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La pandemia tabagica

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Fumo: le domande più frequenti

Quali sostanze contiene il fumo, la differenza tra sigarette light e non, gli effetti del fumo passivo e in gravidanza e altro ancora. Le risposte alle domande più frequenti sul fumo.

Perché si insiste tanto sui rischi del fumo?

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità il fumo di sigaretta è la più importante causa di morte evitabile nella nostra società: ogni anno nel mondo a causa del tabacco perdono la vita circa 8 milioni di persone, delle quali 1,2 milioni non fumatrici, ammalate a causa del fumo passivo. Sempre secondo l’OMS, l’80 per cento degli 1,1 miliardi di fumatori nel mondo vive in Paesi a basso e medio reddito, e il fumo contribuisce così ad aggravare eventuali problemi di salute legati alla scarsità di risorse economiche.

Secondo il ministero della Salute, le vittime della sigaretta in Italia ogni anno sono tra le 70.000 e le 83.000. Prima dell’entrata in vigore della cosiddetta legge Sirchia (2003) che ha vietato il fumo nei luoghi pubblici e di lavoro, fumava il 23,8 per cento della popolazione sopra i 14 anni. Dopo quella data, il calo dei fumatori è quasi raddoppiato, passando da una diminuzione di circa lo 0,7 per cento annuo tra il 1993 e il 2003 a una del 1,3 per cento annuo tra il 2003 e il 2018, soprattutto grazie al fatto che le donne fumatrici, che prima del 2003 aumentavano dello 0,4 per cento l’anno, hanno cominciato invece a diminuire dello 0,9 per cento l’anno. Anche gli uomini fumatori calano dell’1,6 per cento ogni anno.

Secondo i dati del 2018 (gli ultimi disponibili) l’abitudine al fumo è maggiormente diffusa tra i giovani. In particolare, la percentuale più elevata si raggiunge tra i 20-24 anni sia per gli uomini (32,4 per cento) sia per le donne (22,2 per cento). In generale, tra i 18 e i 69 anni, la maggioranza degli adulti non fuma (57 per cento) o ha smesso di fumare (17 per cento), ma un italiano su 4 è fumatore attivo (25 per cento). Il fumo di sigaretta è un’abitudine più frequente fra le classi socioeconomiche più svantaggiate (meno istruite e/o con maggiori difficoltà economiche) e negli uomini. Il consumo medio giornaliero è di circa 12 sigarette, tuttavia un quarto dei fumatori ne consuma più di un pacchetto. 

Ancora oggi l’Istituto superiore di sanità stima che il fumo di tabacco sia responsabile di un terzo delle morti per cancro e del 15 per cento circa di tutti i decessi che avvengono per qualunque causa, provocando più vittime di alcol, AIDS, droghe, incidenti stradali, omicidi e suicidi messi insieme. Molti studi scientifici hanno infatti dimostrato che chi fuma tabacco rischia più degli altri di sviluppare almeno 27 famiglie di malattie, non solo tumorali, che diventano 50 e più se considerate in tutte le loro ramificazioni. Il fumo aumenta di circa 10 volte il rischio di morire di enfisema, raddoppia quello di avere un ictus e aumenta da due a quattro volte quello di essere colpiti da un infarto, danneggia la circolazione del sangue al cervello e agli arti e può favorire la comparsa di una disfunzione erettile nell’uomo. In generale, secondo l’OMS, il tabacco uccide metà dei suoi consumatori.

Le sostanze cancerogene contenute nel fumo favoriscono lo sviluppo di tumori al polmone, che in 9 casi su 10 possono essere ricondotti a questa abitudine non salutare; ma stimolano anche in diversa misura i tumori del cavo orale e della gola, del pancreas, del colon, della vescica, del rene, dell’esofago, del seno, soprattutto tra le donne più giovani, e di alcune leucemie. Infine non bisogna trascurare l’impatto economico del fumo: per curarne le conseguenze, secondo i dati dell’Istituto superiore di sanità pubblicati nel 2017, in Italia sono stati spesi (solo in costi sanitari, per non parlare di quelli sociali e umani) circa 6,5 miliardi di euro l’anno. A livello mondiale si spendono circa 1.000 miliardi l’anno, a fronte di 270 miliardi di entrate legate a tasse e monopoli: un “affare” in perdita secca.

Che cosa si inala con il fumo di sigaretta? In che modo le sostanze contenute nel fumo favoriscono lo sviluppo dei tumori?

Ogni volta che si accende una sigaretta si introducono oltre 4.000 sostanze chimiche, almeno un’ottantina delle quali, secondo l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), sono anche cancerogene. Con ogni boccata si inalano:

  • monossido di carbonio, lo stesso gas responsabile degli avvelenamenti da gas di scarico delle auto e delle stufe, che impedisce all’ossigeno di legarsi all’emoglobina e, di conseguenza, provoca danni cardio-vascolari;
  • nicotina, responsabile degli effetti sul cervello del fumo e quindi anche della dipendenza fisica;
  • catrame, che contiene molte sostanze cancerogene come benzopirene e altri idrocarburi aromatici;
  • acetone, come quello usato per togliere lo smalto dalle unghie;
  • ammoniaca;
  • arsenico;
  • formaldeide;
  • acido cianidrico;
  • nitrosamine;
  • sostanze radioattive e molte altre.

Si ritiene che i costituenti del fumo con maggiore potenziale cancerogeno siano l’1,3-butadiene, l’arsenico, il benzene e il cadmio. Il primo, pur essendo meno potente di altre sostanze, è considerato il più importante perché presente nel fumo di sigaretta in grandi quantità; l’arsenico è particolarmente pericoloso anche perché tende ad accumularsi nell’organismo e interferisce con la capacità di riparare i danni al DNA; il benzene è responsabile di una quota significativa (dal 10 per cento al 50 per cento) delle leucemie provocate dal fumo; il cadmio introdotto fumando sigarette è in quantità tali da superare la capacità dell’organismo di neutralizzarne l’azione tossica.

Tra le sostanze radioattive è di particolare rilievo il polonio 210: un’analisi del contenuto di polonio radioattivo in sigarette di diverse marche diffuse in Italia ha dimostrato che in un anno, in media, chi fuma circa un pacchetto al giorno corre lo stesso rischio biologico che se si sottoponesse a 25 radiografie del torace. Questa sostanza infatti si deposita nei polmoni, esponendoli ad altissime dosi di radiazioni ad alta energia che possono indurre mutazioni potenzialmente cancerogene nel DNA.

Come le radiazioni, anche molte sostanze chimiche contenute nel catrame di sigaretta danneggiano il DNA delle cellule, provocando mutazioni che possono spingere la cellula verso una crescita incontrollata. Il benzopirene, uno degli idrocarburi policiclici aromatici più studiati, tende per esempio a mettere fuori uso il gene che codifica per la proteina p53, una delle molecole più importanti per proteggere l’organismo dal cancro.

Gli effetti negativi di queste sostanze sono potenziati quando vengono assunte tutte insieme, come avviene quando si inala il fumo di sigaretta. Un esempio di questo effetto sinergico si ha, per esempio, con il cromo: agendo come una colla, fa aderire più saldamente le altre sostanze cancerogene al DNA, favorendo le mutazioni che questi possono provocare. Altri esempi sono l’arsenico e il nichel, che interferiscono con i normali meccanismi di riparazione del DNA, deputati a correggere gli errori a mano a mano che si verificano. In questo modo le interazioni fra le diverse sostanze amplificano i danni provocati sul materiale genetico.

Le sostanze cancerogene contenute nel fumo possono infine favorire lo sviluppo dei tumori in maniera indiretta, ostacolando i meccanismi di rimozione di altre tossine (per esempio distruggendo le ciglia delle cellule che rivestono le vie respiratorie, come fanno ammoniaca e acido cianidrico), o bloccando gli enzimi che le trasformano in sostanze meno pericolose, come fa il cadmio.

Qual è il numero massimo di sigarette che si possono fumare senza rischi?

Non esiste una soglia di sicurezza sotto la quale il fumo non produce danni, anche perché le conseguenze tendono ad accumularsi nel tempo. Per questo, negli studi che indagano il legame del fumo con le varie malattie, si usa come unità di misura il “pacchetto-anno”, un criterio che tiene conto del numero di sigarette fumate in media ogni giorno ma anche della durata del periodo di esposizione. In altre parole, fumare mezzo pacchetto al giorno per due anni equivale a fumarne uno intero per un anno.

Le mutazioni prodotte dalle sostanze cancerogene, inoltre, si sommano ma avvengono ogni volta in maniera casuale. Ciò significa che il rischio aumenta con il passare degli anni, ma non è del tutto prevedibile il tempo necessario a trasformare una cellula sana in una tumorale. È stato calcolato che mediamente ogni 15 sigarette fumate si verifica almeno una mutazione. In pratica ogni volta che si apre un nuovo pacchetto è come se si giocasse alla roulette russa.

Ciò non significa che tutti i fumatori svilupperanno un tumore, né che la malattia non possa insorgere in persone che non hanno mai messo in bocca una sigaretta. Molti altri elementi, genetici o ambientali, possono contribuire a proteggere l’organismo o viceversa a favorire lo sviluppo di un tumore, ma non fumare (o smettere) è certamente uno dei passi più importanti che si possono fare per ridurre il proprio rischio personale di ammalarsi.

Non bisogna credere che condurre una vita per altri versi sana, come mangiare molta frutta e verdura o svolgere una regolare attività fisica possa bastare a compensare i danni provocati dal fumo. Nessuno di questi fattori, per quanto utili al benessere dell’organismo e alla prevenzione delle malattie, ha lo stesso peso del fumo di sigaretta.

Cominciare a ridurre il numero di sigarette quotidiane può essere un modo per abituarsi all’idea di smettere, ma deve essere la prima fase di un percorso che porta a zero il numero di sigarette quotidiane. Chi si limita solo a fumare meno torna al punto di partenza non appena si trova in una situazione di stress.

È meglio scegliere sigarette “leggere”? Pipa e sigaro fanno meno male?

Il termine “leggere” (o light, o mild, o low tar) riferito alle sigarette è fuorviante, perché la differenza con quelle normali, in termini di effetti sulla salute, è irrilevante. L’idea che facciano meno male può spingere invece a fumarne di più e soprattutto riduce le probabilità che il fumatore decida di smettere. Inoltre diversi studi scientifici hanno dimostrato che chi utilizza le cosiddette sigarette “leggere” fa boccate più lunghe e profonde. Di conseguenza il dosaggio delle sostanze tossiche nel sangue di queste persone non è inferiore a quello che si ritrova nei fumatori di sigarette più “forti”, né il loro rischio di ammalarsi nel tempo appare ridotto. I risultati di uno studio, presentati nel 2019 al congresso annuale dell’American Thoracic Society, dimostrano che non vi sono differenze, nell’incidenza di tumori polmonari, tra fumatori di sigarette light e ultra-light e fumatori di sigarette standard. Per questo l’Unione Europea nel 2003, e la Food and Drug Administration (FDA) americana nel 2010, hanno imposto di eliminare dalle confezioni le definizioni di “leggere” (mildlight o low tar) che potevano trarre in inganno il consumatore. Studi condotti dopo l’introduzione di questi provvedimenti hanno tuttavia mostrato che, nonostante queste espressioni non fossero riportate esplicitamente sui pacchetti, il consumatore tende ingenuamente a pensare che i marchi “gold” o “silver”, o le confezioni con colori più chiari corrispondano a formulazioni meno dannose. Ecco perché in molti Paesi le sigarette, siano esse “leggere” o “forti”, sono vendute in confezioni uniformi che le rendono meno appetibili. In Australia, ad esempio, la legge al riguardo è stata introdotta nel 2012; in Italia, invece, i pacchetti di sigarette riportano dal 2016 le avvertenze combinate (testo e immagini) degli effetti del fumo sulla salute.

Se le sigarette leggere non rappresentano una scorciatoia, neppure il sigaro e la pipa sono alternative più sicure, come molti erroneamente credono, anche se portano a inalare il fumo meno profondamente. Ciò riduce leggermente il rischio di tumore al polmone rispetto a quello di chi fuma sigarette, ma le probabilità di sviluppare la malattia sono comunque molto più alte che tra i non fumatori. Inoltre fumare sigaro e pipa favorisce lo sviluppo di tumori della bocca, della gola, dell’esofago e di altri organi come il pancreas.

Cosa si inala con la cosiddetta sigaretta elettronica?

Con il nome di sigaretta elettronica (spesso abbreviata in e-cig, dall’inglese) si intende un dispositivo con cui inalare vapore che può contenere quantità variabili di nicotina. Questa raggiunge l’apparato respiratorio senza che ci sia combustione del tabacco, una delle cause principali dei danni correlati all’abitudine al fumo. Le e-cig contengono in genere tra 6 e 24 mg di nicotina, in una miscela composta anche da acqua, glicole propilenico, glicerolo ed altre sostanze, tra cui gli aromatizzanti.

Si tratta di sostanze potenzialmente dannose. Il glicole propilenico è usato da tempo, per esempio nei fumogeni impiegati nell’industria del cinema e nei concerti pop, ed è considerato generalmente sicuro, anche se alcuni studi indicano che l’inalazione prolungata può dare origine a irritazione delle vie aeree, tosse e in casi molto rari asma e riniti. Fra l’altro il riscaldamento del glicole propilenico e della glicerina può produrre formaldeide e acetaldeide, entrambi potenziali cancerogeni, anche se le quantità associate al consumo di e-cig appaiono modeste.

Anche sulla sicurezza delle sostanze usate per aromatizzare l’aerosol mancano . Per esempio il diacetile, un aroma molto utilizzato fra l’altro nel burro, sembra essere sicuro quando viene ingerito, ma è associato all’insorgenza di bronchiolite obliterante se viene inalato per lunghi periodi in alte concentrazioni.

Secondo uno studio i cui risultati sono stati pubblicati nell’aprile del 2017 su una rivista della Società americana di fisiologia, sono circa 7.000 i diversi composti aromatizzanti contenuti nelle sigarette elettroniche ancora non studiati dal punto di vista della cancerogenicità.

La sigaretta elettronica è una alternativa sicura al fumo di tabacco?

Nonostante la necessità di ulteriori studi, vi è oggi consenso sul fatto che in confronto al consumo tradizionale di prodotti del tabacco le sigarette elettroniche possano assicurare una riduzione del danno significativa da combustione per il fumatore e per chi gli vive accanto (non sembra infatti provocare effetti analoghi a quelli del fumo passivo).

Uno studio i cui risultati sono stati pubblicati nel febbraio del 2017 sulla rivista Annals of Internal Medicine (sostenuto dall’organizzazione no profit britannica Cancer Research UK) ha per la prima volta confermato che l’abbandono della sigaretta tradizionale a beneficio di quella elettronica comporta a distanza di soli sei mesi una riduzione significativa delle sostanze cancerogene presenti nell’organismo.

Tuttavia, rispetto alle rassicurazioni iniziali dei produttori sulla totale innocuità delle sigarette elettroniche e sulla loro efficacia come strumento per sconfiggere la dipendenza dalla nicotina, rimangono aperti alcuni punti interrogativi che richiedono ulteriori ricerche. Una revisione sistematica di tutti gli studi presenti nella letteratura scientifica, i cui risultati sono stati pubblicati nel 2016 sulla rivista Lancet Respiratory Medicine, ha concluso che l’uso della sigaretta elettronica da parte dei fumatori sarebbe associato a una minore probabilità di sconfiggere la dipendenza da nicotina.

Quindi, per quanto riguarda i fumatori, la sigaretta elettronica potrebbe rappresentare un’efficace misura per la riduzione del danno, anche se non è ancora del tutto chiaro se possa essere più o meno utile rispetto agli altri metodi in uso per sconfiggere definitivamente la dipendenza dalla nicotina.

non fumatori dovrebbero invece guardare alle sigarette elettroniche, con o senza nicotina, come a una potenziale fonte di problemi di salute.

Che cosa sono le sigarette a riscaldamento di tabacco?

Le cosiddette sigarette a riscaldamento del tabacco o sigarette che non bruciano (“heat-not-burn tobacco products” o HTP) sono dispositivi elettronici che, diversamente dalle cosiddette e-cig, le sigarette elettroniche, contengono foglia di tabacco.

La sigaretta, inserita in un apposito bruciatore elettrico, viene scaldata ad alta temperatura (circa 350 °C rispetto ai 900 °C della sigaretta classica) ma non brucia direttamente. Si tratta di prodotti sviluppati dalle industrie del tabacco e note con diversi nomi commerciali.

Il vapore generato dal riscaldamento della sigaretta contiene nicotina a concentrazioni elevate e altre sostanze chimiche presenti nelle sigarette classiche, ma a concentrazioni inferiori, anche se queste informazioni provengono soprattutto da studi effettuati dalle industrie del tabacco stesse per ottenere la registrazione del prodotto da parte delle autorità. Gli stessi composti volatili presenti nelle sigarette classiche si ritrovano nelle sigarette a riscaldamento, secondo i risultati di uno studio pubblicati nel 2017 su JAMA Internal Medicine.

Che impatto hanno le sigarette a riscaldamento di tabacco sulla salute?

Alla luce degli studi effettuati sul contenuto delle sigarette a riscaldamento del tabacco, è ragionevole affermare, come fa la maggior parte degli esperti indipendenti, che il loro utilizzo crei dipendenza quanto la sigaretta comune mentre è possibile che il loro impatto sia minore per quanto riguarda il fumo passivo.

Per quanto riguarda tutti gli altri effetti sulla salute, mancano studi sufficientemente ampi e prolungati. Peraltro, gli effetti delle sigarette sul cancro sono evidenti decenni dopo l’inizio del fumo. I risultati di uno studio della fine del 2018, che ha analizzato gli effetti negativi di queste nuove sigarette sulle cellule, hanno dimostrato un effetto tossico maggiore rispetto alle sigarette elettroniche, ma minore rispetto alle sigarette classiche.

Secondo una nota informativa dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) aggiornata nel marzo 2020 [Fonte: https://www.who.int/tobacco/publications/prod_regulation/heated-tobacco-products/en/], i dispositivi che si basano sul principio del riscaldamento del tabacco sarebbero dannosi quanto le sigarette normali. Secondo l’OMS, infatti, “attualmente non vi sono prove sufficienti per dimostrare che i prodotti a tabacco riscaldato siano meno dannosi delle sigarette”. Gli HTP (Heat-not-burn tobacco products) contengono infatti “sostanze chimiche che non si trovano nel fumo di sigaretta e che possono avere effetti sulla salute”. Inoltre “più di 20 sostanze nocive o potenzialmente dannose sono presenti in misura più elevata negli HTP rispetto alle sigarette comune” e “alcune delle sostanze tossiche presenti in questi prodotti sono cancerogene”.

Quali sono gli effetti del fumo passivo?

È ormai stato ampiamente dimostrato che i danni del fumo si estendono anche a chi, per il fatto di vivere o lavorare insieme a uno o più fumatori, è stato costretto a respirare per anni sia il fumo emesso dal fumatore dopo che lo ha inalato (mainstream smoke), sia quello liberato direttamente dalla combustione della sigaretta (sidestream smoke). Ormai ci sono prove inequivocabili che il fumo passivo è responsabile di almeno una quota dei tumori al polmone nei non fumatori, oltre che di malattie cardiache, asma e altri disturbi meno gravi. È stato infatti calcolato che aver respirato il fumo altrui aumenta di circa il 25 per cento il rischio di tumore al polmone e di malattie al cuore di un non fumatore. Ci sono poi indicazioni, ancora da dimostrare definitivamente, che tale esposizione possa favorire anche lo sviluppo di tumori al seno e un andamento più sfavorevole della malattia. I risultati pubblicati sull’autorevole rivista Lancet, di uno studio effettuato da esperti dell’Organizzazione mondiale della sanità, hanno dimostrato che nel 2004 siano morte, per cause attribuibili al fumo passivo, oltre 600.000 persone, 165.000 delle quali bambini che vivevano in casa con un fumatore.

I danni del fumo passivo sono infatti particolarmente gravi nei più piccoli, il cui organismo è in fase di sviluppo. I neonati esposti al fumo sono più soggetti alla SIDS (sudden infant death syndrome), la cosiddetta “morte in culla” nel primo anno di vita. Anche passato questo pericolo, i bambini che vivono con fumatori restano più vulnerabili alle infezioni polmonari e sono più a rischio di asma. Ancora prima di nascere, il feto di una madre fumatrice rischia di avere problemi di salute.

Sulla base di queste prove scientifiche molti Paesi hanno adottato norme severe sul fumo nei luoghi pubblici e sui posti di lavoro, regole che in alcuni casi si estendono anche a spazi all’aperto, per esempio i campi gioco dei bambini. Ricerche condotte dalla Struttura di pneumologia dell’Istituto nazionale tumori di Milano hanno dimostrato che le concentrazioni di sostanze tossiche dovute al fumo possono essere molto significative anche nei locali all’aperto, in spiaggia o allo stadio.

Molti obiettano che non ha senso preoccuparsi del fumo passivo, quando viviamo in città tanto inquinate. Ferma restando l’assoluta necessità di intervenire sulla qualità dell’aria, a parità di esposizione ad altre sostanze è sempre il fumo, un cancerogeno potentissimo, a fare la differenza. Numerose ricerche scientifiche pubblicate negli ultimi 20 anni hanno inoltre dimostrato che l’inquinamento indoor, cioè negli ambienti chiusi come case, uffici, bar, è più pericoloso di quello all’aperto. Ciò perché si trascorre in genere molto più tempo all’interno che all’aria aperta e perché, date le piccole dimensioni degli spazi chiusi, la presenza di inquinanti domestici, di cui il fumo di sigaretta può essere la fonte principale, porta le concentrazioni di gas e polveri a livelli molto più alti.

Si parla infine anche di fumo di “terza mano”: è il possibile effetto tossico delle sostanze liberate dalla combustione del tabacco e che possono impregnare gli ambienti, in particolare i tessuti dei capi di abbigliamento o quelli di arredamento, come tende, tappeti, copriletti o poltrone e divani. A oggi sull’effetto cancerogeno di queste tossine non ci sono prove altrettanto convincenti di quelle riguardanti il fumo di “seconda mano”, cioè il fumo passivo comunemente detto. Molti ricercatori tuttavia stanno indagando anche in questa direzione. Per esempio, ad aprile 2020, la rivista Science Advances ha pubblicato i risultati di uno studio condotto da alcuni ricercatori della Yale University (USA) e del Max Planck Institute (Germania) che hanno analizzato l’aria di un cinema tedesco per verificare la presenza di composti organici volatili (noti come VOC, dall’inglese Volatile Organic Compounds). Le concentrazioni di diversi inquinanti pericolosi e potenzialmente cancerogeni, come benzene e formaldeide, raggiungono, negli ambienti analizzati in questa ricerca, livelli significativi. I ricercatori hanno stimato che gli spettatori sono stati esposti all’equivalente del fumo passivo di 1-10 sigarette. In ambienti di minori dimensioni, o poco ventilati, l’esposizione alle sostanze nocive prodotte dal fumo di sigaretta e trasportate dalle persone risulterebbe ancora più elevata.

Quali sono le conseguenze del fumo in gravidanza?

Aspettare un bambino è un’ottima occasione per smettere di fumare. Le future mamme possono trovare una forte motivazione a rinunciare alle sigarette, sapendo che proseguire significa, fra le altre cose, ridurre l’apporto di ossigeno al feto e quindi procurargli dei danni. Ci si può aiutare con i trattamenti sostitutivi a base di nicotina (sotto controllo medico), dal momento che cerotti, inalatori, caramelle e gomme da masticare non apportano più nicotina di quel che farebbero le sigarette. Se invece si continua a fumare, soprattutto dopo il terzo mese, crescono le probabilità che la gravidanza si interrompa, che il nascituro sia poco vitale, abbia un basso peso alla nascita oppure sviluppi altri problemi di salute. Le conseguenze del fumo in gravidanza si prolungano nel tempo: per tutto il primo anno di vita il bambino corre un maggior rischio di morte in culla e negli anni successivi sarà più esposto a malattie respiratorie come l’asma.

Tutti questi effetti possono essere prodotti anche dall’esposizione al fumo passivo: è molto importante, quindi, non fumare mai in presenza di una gestante.

Come si fa a smettere di fumare?

Non esiste un sistema per smettere che vada bene per tutti, anche perché diverse sono le motivazioni che spingono i fumatori e le modalità dell’abitudine al fumo, così come le caratteristiche psicologiche e fisiche, gli stili di vita e il tipo di attività professionale, e perfino le varianti genetiche da cui può dipendere una maggiore o minore predisposizione alla dipendenza fisica e psicologica.

La sola forza di volontà a volte non basta, neppure con l’aiuto dei tanti libri e tutorial online disponibili. Se si vuole provare da soli, è importante stabilire degli obiettivi precisi, come ad esempio un giorno adatto a spegnere l’ultima sigaretta, nel quale non si prevedano eventi particolarmente stressanti, non si debbano frequentare ambienti che possono indurre in tentazione e nel quale ci si possa dedicare ad altre attività piacevoli che possano distrarre dal desiderio di fumare. Programmare un’attività fisica che sia congeniale, per esempio, aiuta molto. Se però il fai-da-te fallisce, non bisogna scoraggiarsi. È possibile rivolgersi al proprio medico di famiglia o a uno dei centri antifumo accreditati, dove si utilizzano metodi per smettere di fumare coerenti con la letteratura scientifica internazionale, nonché trovare un aiuto competente e un supporto utile nei momenti di difficoltà, ricordando che smettere non è facile, mentre facilissimo è ricadere. La maggior parte degli ex fumatori non è riuscita a liberarsi dalla sigaretta se non dopo ripetuti sforzi, ma per fortuna a ogni nuovo tentativo le probabilità di riuscita aumentano. Non bisogna temere di ricorrere agli aiuti che si possono acquistare in farmacia. Ai sintomi dell’astinenza provocati dalla dipendenza fisica da nicotina (agitazione, stanchezza, irritabilità, insonnia o difficoltà di concentrazione) si può rimediare utilizzando i prodotti sostitutivi (cerotti, inalatori, caramelle o gomme da masticare), che liberano una quantità di sostanza sufficiente a eliminare i disturbi, riducendo gradualmente la necessità dei prodotti sostitutivi stessi.

Sotto controllo del medico questi mezzi possono essere utilizzati anche in gravidanza, perché i loro possibili effetti negativi sono comunque inferiori a quelli del fumo, che oltre alla nicotina contiene molte altre sostanze tossiche per il feto.

Se questi non bastano, ci si può rivolgere al proprio medico che saprà indicare i medicinali più adatti. In molti casi si è rivelato utile anche l’aiuto di uno psicologo adeguatamente formato.

Della validità delle sigarette elettroniche come mezzo per abbandonare il fumo, invece, nonostante la pubblicità, non ci sono ancora prove affidabili. Sono comunque in corso studi per verificare se questi dispositivi possono essere considerati sicuri e se possano sostenere la volontà di smettere.

Che cosa succede a chi smette di fumare?

Spesso a disincentivare i fumatori a smettere è la paura di ingrassare o di non riuscire a gestire lo stress senza l’aiuto della sigaretta. In effetti è esperienza comune che chi smette tende ad accumulare qualche chilo. L’aumento di peso si può tuttavia evitare se si presta attenzione a non sostituire la sigaretta con snack ipercalorici, e se si contrasta il desiderio di fumare con un po’ di attività fisica. In ogni caso, dal punto di vista della salute, le conseguenze negative di un piccolo aumento di peso non sono nemmeno paragonabili con quelle positive prodotte dalla rinuncia al fumo, senza contare che si tratta di aumenti generalmente transitori.

I vantaggi immediati dello smettere di fumare sono per il cuore e i polmoni, ma dopo cinque anni anche il rischio di sviluppare un tumore della cavità orale, della gola, dell’esofago e della vescica si dimezza e le probabilità di avere un tumore al collo dell’utero ritornano pari a quelle di chi non ha mai fumato. Dopo dieci anni diminuisce anche il rischio di cancro al pancreas e alla laringe, e la mortalità per cancro al polmone si dimezza rispetto a quella di chi continua a fumare.

Meglio non aspettare troppo a prendere questa sana decisione: chi smette prima dei 35 anni, secondo l’American Cancer Society, annulla al 90 per cento le conseguenze negative del fumo ed entro i 50 anni si può ancora dimezzare la mortalità nei 15 anni successivi rispetto a chi insiste. Anche chi smette a 60 anni od oltre, comunque, vive più a lungo di chi continua.

Infine, dalla decisione di smettere derivano molti altri vantaggi forse meno importanti, ma più immediati: le attività quotidiane possono essere svolte con meno affanno, si tornano a gustare l’aroma e il gusto dei cibi, le dita e i denti smettono di ingiallirsi, si risparmia denaro che si potrà utilizzare in altro modo. Chi fuma in media un pacchetto al giorno spende infatti circa 150 euro al mese, che in un anno diventano più di 1.800 euro: una cifra con cui ci si può fare davvero un gran bel regalo.

Se ho già sviluppato un tumore, che senso ha smettere?

Anche per chi ha già un tumore vale la pena smettere di fumare. Diversi studi hanno dimostrato che la rinuncia alla sigaretta migliora l’andamento della malattia: un’analisi condotta da ricercatori dell’Università di Birmingham su altre 10 ricerche e pubblicata sul British Medical Journal dimostra, in particolare, che le persone a cui viene diagnosticato un cancro al polmone in fase iniziale, possono raddoppiare le loro chance di sopravvivenza smettendo subito di fumare.

Altre ricerche hanno assodato che il fumo può ridurre la risposta alla chemio e alla radioterapia, ostacolare la guarigione delle ferite chirurgiche e aumentare il rischio di infezioni, soprattutto broncopolmonari, che possono essere molto pericolose in un organismo debilitato dalla malattia o in cui le difese immunitarie sono depresse dalle cure.

Infine, continuando a fumare, si alimenta il rischio che, una volta guariti dalla malattia, questa si ripresenti, oppure che si sviluppi un secondo tumore.

In che modo la ricerca scientifica contribuisce alla lotta contro il fumo?

Nell’ultimo secolo la ricerca scientifica ha contribuito a dimostrare e a descrivere l’entità e le modalità dei danni provocati dal fumo a tutto l’organismo, principalmente in relazione allo sviluppo del cancro. Ciò ha spinto il pubblico ad acquisire maggiore consapevolezza al riguardo e i governi a prendere atto dell’impatto sociale del problema. Sono seguiti provvedimenti restrittivi di vario tipo, dall’aumento delle tasse sulle sigarette alla proibizione del fumo nei locali pubblici e nei posti di lavoro.

Aver provato che la nicotina produce una dipendenza fisica ha poi aiutato a mettere a punto prodotti a rilascio graduale della sostanza e a definire programmi di intervento psicologico.

Tecniche che permettono di esaminare l’attività del cervello in relazione a diversi stimoli stanno contribuendo al progresso delle ricerche per lo sviluppo di nuovi approcci, che diano un valido aiuto a coloro che decidano dismettere di fumare. Secondo un rapporto del National Institute on Drug Abuse statunitense, gli studi sui gemelli mostrano che il rischio di diventare dipendenti dalla nicotina deriva dal 40 per cento al 70 per cento dalle caratteristiche dei propri geni. Per questo molti ricercatori oggi hanno indirizzato in questo senso la loro ricerca. Per esempio, uno studio italiano, sostenuto da AIRC e condotto all’Istituto nazionale tumori di Milano, ha individuato la variante di un gene che favorisce lo sviluppo di questa dipendenza. Riuscire a bloccarla potrebbe aiutare in maniera più mirata chi ne è portatore a smettere.

A tal proposito, sempre presso l’Istituto nazionale dei tumori di Milano è stato condotto uno studio su fumatori ed ex fumatori, valutati a un anno dall’inizio dei tentativi di abbandonare la sigaretta, per verificare con un semplice prelievo di sangue la correlazione tra predisposizione genetica ed efficacia delle terapie antifumo.

Altri studi per esempio sui diversi meccanismi d’azione dei farmaci, rappresentano i primi passi per trovare approcci personalizzati per smettere di fumare, affinché ciascun fumatore vi riesca più facilmente. Molti gruppi di ricerca sono impegnati sulla prevenzione secondaria, per definire gli strumenti di diagnosi più adatti che combinino tecniche di imaging come la TC spirale con esami del sangue, alla ricerca di frammenti del materiale genetico tumorale o di biomarcatori (oppure ancora analisi delle sostanze contenute nel fiato), allo scopo di individuare precocemente i tumori indotti dal fumo, principalmente quelli al polmone, e curarli meglio.

La ricerca contro i danni del fumo è interdisciplinare: gli sforzi degli epidemiologi, dei medici, dei farmacologi e dei biologi molecolari sono sostenuti anche dagli psicologi, dagli studiosi di neuroscienze e perfino dai pedagogisti, dai sociologi e dagli esperti di comunicazione, tutti uniti per cercare il modo migliore di impedire che i giovani si avvicinino al fumo e per far sì che i fumatori smettano.

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