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Disertori

di Fausto Anderlini

Torno sui cortei ostili al green pass. Sebbene, non disponendo più degli strumenti d’investigazione empirica, limitandomi al ‘sentito dire’, alle impressioni visive e ai parallelismi metaforici.Sfidano il virus marciando a viso aperto, tanto quanto temono il vaccino. Una prova di coraggio e insieme di pavidità. Una totale negazione del salutismo come pubblica profilassi e una totale sfiducia nella scienza medica ufficiale associata ad una ossessiva e ipocondriaca attenzione alla propria salute. C’è qualcosa di infantile e di paradossale in questo comportamento. Che forse si spiega col rapporto nevrotico che hanno con l’autorità. Una dipendenza irrisolta. Mi viene immediato attaccarmi all’idea a me cara dei ‘residui’: sorta di visione pseudo paretiana del mondo contemporaneo come deposito caotico di frammenti socio-culturali e psicologici sedimentati dalle transizioni storiche precedenti.

Vale per la sinistra, la cui costituente sociale (come ben si è visto a piazza San Giovanni, ultima replica dei grandi raduni sindacali) è ancora connotata dai sedimenti umani e ideologici, ovvero esistenziali, della fase industriale operaia. Ma potrebbe valere anche per queste formazioni di massa. A mio vedere un amalgama, di residui dell’individualismo post-moderno. Tutto ciò che nei movimenti post-materialisti succeduti al ’68 e al ’77 procedeva sotto la spinta di una ribellione festosa e comunitaria ai valori ascritti e che qui si ripresenta in una forma triste, impaurita, melanconica, ripiegata su sè stessa, ovvero incattivita. Come la reazione ritentiva, socialmente avara, quindi paranoica, a una presunta invasione panoptica del proprio spazio vitale ad opera dello Stato, della scienza ufficiale e della tecnica. Il refrein è lo stesso di un tempo.

Ancora il ‘corpo è mio e lo gestisco io’. Però declinato in un contesto psicologico radicalmente differente: non l’ascesa di un diritto civile agito contro l’oscurantismo e i nome di una nuova razionalità collettiva, ma la difesa ostinata di uno spazio privato contro ogni principio razionale di socialità. La libertà come irresponsabilità. E’ ciò che separa questi movimenti di massa da altre figurazioni collettive che hanno nella responsabilità sociale il loro fulcro, come il movimento ecologico e giovanile ispirato a Greta Thunberg o come l’occasionale sollevazione urbana delle ‘sardine’.

Sebbene le gradazioni fra i due estremi sono innumerevoli (e talvolta anche sovrapponibili in singolari ibridazioni….si pensi ad esempio ai No Tav e alle forme più radicali di romanticismo ecologico). Comunque formazioni di massa con fortissima connotazione identitaria e psicologica e agenti sulle stesse piazze, a turnazione, sebbene le radici degli uni siano nelle periferie (sociali, territoriali, psicologiche) quanto aliene e prive di memoria, mentre quelle degli altri sono nel cuore delle agglomerazioni urbane centrali e sebbene guidate dalle borghesia intellettuali in qualche modo riconducibili alle forme classiche della sinistra. SimilitudiniPer certi aspetti, non nel movente immediato, ma nelle forme (autoconvocazione, insistenza nel tempo, carica ostile) i no green pass somigliano ai gilet jaunes francesi: un movimento autoconvocato partito dalle campagne contro il rincaro del carburante e poi transitato dalle rotonde stradali ad assalti ripetuti alla gendarmerie presidiante i grandi centri statali (Parigi in primis).Altre somiglianze sono con gli assalitori di Capitol Hill, cioè con il bizzarro mondo country americano, cosa apparsa evidente, sino al plagio, nell’assalto romano alla Cgil. In ogni caso, pure agli antipodi dei movimenti ispirati da un desiderio trascendente, di metanoia sociale, le mobilitazioni no pass sono del tutto analoghe a quelle dei movimenti: orizzontalità, auto-convocazione, assenza di istanze organizzative certificate, rifiuto della delega. Anche in questo senso, dunque, erediti degenerate della ‘forma movimento’ che ha annunciato e accompagnato la transizione post-moderna, ovvero post-politica. . GeografiaVale la pena rimarcare la sostanziale estraneità del sud alle mobilitazioni, che sembrano prediligere le località urbane del centro-Nord, da Roma in su, con Milano, Torino, Trieste, Bologna in prima fascia. Ciò sembra confermare l’idea che avanzo del rapporto con il post-materialismo, un genoma sostanzialmente assente al sud, anche per l’assenza di una significativa stratificazione storica industriale.

La società post-industriale con tutti i suoi cascami essendo l’inviluppo di quella industriale. Fatto sta che a Bari, Palermo, Catania, Napoli non si registrano mobilitazioni, sebbene Napoli sia stata teatro delle prime violente insorgenze contro il lock down. Però assai minoritarie ed emblematicamente per altro movente: l’occlusione delle fonti di reddito informali, prime fra tutte quelle camorriste. Periferie sociali, territoriali, culturali e psicologiche possono essere variamente correlate, ma sono distintamente caratterizzate. Ogni luogo, ogni gruppo, ogni individuo, me compreso, è un melange diversamente dosato di centri e periferie. Un patchwork. Qui l’effetto massa corrisponde alla concentrazione di periferie psicologiche e culturali della più svariata natura. Come la congiunzione di tutti i sentieri esoterici della ricerca della salvezza (e della verità). Tutto ciò che un tempo era intermediato dalle agenzie istituzionalizzate della fede e della scienza e che poi è diventato esperimento di autovalutazione, autopromozione, autovalorizzazione. Alla scala individuale e micro-comunitaria. Solipsismo sociale lungo le innumerevoli vie di fuga.

Dalle medicine alternative al mondo eclettico delle terapie religiose e spirituali passando per una gamma inusitata (vero e proprio bazar) di modi di vita ‘alternativi’. Fai da te, bricolage, fitness spirituale a sfondo terapeutico (cosa che nel punto più avanzato, gli Usa, trova una dilagante espressione nel settarismo religioso e che da noi attinge più laicamente alle scuole psicoanalitiche….). Ed è pleonastico osservare che questa ricerca del ‘proprio’ benessere può originare da un desiderio ludico, ma anche dalla sofferenza esistenziale.Occorreva un’occasione perchè questo multiforme sfondo trovasse un elemento unificante trasformandosi in una massa politica disposta sul cleavage amico-nemico. La propria verità, anche solo come dubbio, contro quella ufficiale propinata da enti giudicati screditati: lo Stato e la scienza certificata. L’eresia e il dogma. L’habeas corpus rivendicato nella sacralità dell’individuo contro l’obbligazione sociale. La filosofia del lumi a parti invertite. Il diritto alla superstizione contro l’invadenza autoritaria della tecnica. L’inclinazione politica di questo melane può attingere da diversi background.

Quasi tutti: di destra e sinistra, utopico-socialisti, fascisti-reazionari, radico-liberali. In uno sconfinato campo che va dall’ipermodernità alla tradizione. Decisiva è l’unificazione nella condizione del reietto, dell’eretico, dell’informale. In questo senso parlo di ‘periferie’ psicologico-esistenziali. E non è per nulla casuale che i cortei siano spesso aperti da Forza Nuova e chiusi dai collettivi e altri insurrezionali. Ben a distanza, ma nella stessa processione. In mezzo la massa anonima degli auto-convocati. Come quando gli ultras che normalmente si menano trovano una causa comune nella libertà loro impedita dall’autorità di menarsi. Ma se c’è un pensiero che meglio di ogni altro interpreta il movimento questo è il pensiero della ‘diserzione’, come tematizzato da Wu Ming. Un esercito di ammutinati, nel quale ognuno viene dalla sua isola di pitcairn dove si è recluso/esiliato da tempo…. Da quale tempo ? Direi dal post-77, quando i figli e i fratelli cadetti del ’68 imboccarono gli innumerevoli sentieri della via della salvezza…

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