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Quando un politico mostra emozione: note a margine di COP 26 e oltre

Raffaella Gherardi * – 04.12.2021

A metà novembre scorso hanno fatto il giro del mondo le immagini delle lacrime a stento trattenute da Alok Sharma, Presidente di COP 26, importante uomo politico e già Segretario di Stato inglese, al momento di dare l’annuncio dell’accordo conclusivo raggiunto da parte dei paesi partecipanti alla suddetta Conferenza internazionale sul clima delle Nazioni Unite tenutasi a Glasgow. La emozione/delusione manifestata dal Presidente aveva per oggetto il profondo rincrescimento da parte sua per aver dovuto accettare una variazione introdotta all’ultimo minuto dall’India, spalleggiata dalla Cina e altri, nel testo finale dell’accordo relativamente al paragrafo sulla decarbonizzazione. Si tratta in effetti, come da più parti sarà rilevato, di una variazione solo apparentemente piccola e che in realtà rischia largamente di svuotare di significato l’intero paragrafo e gli impegni relativi da parte dei paesi sottoscrittori dell’accordo: a proposito dell’uso del carbone il termine “phase out” (eliminazione) viene infatti sostituito nel testo finale da “phase down” (riduzione). Benché a lungo applaudito dai delegati presenti nel momento in cui egli col groppo in gola e con la voce spezzata aveva sottolineato il suo dispiacere per il blitz attuato dai paesi di cui sopra nel testo conclusivo dell’accordo, il giorno successivo lo stesso Alok Sharma sentirà il bisogno di ritornare sulla sua reazione emotiva e di doverla in qualche modo giustificare. Durante una conferenza stampa tenuta a Downing Street per fare il punto sui risultati di COP 26, accanto al premier Boris Johnson, egli dirà infatti di essersi “dispiaciuto” per aver dato al mondo la sensazione di una procedura opaca, non per un epilogo che al contrario ha ribadito di considerare positivo e “storico” e di essere orgoglioso di aver portato al traguardo un accordo che i difficili lavori e ostacoli nel corso della Conferenza sul clima avevano fatto temere come “assolutamente in pericolo”.  Sì, è vero, egli avrebbe desiderato “un linguaggio più forte” relativamente agli impegni sul carbone, ma era comunque importante che nel testo finale si facesse esplicito riferimento al superamento del carbone, cosa del tutto inedita in documenti precedenti. Era vero anche che a Glasgow, al momento conclusivo di COP 26, egli era stato a un passo dalle lacrime: “Perché ho sentito il peso del mondo sulle mie spalle”, così spiegava il motivo del groppo in gola mostrato il giorno precedente.

Lasciando da parte il giudizio complessivo sugli effettivi risultati di COP 26, se il testo finale dell’accordo segni un passo importante nella lotta al climate change o sia invece del tutto insufficiente e anzi (come molti critici sottolineano) del tutto deludente in tale prospettiva, mi preme ora richiamare l’attenzione su un aspetto certamente del tutto secondario rispetto all’esito della stessa. Si tratta di fare qualche breve riflessione a margine della comunicazione finale in proposito da parte del Presidente di COP 26 e relativamente agli elementi sopra messi in evidenza. Più specificamente vorrei porre il seguente interrogativo, forse improntato al bisogno di un qualche barlume di ottimismo: “È possibile che le mal soffocate lacrime di Alok Sharma, accolte da un forte applauso da parte dei delegati alla Conferenza, siano il segno che anche i politici cominciano a sentire forte le strettoie fra ragione (nel senso di ragionevolezza di scopi meramente contingenti e non orientati al futuro) e sentimento?”  Più specificamente ancora, in relazione alla politica contemporanea: “È possibile che i concetti stessi di ‘ragione’ e ‘sentimento’ possano essere reinterpretati e fatti propri da ciascuno alla luce dei più gravi problemi che sconvolgono il mondo intero e divenire entrambi perno di una nuova politica che punti veramente a un alto livello di responsabilizzazione individuale e collettiva nell’ottica di un presente/futuro?”

Certo la strada che resta da fare appare ancora molto lunga in un mondo che non dà certo segnali incoraggianti né dal punto di vista della ragione, (come effettiva capacità progettuale in senso alto), né dal punto di vista di un coinvolgimento emotivo che non si trasformi immediatamente nel cosiddetto “mercato delle emozioni” da parte di politici che, sulle ali di indirizzi populistici, spesso intendono giocare in tal senso le loro carte vincenti proprio di contro a una puntuale e necessaria conoscenza dei fatti.

* Professore dell’Alma Mater – Università di Bologna

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