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Orientamento, capitale umano e ideologia

Nonostante la gravità del momento che stiamo vivendo, si sente di nuovo parlare di …ORIENTAMENTO. Forse nella scuola non c’è ambito più intriso di ideologia e di falsa coscienza dell’orientamento. Si trova stretto tra due opposte e inconciliabili esigenze: l’ostentazione di una cura quasi materna attenta a sviluppare il potenziale di ciascuno e a indirizzare ciascuno proprio e soltanto nella propria strada, per la quale è nato ed è “dotato di talenti”. Sull’altro versante c’è il mondo delle imprese, soprattutto di quelle che sanno fare la voce grossa nel pretendere che la scuola confezioni esattamente ciò che serve loro e nella giusta quantità. Su questo versante pesano inoltre le politiche del lavoro e relative leggi di riforma neoliberista in direzione di una costante precarizzazione e parcellizzazione del lavoro. “… l’orientamento rappresenta un processo formativo continuo, una “educazione alla scelta”, che accompagna la persona lungo tutto il corso della sua vita” (P. Bianchi)

Sono almeno 20 anni, dal Nuovo Obbligo Scolastico di Berlingueriana memoria, che si parla di lifelong learning, versione da libro Cuore di quello che nel frattempo i giuslavoristi stavano cucinando per i giovani: lavoro precario, senza tutele, interstiziale e parcellizzato. La versione ufficiale argomentava con i nuovi lavori, che avrebbero richiesto nuove competenze, ma se andiamo a valutare quantitativamente e qualitativamente quali cambiamenti siano davvero avvenuti nell’universo lavorativo, scopriremo che gran parte delle mansioni sono le stesse da decenni e che, ahimè, non servono nuove competenze per passare da una cooperativa esternalizzata di carico-scarico merci a un’altra che fa lo stesso lavoro a costi inferiori sfruttando maggiormente i lavoratori.

Con la parola competenze, usata e abusata negli ultimi anni, giungiamo a un altro concetto chiave della visione neoliberale della scuola: “capitale umano”, ovvero una testimonianza vivente della raffinatezza terminologica della neolingua liberista. Come un Giano bifronte, essa riesce a guardare in due direzioni radicalmente opposte: di qua soddisfa le ambizioni di coloro che vogliono vedere in ogni individuo un potenziale specifico di talenti che sono li, pronti per essere scoperti da un padre infinitamente buono che dedica la sua vita a valorizzarli. 

La teoria dei talenti, assai apprezzata da molti, ma in definitiva priva di basi epistemologiche congrue, funziona molto bene come incarto colorato per ammaliare genitori plaudenti e magari insegnanti a caccia di novità. Le chiamano eccellenze, o plusdotazioni. Affascina il dodicenne che già collabora con un dipartimento di ricerca in biologia molecolare. Perché no, un direttore d’orchestra quattordicenne. Siamo una civiltà con il turbo: ci piace molto alimentare queste cosiddette eccellenze, non ci basta prenderne atto, le cerchiamo, le titilliamo, le spingiamo sempre più su.

Sull’altro versante la parola chiave è “capitale”: in economia il capitale è rappresentato a seconda dei casi da denaro o da mezzi di produzione; in tutti i casi si tratta del lato non umano del lavoro. A ben guardare l’espressione “capitale umano” è essenzialmente un ossimoro, economicamente prima che moralmente. 

Quando si parla di capitale umano in effetti ci si riferisce non tanto all’essere umano che lo contiene ma al denaro e alle risorse spese nell’istruzione e formazione necessarie per dotarlo di competenze. In ultima analisi la visione neoliberale dell’uomo è quella di un contenitore vuoto che, grazie a una spesa (capitale) viene riempito di competenze. Il suo spessore quindi non è quello di un essere vivente ma in definitiva di una macchina. E come ogni macchina di tanto in tanto necessita di un aggiornamento del sistema operativo: ecco il lifelong Learning

Forse è questa la critica più radicale e ultimativa alla cosiddetta didattica per competenze: essa pretende di garantire che la merce lavoro sia sempre più una merce acquistabile, scambiabile, spostabile, esternalizzabile e scomponibile, nonché suscettibile di aggiornamenti come le applicazioni che girano sui nostri smartphone. 

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