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Un’alleanza contro la schiavitù moderna

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René Micallef, 20/04/2022

Uno degli aspetti drammatici e troppo spesso sottovalutato di tutti i conflitti, compresi quelli contemporanei, è l’incremento dell’esposizione di persone fragili alla tratta di esseri umani. Più in generale peraltro, e secondo una dinamica strutturale, l’enorme consistenza attuale del fenomeno della tratta su scala globale risponde a logiche economiche e del consumo difficili da scardinare.

In queste circostanze l’occhio vigile e solidale delle popolazioni può – anzi, deve – trovare supporto da parte delle istituzioni civili, ma anche religiose, dato il potenziale di queste ultime a livello di motivazione, reti, fiducia e resilienza istituzionale rispetto a tentativi di infiltrazione e corruzione.

Un problema sempre attuale

Secondo le Stime globali della schiavitù moderna, pubblicate pochi anni fa dalle Nazioni Unite, sono più di 40 milioni le persone nel mondo in condizione di schiavitù, di cui 25 milioni vittime di sfruttamento del lavoro e più di 15 milioni costrette a matrimoni forzati. A fronte di questi dati, l’ottavo degli Obiettivi di sviluppo sostenibile incorpora lo sradicamento delle forme moderne di schiavitù.

Si tratta infatti di un crimine per lo più sommerso, che colpisce tutti i paesi del mondo e che include, oltre al lavoro forzato e al matrimonio coatto, la tratta, il confinamento illegale, la servitù debitoria e altre forme di degradazione dei rapporti umani. A ragione quindi, più volte, papa Francesco ha definito quello della tratta di esseri umani un vero e proprio «flagello» a livello planetario.

Il faticoso cammino di comprensione e di contrasto

Il contrasto internazionale alla tratta contemporanea procede, ma con fatica e ambiguità. I sistemi di subappalti lavorativi rendono molti moderni schiavi invisibili e non definibili come tali, secondo attuali categorie giuridiche (i tanti diretti, in Italia, verso i campi dell’Agro Pontino o di Castel Volturno, o le stamperie di lusso venete – per citare degli esempi tra i più noti – non sono secondo il diritto vittime di una tratta).

Lo stesso Protocollo delle Nazioni Unite sulla Tratta degli esseri umani (2000) – osservano studiosi come James Hathaway – concentrando l’attenzione sulle rotte dei «barconi» o dei «coyotes», finisce per scorporare e concentrare l’attenzione su una piccola parte del problema, consentendo anche l’ostentazione politica di intenzioni virtuose, ma trascurando di fatto i grandi traffici gestiti da organizzazioni criminali internazionali.

Lo stesso confronto, in termini di risorse e visibilità, tra le missioni di pattugliamento dei mari, come Frontex, e lo sforzo impiegato in una verifica capillare del rispetto delle norme sul lavoro, mostra una sproporzione che rivela la necessità di un incremento significativo di quest’ultima (nel nostro paese gli ispettori del lavoro sul territorio sono 4.000 circa, per un 1.800.000 aziende con dipendenti).

Si aggiunga la scarsa attenzione culturale al problema, non solo per ignoranza diffusa ma anche – osserva papa Francesco nel discorso in occasione della IV Giornata Mondiale del 2018 – «perché tocca da vicino le nostre coscienze, perché è scabroso, perché ci fa vergognare».

Le religioni contro la tratta

Alcuni mali sociali non sono riconosciuti come tali per secoli. Fondamentale – e complessa – è stata la collaborazione tra forze religiose e laiche, Chiese e stati, nel percorso verso l’abolizione della tratta atlantica della schiavitù negli ultimi secoli: si pensi alle denunce quacchere del XVII secolo, alla morale cattolica di età moderna e alle prese di posizione di teologi anglicani nell’Ottocento; ci sono state le resistenze di Pio VII e dei paesi coloniali a maggioranza cattolica, ma anche la svolta impressa dal breve In Supremo Apostolatus di Gregorio XVI, su stimolo del primo ministro di un paese liberale e non cattolico quale il Regno Unito.

Anche oggi le religioni, quanto più sono smarcate da tentativi di strumentalizzazione politica, tanto più possono agire con l’autorità morale necessaria a trasformare abitudini e rompere tabù, affrontando i rischi della sfida nei confronti di élite politiche, poteri economici internazionali e mafie.

Con la loro ricchezza di narrazioni, rituali e immagini potenti, esse hanno la capacità di lavorare sull’immaginazione delle persone, e quindi i loro atteggiamenti e comportamenti, fondando un’antropologia che aiuti a ripensare e a rispettare la dignità di ogni persona umana, immagine di Dio. 

René Micallef insegna Teologia morale alla Pontificia università gregoriana.

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