La pandemia tabagica: malattie e stragi evitabili
- di editor
La pandemia tabagica causa malattie e stragi evitabili
di Francesco Domenico Capizzi*
Accantonata l’idea, dimostratasi balzana, che il fumo di tabacco possegga il potere di incrementare le capacità intellettive e di suggerire all’osservatore un segno distintivo personale, in mezzo alla crescente emersione delle indistinte masse popolari, è residuata la pretesa aurea di emancipazione e convivialità insita nella cerimonia del fumo.
Trascorsi molti decenni dal 1938, allorché la già prestigiosa Rivista scientifica Science denunciò le conseguenze patogene derivanti dal tabagismo, in termini di degenerazioni tissutali, malattie, invalidità e significativa minore attesa di vita, nulla di serio è stato ideato e realizzato per combattere la pandemia tabagica da cui derivano stragi annuali in tutti i Paesi dell’intero globo per malattie evitabili cronico-degenerative. Di fatto il tabagismo conduce direttamente o favorisce, soprattutto nei Paesi industrializzati (in Italia provoca 90-93.000 e oltre decessi per anno), a tumori (30-95% a seconda delle localizzazioni), arteriopatie (90%), enfisemi polmonari (80%), infarti cardiaci (4/5), ictus cerebrali (80%), cataratte (70%), sordità (20%), e sostanzialmente contribuisce plasticamente alla stesura di ogni indice di Trattati di Patologia medica e chirurgica (OMS 2020, ISTAT 2021).
La linea di confine socio-sanitaria, in realtà, si colloca fra chi fuma, sigarette e affini, prima ancora delle quantità e delle modalità, e chi non fuma e non sia soggetto a fumo di seconda mano (fumo passivo) o a fumo di terza mano a cui soprattutto vanno incontro i bambini inalando i residui della combustione sparsi su mobili, tappeti e superfici varie.
Risultano in Italia (Istituto Superiore di Sanità, maggio 2022) 12,4 milioni (24.2 della popolazione) di fumatori, ex- fumatori 14,9% della popolazione italiana e non fumatori il 60,9%. La prevalenza più alta di fumatori di sesso maschile si registra nella fascia d’età compresa tra i 25 e i 44 anni (42,9), mentre nella fascia 45-64 anni si assiste alla prevalenza più alta tra le donne (24,5%). Oltre i 65 anni le prevalenze sono più basse in entrambi i sessi.
Tra i fumatori di sesso maschile si registra la percentuale più alta di chi fuma più di 20 sigarette al giorno (25,6% rispetto al 13,4% delle donne) mentre tra le fumatrici la percentuale più bassa di chi fuma meno di 9 sigarette al giorno (36,0% rispetto al 31,4% degli uomini). Quasi la metà dei fumatori fra i 15 e i 24 anni (49,8%) fuma meno di 9 sigarette al giorno, ma il 45,5% ne consuma tra le 10 e le 19.
Vengono fumate sigarette già confezionate nell’84,9% e di sigarette fatte a mano, perché costano meno, nel 14,9%. Queste percentuali tendono a modificarsi rispetto a quanto registrato nel 2019: 90,2% per le sigarette confezionate, 18.3% per le sigarette fatte a mano, più diffuse fra i giovanidi sesso maschile residenti nelle regioni del Centro Italia.
Gli utilizzatori abituali e occasionali di e-cig ammontano a 1.200.000 ( 2,4%) in netto aumento. L’81,9% di chi usa la sigaretta elettronica è un fumatore, dunque un consumatore duale che fuma le sigarette tradizionali e contemporaneamente l’e-cig. Il 2,8% dei fumatori abituali o occasionali di sigaretta elettronica sono invece persone che prima di utilizzare l’e-cig non avevano mai fumato sigarette tradizionali.
Le sigarette a tabacco riscaldato (Htp) vengono utilizzate abitualmente o occasionalmente da 1.700.000 persone (3,3%). Il loro consumo è triplicato: dall’1,1% del 2019 al 3,3% di quest’anno.
Relativamente alla percezione del rischio per la salute derivante dall’uso di e-sigarette e di sigarette a tabacco riscaldato, si osserva che sebbene la maggioranza dei fumatori (il 52,2%) ritenga che esse siano dannose al pari delle sigarette tradizionali, il 36,6% ritiene che lo siano meno: quest’ultima percezione si è maggiormente diffusa tra i fumatori attuali rispetto a quanto rilevato nel 2019.
Sebbene esistano oggi in Italia 223 Centri antifumo (292 nel 2019, di cui 61% al Nord, 17% al Centro, 22% al Sud e nelle Isole) non ci si può minimamente considerare soddisfatti delle misure adottate: a parte qualche campagna dissuasiva priva di informazioni e unicamente esortativa, si può considerare positivo il divieto di fumo nei locali pubblici del 2004: – 5% nel primo anno del divieto, poi dimostratosi ininfluente sul numero di fumatori e del consumo complessivo di tabacco e affini. Basterebbe almeno un’informazione pubblica capillare e il maggior costo delle sigarette per ridurne il consumo.
Il dato principale è che, di fatto, le varie Istituzioni politiche e scientifiche continuano ad ignorare i dati clinico-statistici che derivano dalle varie modalità di tabagismo e di pratiche inalatorie, senza neppure portarli ad una reale e concreta conoscenza e consapevolezza di tutti i cittadini. Questa inerzia, colpevole, induce a deformazioni del significato e del valore del bene comune, in definitiva al tradimento dell’articolo 32 della nostra Costituzione, a considerazioni erronee circa l’addebitare l’incremento esponenziale dei tumori ai soli devastanti inquinamenti ambientali e ad indulgere, inopinatamente anche da parte di medici (30-40% anch’essi fumatori), sulle modiche quantità di tabacco consumato. Infatti è noto che “la rottura del DNA e l’innesto del processo tumorale, per doppie sfilacciature che si fondono nella cellula, possono succedersi anche con un numero di sigarette fumate ritenuto erroneamente esiguo” (W. Sanders: Journal of cancer, 1979, 25, 443).
* già docente di Chirurgia generale nell’Università di Bologna e direttore delle Chirurgie generali degli Ospedali Bellaria e Maggiore di Bologna