Film scritto e diretto da Paolo Sorrentino
con Toni Servillo
Recensione di Francesco Domenico Capizzi*
Autobiografico per il regista, biografico per la sua Città fatta da famiglie numerose, affastellate, fluttuanti, affabulanti e canzonatorie, personaggi del passato nei vicoli vocianti di folle indistinte e sognanti, iniziazioni e perversioni, commozioni e delinquenze, speranze e delusioni, erotismi, unioni, matrimoni e tradimenti, decadenze e resurrezioni, miracoli e mitologie sul golfo azzurro e luccicante che vive l’Avvento di Maradona, novello Partenope, sirena e deità che vien dal mare per rigenerare Napoli, elevare i suoi figli, unirla e ascenderla davanti al Mondo e alla Storia… nonostante tutto…Speranze che si mescolano a propositi suicidi, entusiasmi debordanti dalle case, dalle terrazze, dalle strade ricolme di macchine e motorini straboccanti di gente di ogni età e appartenenze sociali, bandiere azzurrissime, vaste icone messianiche, liturgie improvvisate e toccamenti che rinfocolano affetti sopiti e conferiscono fertilità mai possedute. Il risorgere fiero e prolifico.
Intanto la subitanea riconciliazione con l’azzurro intenso del cielo e dei luminosi flutti marini in cui tuffarsi, un tutt’uno con la maglia del Vomero, solcati da barche, barchini e offshores che fanno tuff tuff tuff. Novelli amuleti che proiettano un intero popolo nell’avvenire riscattando il passato povero e disperato di Napoli.
Dopo le gloriose ormai lontane quattro giornate, per volontà di Dio, il pallone si pianta contro la rete per punire, questa volta, l’Inghilterra delle Malvines e riscattare la popolazione esultante per le gesta del proprio condottiero.
Abbondanza di surrealismi indigeni identitari: San Gennaro, elegantissimo, che si appalesa su una Rolls Royce, fiammante e d’epoca, sulla quale prende posto Patrizia, infelice e sterile, condotta in un ricco palazzo al cospetto del monachello verso cui si inchina con devozione per ottenere amore e fecondità; il ricovero in manicomio di Patrizia assunta a modello erotico dall’adolescente poi divenuto regista; la contestazione pubblica a gran voce di una pièce teatrale dallo stesso protagonista commentata come indispensabile parametro di progresso, contro l’acquiescenza, che diventa la prima lezione impartita all’aspirante regista; la ricomparsa del monachello benedicente; l’uscita definitiva da una toilette domestica di una figura femminile (fantasma, memoria?).
Poi la conclusione che imbocca la via della realtà dolce-amara del lungo cammino solitario della vita fra distacchi drammatici, incertezze, illusioni e delusioni, sogni e consapevolezze andando via da Napoli, ma mai davvero con il cuore e con la mente come sancito da Pino Daniele che cantando mirabilmente Napule chiude il sipario sul film mentre lo spalanca sulla napoletanità di sempre.
*già docente di Chirurgia generale nell’Università di Bologna e direttore delle Chirurgie generali degli Ospedali Bellaria e Maggiore di Bologna