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VINCERE

Con una lenta partenza circa un secolo fa, e una successiva accelerazione progressiva e vorticosa, noi occidentali abbiamo iniziato una sperimentazione sociale, forse la più vasta della storia umana: abbiamo gradualmente abolito l’infanzia come stagione protetta e speciale dell’essere umano, sostituendola con sempre più precoci richieste verso il bambino. Sempre più presto egli deve staccarsi dalla madre, diventare autonomo, assumersi responsabilità, incamerare consapevolmente conoscenza, competere,  vincere, automotivarsi, autoconsolarsi, interiorizzare regole, obbedienza ma anche intraprendenza e perché no, spirito imprenditoriale, iniziativa, originalità. In poche parole: essere, da subito, migliore degli adulti che lo hanno messo al mondo. D’altronde anche questi adulti sono trascinati da modelli irraggiungibili, impregnati di competitività, eccellenza, agonismo. Hanno interiorizzato l’idea di un mondo ostile dove non ci sono opportunità per tutti ma solo per i primi, non importa primi in che cosa, purché primi. Autorevoli commentatori suggeriscono che i successi scolastici e le promozioni o non sono per tutti o non hanno valore: ci dev’essere una selezione darwiniana dove il meno adatto soccombe. L’importante non è partecipare ma vincere, e con qualunque mezzo.

Temo che questa Grande Sperimentazione stia dando, col tempo, pessimi esiti soprattutto per i bambini di oggi, che sono figli o addirittura nipoti della prima generazione che ha partecipato a quel grande esperimento: essi affrontano un mondo difficile con scarse risorse personali, ovvero forme di attaccamento variamente disturbate, deprivazione da relazioni intime rispecchianti e rinforzanti, una vita troppo precocemente distaccata dall’ambiente caldo e rassicurante della diade madre-bambino. Fuori casa trovano un mondo che non dà loro chiari limiti e orizzonti di azione ma richieste, e che in ogni luogo dice loro che “i posti sono limitati”. Vivono in un mondo che fondamentalmente li minaccia di esclusione.

Ciascuno degli ineffabili commentatori da salotto depreca quel che ha di fronte: le incapacità dei genitori, o della scuola, o l’abuso di social media o di videogame, lo scarso rispetto dello studio tradizionale, o magari i problemi con l’ortografia, la grammatica, la storia, il galateo, l’empatia, e tanto altro. E ognuno sostiene che, se solo si potesse por mano a questo o quel singolo aspetto, il resto si sistemerebbe da sé. 

Amano illuderci, evidentemente. Sistemando questo o quello non andrà a posto un bel niente, o al massimo ci andrà per pochi privilegiati. Gli ammanchi nella costruzione degli individui sono ormai troppi, e troppi i finti supporti patologici e patogeni: videogame, social media, violenza, ritiro, odio e paura. Troppo deboli gli anticorpi, perché, sul terreno di un modello economico che produce diseguaglianze, esclusione e precarietà, qualunque buon seme fatica a germinare.

Da tempo la nostra civiltà in declino ha oltrepassato il punto di non ritorno, destinata com’è ad essere popolata da masse di individui malformati dentro, impauriti, carichi di odio e di impulsi di rivalsa, afflitti da un vasto senso di perdita e di depauperamento. Desiderosi, semplicemente, di agire la propria distruttività. Non odiano qualcuno, odiano tutto, perfino sé stessi. Anzi, all’odio di sé sono stati educati proprio dal loro mondo. Si odiano perché non sono eccellenti, non sono primi, si odiano perché sono dei perdenti. Ora, nella propaganda guerresca di questi mesi, vediamo dispiegarsi in tutta la sua potenza la retorica del vincere. Non si parla più di pace, si parla di vincere. Schiacciare l’avversario. Annientare.

Io non credo che potremo fermare o deviare questa china. Non certo riscoprendo il valore dell’ortografia, dell’analisi logica, del rispetto, del merito o della gerarchia o di altri “valori”. Noi italiani stiamo abbarbicati alla nostra amata Costituzione, che merita peraltro tutto il nostro amore, ma non ci rendiamo conto che essa, per le nuove generazioni, parla una lingua che nemmeno in sogno esse possono comprendere. E non la comprendono più nemmeno troppi nostri politici.

Per questo temo sia tempo perso ogni ricerca di soluzioni parziali e dunque votate al fallimento. Forse ora non resta che tentare di salvare persone. Profughi in ogni senso. Profughi della mente, del sé, dell’umanità. Altri, in altri luoghi, salvano profughi di guerre, disastri e migrazioni. Letteralmente non sappiamo verso dove andare: conservatori, progressisti, destra, sinistra… categorie divenute ormai ciarpame rugginoso. Resta il preservare: custodire intatto, salvare da un male futuro. Un male futuro terribilmente vicino al presente.

L’immagine in evidenza è un particolare della locandina dell’omonimo film di M. Bellocchio

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1 commento su “VINCERE”

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