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Come  invecchia  il  nostro cervello

di Gigliola Zucconi Grassi*

La longevità della nostra mente, cioè l’arco di tempo durante il quale ciascuno di noi  conserva intatte le sue capacità cognitive, non è in relazione  con lo stato di salute né con la durata di vita. A pari età cronologica infatti, lo stato cognitivo degli over 65 si presenta profondamente diverso da individuo a individuo, con alcuni individui che si presentano profondamente compromessi e altri  che cognitivamente, sono  paragonabili ai giovani.

Ma il cervello cambia con l’invecchiamento ?  Certo, anche il cervello deve fare i conti con il tempo e quindi con il naturale deterioramento delle cellule e delle fibre che lo costituiscono. E oltretutto, a differenza delle cellule degli altri organi, le cellule che costituiscono il cervello, i neuroni, non hanno alcun ricambio nel corso della vita, e numericamente rimangono sempre gli stessi che abbiamo avuto in dote alla nascita.   

Con l’avanzare dell’età potrebbero allora diminuire ?  Negli ultimi decenni  i diversi ricercatori che si sono pazientemente messi a fare le conte delle cellule del cervello umano, hanno riportato che questo contiene un numero di neuroni che va dai 75 ai 125 miliardi, con prevalenza intorno agli  86 miliardi.  Ma soprattutto, inaspettatamente, hanno trovato che non c’è relazione tra numero di neuroni ed età cronologica e/o stato cognitivo. O meglio,  nel caso in cui il numero di neuroni appare inferiore con l’avanzare degli anni, la variazione non si discosta dalla media più della stessa variabilità che si osserva tra i vari individui.   Questo dato di fatto rende definitivamente improbabile l’idea che  il declino della funzione cognitiva rappresenti l’inevitabile conseguenza di una perdita di neuroni nel tessuto che forma il cervello. Sfatando così il mito che in vecchiaia si perde la memoria perché si perdono i neuroni.

Il declino cognitivo legato all’avanzare dell’età, pur con grandi variazioni da un individuo all’altro,  rispecchia invece alterazioni strutturali che riguardano le ramificazioni di quei neuroni, cioè gli assoni,  e i terminali con cui i neuroni si contattano tra loro, cioè le sinapsi. Le alterazioni che  riguardano gli assoni sono dovute al fatto che la guaina che li riveste, la mielina, responsabile della propagazione dell’impulso nervoso lungo le fibre dei neuroni, con il passare degli anni va incontro a degenerazione, determinando a sua volta la perdita di quegli stessi assoni. L’entità di questa perdita è stata quantificata ed è stato visto che, tra i 18 e i 93 anni, la lunghezza complessiva delle fibre nervose mieliniche si riduce del  45% circa, passando approssimativamente da 176.000 Km nel giovane ai 97.200 Km nel vecchio. Questo significa che si va incontro ad  una perdita di lunghezza totale del 10%  per ogni decade di vita, che si  traduce a sua volta in una corrispondente perdita di efficienza del la propagazione dell’impulso nervoso attraverso la catena dei neuroni.  Anche le sinapsi  vanno incontro a modificazioni ,  che possono essere più o meno significative  a seconda dell’area cerebrale coinvolta.  Tra le regioni più colpite c’è l’ippocampo, che è quella parte del cervello che è addetta alla formazione e all’immagazzinamento delle memorie.  Inoltre, non solo le sinapsi che connettono i neuroni  tra loro, ma anche le sinapsi che mettono in comunicazione i neuroni con le fibre della muscolatura, le sinapsi neuro-muscolari, vanno incontro a modificazioni progressive  che contribuiscono a quel declino delle capacità motorie  che caratterizza l’invecchiamento. 

Con l’età cambia anche la circolazione del  cervello e il flusso totale del sangue che arriva a questo organo  si riduce del 15-20%.  Considerando che il cervello è l’organo che ha il più alto consumo energetico  (il cervello da solo brucia il 20% dell’ossigeno necessario all’intero organismo )  questa riduzione rappresenta una frazione significativa.  L’enorme richiesta metabolica del cervello viene supportata  da una rete di vasi sanguigni che ramificandosi in vasi sempre più sottili, trasporta ossigeno e nutrienti  alle singole cellule e ne asporta anidride carbonica e cataboliti.  Questa rete è talmente vasta che l’estensione dei piccoli vasi sanguigni raggiunge nell’età adulta una lunghezza totale di 600 km   ma, con l’avanzare dell’età,  questa  va incontro ad una rarefazione tale da alterare il normale scambio tra sangue e cellule del cervello.  Anche i grandi vasi, le arterie cerebrali , vanno incontro ad alterazioni strutturali  che ne compromettono l’elasticità e la  contrattilità, promuovendo di conseguenza quell’ irrigidimento delle pareti della arterie che sono a loro volta responsabili  dell’ aumento della pressione sistolica e della riduzione della pressione diastolica che si accompagnano all’età.

Quindi  l’invecchiamento comporta solo effetti negativi sulle capacità mentali ? In parte è vero ma in parte no. Certo, da una parte non possiamo che assistere impotenti  all’inesorabile decadimento di alcune delle funzioni cerebrali dovuto una vera e propria ‘usura’ delle strutture che ne sono alla base, dal’altra parte, per il nostro cervello  come per qualunque apparecchiatura, molto dipende da ‘come lo trattiamo’.  Come osservato da Leonardo da Vinci ‘Sì come lo ferro si arrugginisce senza uso, così lo ‘ngegno senza esercizio si guasta’. E come il ferro,  il cervello può essere incredibilmente (incredibilmente perchè fino a 20 anni fa non ci si credeva proprio) ‘ rimodellato’.  In altre parole, dalle cure parentali ricevute nella prima infanzia, alle malattia avute, ai cibi con cui ci alimentiamo, ai farmaci che introduciamo, al tipo di lavoro che facciamo, alle emozioni che proviamo, all’attività fisica e ai contatti sociali che quotidianamente realizziamo, e perfino allo stato del nostro intestino, tutto viene messo ‘nero su bianco’  e  materialmente ‘tradotto’ nella formazione di nuove sinapsi, di nuove connessioni  e perfino, seppure in misura limitata , nella nascita di nuovi neuroni  (nell’ippocampo, laddove si formano le memorie).  I  dati straordinari ottenuti  in questi ultimi due decenni di ricerca dimostrano con certezza che questa ‘plasticità’ del cervello, di fatto, è in grado di  tener  testa  all’inesorabile avanzare del tempo, mostrando un grado di resilienza e  una capacità di riorganizzazione delle proprie risorse, anche nella fase della senescenza, che non ha pari negli altri organi e sistemi dell’intero organismo. Basti pensare per esempio, come l’atleta che arriva ai  40 anni,  con il suo apparato muscolare non è più in grado di competere con un’atleta che ne ha 20, a differenza di uno scienziato o di un letterato il cui cervello, anche dopo i  60 anni, non solo conserva ma addirittura accresce, la sua performance intellettiva superando di gran lunga quella del suo studente di 20 anni.   Comunque, la conclusione a cui sono arrivate le più recenti ricerche riguardanti la plasticità del sistema nervoso nell’invecchiamento, ci dice come un’attività fisica costante, interessi che tengano vivo il cervello per l’intera giornata, sufficienti spazi di socializzazione siano preziosi strumenti capaci di rallentare e invertire i processi molecolari e cellulari responsabili  del deterioramento delle nostre facoltà mentali

Bibliografia

Seals, Douglas R., Jamie N. Justice, and Thomas J. LaRocca. “Physiological geroscience: targeting function to increase healthspan and achieve optimal longevity.” The Journal of Physiology 594.8 (2016): 2001-2024.

Herculano-Houzel, Suzana. “The human brain in numbers: a linearly scaled-up primate brain.” Frontiers in human neuroscience (2009): 31.

Sikora, Ewa, et al. “Cellular senescence in brain aging.” Frontiers in Aging Neuroscience 13 (2021): 71.

  • Già docente di Neuroscienze nell’Università di Perugia

immagine : Honoré Daumier (1808–1879) The Chess players

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