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Le carceri non vanno militarizzate come se si stesse al fronte.

 
La Lega lo propone in carcere.
Roma e Milano votano per la dotazione alla Polizia Locale. Da alcuni giorni sono arrivati nelle città italiane oltre 4.000 pistole elettriche, armi potenzialmente mortali (nei soli Stati Uniti sono oltre 1.000 le persone morte dopo il loro utilizzo in 17 anni) che saranno in dotazione alle forze dell’ordine.
Al Comune di Roma e Milano c’è stata una mozione per dotarne anche la Polizia Locale. In passato, su nostra iniziativa, i comuni di Torino, Palermo e Bergamo avevano bocciato proprio questa possibilità offerta dal decreto Salvini. Lo stesso aveva fatto Milano che, con il nuovo consiglio comunale, ma con la medesima maggioranza, ha ribaltato la sua stessa scelta. Di questo hanno scritto Susanna Marietti nel suo blog su Il Fatto Quotidiano e Patrizio Gonnella sul Manifesto. La Lega, in Parlamento, ha proposto – per l’ennesima volta – di dotare anche gli agenti penitenziari di questa arma.
Ma in carcere non è come se si stesse al fronte. L’introduzione della pistola elettrica in questi luoghi sarebbe in spregio al disposto dell’ultimo comma dell’art. 41 dell’ordinamento penitenziario, in base al quale gli agenti in servizio nell’interno degli istituti non possono portare armi se non nei casi eccezionali in cui ciò venga ordinato dal direttore. Contraddire questo principio riporterebbe il carcere ad essere quel luogo violento, conflittuale e non conforme alla Costituzione che il nostro Paese ha conosciuto fino a prima della riforma penitenziaria del 1975.
In carcere non c’è bisogno di armi, ma di un clima sereno al proprio interno, con un trattamento aperto, occasioni di intrattenimento, di formazione, di istruzione, di informazione. Sono le attività che, combattendo la noia che porta a tensione, ridurrebbero i tassi di conflittualità ben di più che qualche scarica di elettroshock. Dire di sì all’uso delle pistole taser in carcere significa cedere alla tentazione di trasformarlo in una forma di luogo insicuro per la vita e l’incolumità delle persone detenute.
Ergastolo ostativo. Il testo approvato dalla Camera è un’occasione persa La Camera dei deputati ha approvato, quasi all’unanimità, il testo unificato delle proposte di legge sull’ergastolo ostativo. La discussione era nata a seguito della sentenza della Corte Costituzionale. La consulta aveva chiesto una revisione delle norme sul divieto di concessione dei benefìci penitenziari nei confronti dei detenuti che non collaborano con la giustizia o che non possono collaborare con la giustizia.
Il regime vigente è dunque incostituzionale in quanto ammette l’ergastolo senza speranza di uscita, evidentemente contrario ai principi di cui all’articolo 27 della Costituzione (pena umana e tendente alla rieducazione). La riforma approvata alla Camera appare dunque un’occasione persa. È mancato un generale ripensamento dell’attuale disciplina della concessione dei benefici ai condannati per una serie del tutto eterogenea ed illogica di reati anche ben distanti da qualsiasi matrice organizzata, mafiosa o terroristica. Inoltre nella nuova legislazione c’è stato finanche un inutile aggravamento della disciplina. Ci auguriamo che in Senato la discussione sia più in linea con le sentenze della Corte di Strasburgo (Viola c. Italia) e della Corte Costituzionale.
La Danimarca vuole delocalizzare le sue carceri in Kosovo Il 20 Dicembre 2021 la Danimarca e il Kosovo hanno ratificato un accordo tramite cui gli stessi dichiarano la determinazione comune a rafforzare la cooperazione nel campo dei servizi penitenziari. Nello specifico, l’accordo in vari punti prevede l’intenzione del Kosovo di mettere a disposizione della Danimarca 300 posti per il trasferimento di detenuti nell’istituto penitenziario situato a Gjilan per l’esecuzione di sentenze danesi. Allo stesso tempo, il governo danese si impegna a pagare un canone annuo di 15.000.000 euro per un periodo iniziale di cinque anni con la possibilità di proroga automatica per un ulteriore periodo di cinque anni. Il governo danese inoltre, intende pagare un canone di 5.000.000 di euro per coprire i costi iniziali relativi al periodo di transizione, per permettere cioè all’istituto penitenziario kosovaro di adeguarsi alle necessità dei nuovi giunti e per coprire i costi del personale di polizia penitenziaria. Un accordo di questo tipo, che per la prima volta coinvolge un paese fuori dal Consiglio d’Europa, è estremamente pericoloso per la tutela dei diritti delle persone detenute, come Antigone ha fatto notare alla Commissione Europea, anche sollecitando un’interrogazione al Parlamento Europeo.
Studiare rende pericolosi? Un convegno sul tema all’Università di Bologna Un incontro dedicato al diritto allo studio in carcere, che prende le mosse dal ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo presentato dall’ avv. Francesca Cancellaro (Antigone) e dal Prof. Giovanni Maria Flick. E’ quello che si terrà mercoledì 13 aprile 202, dalle ore 15.00 alle ore 18.00, presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche, Palazzo Malvezzi, Sala delle feste (via Zamboni 22, Bologna). Il ricorso riguarda il caso di un detenuto del carcere di Bologna a cui è stata negata una misura alternativa alla detenzione, anche in ragione del fatto che le lauree e il master conseguiti nel corso della carcerazione lo avrebbero reso “più pericoloso”, avendo in buona sostanza potenziato la sua capacità criminale. Nel corso del seminario ci si interrogherà sul valore del diritto allo studio nell’ambito del trattamento penitenziario, alla luce delle previsioni nazionali e sovranazionali che disciplinano la materia. Interverranno: Giovanni Maria Flick – Presidente emerito della Corte Costituzionale; Mauro Palma – Garante Nazionale delle persone private della libertà personale; Francesca Cancellaro – Avvocata, Coordinatrice scientifica di Antigone. Introduce e modera: Alvise Sbraccia – Prof. associato di Sociologia del diritto, della devianza e del mutamento sociale Unibo. Sarà possibile seguire l’evento anche in diretta sulla pagina facebook di Antigone Emilia Romagna.
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