco, un valore in sé e sono irrinunciabili in un’ottica culturale moderna, la polemica ha valore positivo esclusivamente quando tenda a difendere la giusta ragione, un valore indotto e strumentale. Ma lo spirito polemico può volgersi a difendere tanto la ragione, quanto il torto; e può infierire, aggrovigliarsi, al punto da creare più che altro confusione, da rendere impossibile o difficile il ritrovare il filo sano della matassa. Pertanto, nei suoi eccessi, la polemica è controproducente.

La polemica per la polemica è vocazione deputata degli scorbutici; delle persone, cioè, di cosiddetto cattivo carattere; da DNA nativo oppure acquisito, a seguito di rovesci esistenziali e brucianti delusioni.

Gli scorbutici subito si fanno notare e si riconoscono nelle conversazioni e nell’interscambio di propositi. Non ragionano e non sono sereni. Muovono, nel loro esprimersi, da evidenti fissazioni, pregiudizi inestirpabili; sono scontrosi, imbronciati, apodittici nel parlare, sufficienti, sprezzanti, pronti ad offuscarsi e ad abbandonare platealmente la scena. Sono sempre contro, sempre no, qualsiasi sia l’argomento, l’oggetto del contendere. Lo sono caratterialmente, quindi per principio. Caratterialmente e per principio sono arroganti.

Di questi scorbutici, non tanto apportatori di idee diverse e originali quanto affetti da cattivo o pessimo carattere e con i quali – a dire il vero – non ha, né può avere, senso confrontarsi, non pochi animano le platee dei think tank e degli show televisivi italici. Ciò, in quanto il loro opporsi sistematico fa gioco nei mass media, contribuendo ad un’animazione che i mediatori dell’informazione ricercano ad ogni costo e prima d’ogni altra cosa. In buona misura, tuttavia, falsano il dibattito, polarizzando l’attenzione su questioni inesistenti o, se esistenti, di scarsa o scarsissima portata. Sembrano esserci alla grande sulla scena, mentre sono, in sostanza, personaggi e minoranze che non contano in quanto non contribuiscono costruttivamente allo sforzo sociale. Fanno solo perdere tempo e, semmai, seminano sconcerto tra gli ignoranti e gli acculturati, amarezza nei più consapevoli.  

*già funzionario del Parlamento europeo

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