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Vitamina D e rischio di morte da COVID-19

di Marina Marini* 

Un recente articolo apparso in Critical Reviews in Food Science and Nutrition di Armin Ebrahimzadeh e altri, dell’Università di Kashan (Iran), intitolato Association between vitamin D status and risk of covid-19 in-hospital mortality: A systematic review and meta-analysis of observational studies https://doi.org/10.1080/10408398.2021.2012419(Associazione tra lo stato della Vitamina D e in rischio di mortalità d COVID-19 nei pazienti ospedalizzati: una revisione sistematica della letteratura scientifica e una meta-analisi degli studi osservazionali) ci dà un importante avvertimento. 

Gli Autori hanno esaminato la letteratura scientifica apparsa fino al 27 luglio 2021 alla ricerca di dati pubblicati che potessero fare luce su un’eventuale associazione tra carenza di Vitamina D e mortalità da COVID-19, che alcuni studiosi avevano ipotizzato. Gli studi identificati e sottoposti a riesame erano 13; alcuni comprendevano un’analisi dei fattori di rischio addizionali dei pazienti studiati. Tutti gli studi concordavano nell’associazione tra bassi livelli di Vitamina D e rischio di morte da COVID-19. Un’analisi sofisticata dei dati ha poi permesso di stabilire la presenza di un’associazione inversa significativa tra ogni unità di incremento della concentrazione sierica di vitamina D e rischio di mortalità ospedaliera da COVID-19 (OR: 0.94; 95% CI: 0.89, 0.99).

Quali sono i principali fattori di rischio per chi si ammala di COVID-19? Sicuramente è emerso che le persone più a rischio sono le più anziane, i maschi e chi è affetto da altre patologie, tra cui l’obesità. Stanno però emergendo anche altri fattori, tra cui lo stato nutrizionale, con particolare attenzione ai cosiddetti micronutrienti, che includono le Vitamine. Indubbiamente, la vitamina principe per le difese immunitarie è la Vitamina C, ma anche la Vitamina D, come dimostra questa meta-analisi, non è da sottovalutare. Un’altra meta-analisi (doi: https://doi.org/10.1136/bmj.i6583) pubblicata nel 2017, in periodo antecedente la pandemia da COVID-19, ha dimostrato l’utilità di assumere Vitamina D per la prevenzione delle affezioni respiratorie, in particolare per coloro che hanno livelli sierici di 25-idrossivitamina D inferiori a 25 nmoli/L.

È noto che la causa più comune di carenza di Vitamina D è la scarsa esposizione al sole, in quanto la forma attiva di Vitamina D, la Vitamina D3 o colecalciferolo, viene sintetizzata dalla pelle sotto l’azione dei raggi solari. Ne deriva che chi vive in ambienti chiusi, o non si espone al sole per fattori climatici, rischia di avere livelli troppo bassi di Vitamina D3. Anche l’età avanzata determina una minore capacità di conversione del precursore (il deidrocolesterolo) in Vitamina D3. Ulteriori fattori di rischio sono: alcune patologie che colpiscono fegato e reni, in quanto la Vitamina D3 viene ulteriormente  attivata da fegato e reni a formare l’ormone attivo (1,25-(OH)2-colecalciferolo); pelle scura, che limita l’azione dei raggi solari (si ritiene che il colore della pelle si sia schiarito proprio con l’uscita di Homo sapiens dall’Africa, per andare a colonizzare zone meno soleggiate); alimentazione carente (la vitamina D è liposolubile ed è abbondante nei pesci grassi e in altri alimenti grassi); l’utilizzo di alcuni farmaci (es. la rifampicina). Si raccomanda l’esposizione al sole di viso, mani e braccia per una decina di minuti almeno tre volte alla settimana: quando siamo stati chiusi in casa per il “lockdown” in genere non abbiamo neanche potuto godere di tale minima quantità di luce solare (e mi si stringe il cuore a pensare alle donne oppresse dai burka).

L’assunzione minima giornaliera di Vitamina D dovrebbe essere di 10 μg (400 UI) al giorno per i giovani e di 20 μg al giorno per gli anziani: si consiglia vivamente il lettore di farsi prescrivere un’analisi del sangue per la valutazione di questo micronutriente, che, oltre a proteggerci dall’osteoporosi, potrebbe salvarci la vita.

Infatti, le funzioni della Vitamina D vanno ben oltre quelle, ben note, di regolare l’omeostasi del Calcio nelle ossa, prevenendo il rachitismo e l’osteomalacia. La Vitamina D3 è coinvolta attivamente nella regolazione dell’immunità innata ed acquisita e, in particolare, controlla la cosiddetta “tempesta di citochine”, che abbiamo imparato a conoscere come uno dei peggiori eventi associati all’infezione da COVID-19. La Vitamina D3 inibisce la produzione di citochine pro-infiammatorie, in particolare TNF-α e interferone-γ, e aumenta l’espressione dell’IL-10, la principale interleuchina anti-infiammatoria. Inoltre, la Vitamina D3 aumenta la produzione di proteine antimicrobiche, come catelicidina, LL-37 e defensine; mantiene inoltre l’integrità degli epiteli, favorendo la formazione delle giunture intercellulari. Infine, aspetto molto importante per quanto riguarda SARS-CoV-2, la Vitamina D3 aumenta l’espressione del recettore ACE-2, che è il recettore cui il virus si lega penetrare nelle cellule. Legandosi ad ACE-2, il virus distrugge questo importante enzima, contribuendo al danno cellulare.

Infine, un interessante articolo di studiose italiane dell’Istituto Superiore di Sanità (doi: 10.3389/fendo.2020.567824) ha suggerito un legame tra gli effetti protettivi della Vitamina D e la minore mortalità da COVID-19 del sesso femminile! L’inibizione della produzione di citochine pro-infiammatorie e l’aumento nella produzione di quelle anti-infiammatorie sarebbe funzione della quantità di estrogeni, favorendo così le donne. Inoltre, gli estrogeni aumenterebbero l’espressione del recettore nucleare della Vitamina D nelle cellule T CD4+, mentre diminuirebbero l’espressione di CYP24A1, che contribuisce all’inattivazione della Vitamina D3. A sua volta, la Vitamina D3 esercita effetti tessuto-specifici sul metabolismo periferico degli estrogeni.

  • Docente di Biologia applicata nell’Università di Bologna
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