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Microbioma: la comunicazione tra intestino e cervello

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la comunicazione tra intestino e cervello

DOTTNET | 06/05/2022 16:10

Le strategie per modificare il microbioma possono essere organizzate in due gruppi: quelle che utilizzano microrganismi viventi, come i probiotici, e quelle che utilizzano componenti non viventi

Dopo aver chiarito i meccanismi alla base delle associazioni malattie-microbioma, sono emerse molte opportunità per la progettazione e lo sviluppo di nuove strategie terapeutiche per il microbioma.1 La medicina del microbioma può essere definita come la pratica di prevenire o trattare le malattie attraverso la manipolazione del microbioma.1

I cambiamenti nella composizione o nel funzionamento del microbioma possono portare a uno stato di disbiosi che può verificarsi in risposta a numerosi fattori, tra cui l’esposizione ad antimicrobici, una dieta carente di fibre, l’utilizzo multiplo di farmaci, lo stress psicologico e la mancanza di attività fisica.1×

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Diverse patologie sono state associate ad uno stato di disbiosi: le infezioni (ad esempio, Clostridioides difficile), il cancro (ad esempio, del colon-retto), le malattie metaboliche (ad esempio, il diabete mellito di tipo 2), le malattie infiammatorie intestinali (IBD), diversi disturbi neurologici (ad esempio, sclerosi multipla e Parkinson) e numerose condizioni immunologiche (per esempio, la dermatite atopica).1 Molte delle patologie sopra elencate non hanno terapie preventive o curative, per cui affrontarle attraverso la regolazione del microbioma rappresenta il superamento di una necessità clinica insoddisfatta.1

Le strategie per modificare il microbioma possono essere organizzate in due gruppi: quelle che utilizzano microrganismi viventi, come i probiotici, e quelle che utilizzano componenti non viventi (ad esempio, postbiotici, prebiotici e peptidi).1

La progettazione e la selezione dei probiotici si può avvalere sempre più dell’ingegneria genetica per dotare i microrganismi vivi di funzionalità selezionate, come legarsi a molecole precise, percepire e rispondere agli agenti patogeni e secernere peptidi, acidi nucleici o metaboliti per scopi terapeutici precisi.1 Per esempio, Verma e coll. hanno sviluppato un ceppo di Lactobacillus paracasei in grado di esprimere il gene che codifica per l’enzima di conversione dell’angiotensina umana 2 (ACE2), riducendo significativamente la gravità della retinopatia diabetica in modelli murini.1

L’asse intestino-cervello. Da quando è stata delineata l’intricata relazione tra il microbiota intestinale e il sistema nervoso centrale, i probiotici sono stati utilizzati per modulare il microbioma intestinale con la speranza di migliorare anche la salute del cervello.2 I microrganismi che colonizzano l’intestino interagiscono localmente con le cellule e il sistema nervoso enterico, ma anche direttamente con il sistema nervoso centrale attraverso le vie neuroendocrine e le vie metaboliche, tanto è vero che l’invecchiamento è strettamente associato a composizione e funzioni intestinali alterate.2 In aggiunta, l’assenza di colonizzazione microbica è stata associata con anomalie dei neurotrasmettitori sia nel sistema nervoso enterico che centrale, infatti, ci sono molte evidenze che riguardano composti neuro-attivi prodotti dai Lactobacilli coinvolti nella produzione di neurotrasmettitori.2

Il microbioma e l’invecchiamento. L’invecchiamento è spesso associato alla disbiosi del microbiota intestinale, probabilmente a causa della diminuita motilità intestinale negli anziani.2 Nell’ultimo decennio, sono stati condotti numerosi studi clinici sull’uso di probiotici come ipotetici psicobiotici in soggetti anziani, ossia, batteri benefici, in particolare probiotici, che se consumati in quantità adeguate, influenzano il rapporto batteri-cervello.2 Tra i benefici terapeutici degli psicobiotici ci sono: effetti sistemici sulla risposta allo stress; cambiamenti fisiologici nei neurotrasmettitori e nelle proteine neurali; cambiamenti psicologici, compresi i cambiamenti nelle funzioni emotive e cognitive.2 Uno studio recente ha mostrato la capacità dei probiotici nel migliorare la funzione cognitiva dei pazienti con malattia di Alzheimer, fornendo evidenze dei promettenti effetti terapeutici dei probiotici sulla cognizione, specialmente durante l’invecchiamento.2

In conclusione, guardando al futuro è consigliabile che i ricercatori, per la progettazione di nuovi trattamenti, si concentrino sugli aspetti funzionali del microbioma e soprattutto sulla fisiopatologia per avere maggiori probabilità di successo rispetto ad ottenere un cambiamento generale nella composizione del microbioma.1 Inoltre, maggiore attenzione dovrebbe essere data all’identificazione delle popolazioni di pazienti target per cui definire le nuove terapie, così come alle potenziali variabili negli studi clinici sul microbioma.1 Al momento, il microbioma probabilmente custodisce molte opportunità terapeutiche non ancora sfruttate, ma che potrebbero essere tradotte in farmaci di successo in grado di migliorare la vita dei pazienti affrontando bisogni clinici insoddisfatti.1

Bibliografia

1. McCoubrey LE, Elbadawi M, Basit AW. Current clinical translation of microbiome medicines. Trends Pharmacol Sci. 2022;43(4):281-292.

2. Ong JS, Lew LC, Hor YY, Liong MT. Probiotics: The Next Dietary Strategy against Brain Aging. Prev Nutr Food Sci. 2022;27(1):1-13.

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