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Ex ergastolano, attore e poeta

  • di
LA CULTURA, IL CARCERE, SONO EMANCIPAZIONE
DALLA CRIMINALITÀ

Purtroppo ci ha lasciati Cosimo Rega.
La sua è stata una grande storia di emancipazione dalla criminalità e dal carcere. Lui è l’esempio che la cultura, il teatro sono più forti della camorra.
Era stato un uomo di camorra. Ergastolano. È diventato un grande attore, un poeta. Un esempio per chiunque creda nella risocializzazione della pena.
È stato indimenticabile protagonista del film dei fratelli Taviani “Cesare deve morire”.
Ha finito la sua vita da uomo libero. Purtroppo, troppo presto. Per ricordarlo è stato organizzato un incontro presso l’Università Roma Tre con diversi interventi.
È morto Cosimo Rega, l’ex ergastolano diventato poeta e attore

È morto Cosimo Rega, l'ex ergastolano diventato poeta e attore
L’ex camorrista, rinato grazie alla recitazione e alla cultura, volto del film ‘Cesare deve morire’ dei fratelli Taviani, si è spento nella sua casa romana a 69 anni
“L’arte, la cultura, il teatro, l’amore della mia famiglia, il dialogo con le Istituzioni, hanno completamente cambiato e schiarito i miei orizzonti”: così parlava Cosimo Rega, ucciso dal male dei mali nella sua casa di Roma a soli 69 anni. Il male, di tutt’altra forma, nella vita ‘precedente’ Rega lo aveva conosciuto bene, portandolo avanti con convinzione: allora il suo nome faceva spavento, risuonava tetro, lui era Sumino ‘o Falco, un boss.
Si presentava senza nascondere nulla, agli studenti, quando aveva capito che poteva esserci un altro modo di stare al mondo: “Mi chiamo Cosimo Rega, da qualche anno ho superato i sessanta, di cui circa quaranta trascorsi nelle carceri italiane condannato a un fine pena mai. Il motivo? Sono un ex camorrista, mi piacerebbe aggiungere ‘ex assassino’. Ma questo lo sarò per sempre. Convivere con questa consapevolezza è la giusta condanna che mi accompagnerà per il resto dei miei giorni”, diceva.
Scontò la sua pena, in carcere, un ergastolano che forse non immaginava che una cella potesse diventare anche un palcoscenico e fargli conoscere un mondo artistico prima incredibile. Quattro mura e una sola strada: “Iniziai un lungo viaggio dentro di me. Un viaggio per conoscermi e di conoscenza”, raccontava. “Ho studiato, ho scritto, ho tradotto in napoletano Shakespeare e recitato. Ho portato sulle tavole del palcoscenico Eduardo De FilippoDante e tanti altri ancora. Ho avuto la fortuna e l’onore di far parte del cast di Cesare deve morire dei fratelli Taviani. Ero Cassio. L’arte la cultura l’amore dei miei, il dialogo con le Istituzioni, hanno completamente cambiato e schiarito i miei orizzonti. Ho la consapevolezza di cosa è il male, e di quello che ho inflitto”.
Poi, la semilibertà. Una routine autoimposta, come regola, per non sbandare: sveglia all’alba, fuori di casa alle 5,30, alle 7,30 sul posto di lavoro, all’Università di Roma 3 con la qualifica di portiere fino alle 14,00. Il pomeriggio, è tutto per il teatro. Rega recita, con tutti, dai professionisti agli studenti, fino ad altri detenuti che, come lui, vogliono frugare dentro sé stessi attraverso l’arte.
È il 2012 quando i fratelli Paolo e Vittorio Taviani lo vogliono per uno dei loro film più potenti, Cesare deve morire, un dramma in stile documentaristico che mette in scena del Giulio Cesare di William Shakespeare da parte dei detenuti di Rebibbia, diretti dal regista teatrale Fabio Cavalli. Al Festival di Berlino, il film vince l’Orso d’oro, riconoscimento che non arrivava in patria dal 1991. Ma è solo uno dei tanti premi: ottiene otto nomination ai David di Donatello e ne porta a casa cinque, due Nastri d’argento – uno per il cast – e non solo.
Con la compagnia teatrale di Rebibbia, nell’anniversario della strage di Capaci, nel 2018 debutta con uno spettacolo su Falcone e Borsellino. Rega è Borsellino. Sa che chi, cosa sta recitando: “Ogni volta che lo porto in scena sento un po’ di male allontanarsi da me”, spiegava. E, con un poco di ironia che gli era rimasta, ma non troppa, ammetteva: “Dopo che ho conosciuto il teatro, ‘sta cella me pare ‘na prigione”. Il potere salvifico dell’arte.
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