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La memoria e i suoi ingranaggi

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La memoria e i suoi ingranaggi

di Gigliola Zucconi Grassi*

Dal momento che ci svegliamo a quando entriamo nel sonno, il nostro cervello  ha il compito di organizzare una enorme quantità stimoli che arrivano attraverso i nostri sensi , vista, udito, gusto, olfatto e tatto.        E’ un lavoro immane . Deve selezionare tutte queste informazioni, catalogarle,  e se utili  trattenerle sotto forma di tracce di memoria, oppure scartarle se ritenute irrilevanti.  Ciascuna di  queste informazioni, sotto forma di una minuscola corrente,  viaggia nel nostro cervello lungo catene di neuroni che si connettono tra loro attraverso strutture che vengono chiamate sinapsi. A questo livello la corrente portata lungo il neurone può essere traghettata al neurone successivi grazie alla liberazione  di molecole (come per esempio la serotonina, la dopamina e il glutammato) che trasmettono  lo stimolo, permettendo così la propagazione dell’impulso nervoso.  Se quello stesso  stimolo si mantiene più a lungo, si genera una corrente a più alta frequenza che ha come effetto un rafforzamento di quella sinapsi, che diventa così più efficiente. Il  rafforzamento non riguarda solo l’aspetto elettrico della sinapsi , ma viene tradotto anche in un potenziamento strutturale, nel senso che vengono non solo rafforzate strutturalmente le sinapsi  esistenti  ma  generate anche delle nuove sinapsi.   Pensiamo per esempio agli stimoli visivi  a cui siamo incessantemente sottoposti :  il cervello non può prendere nota di tutto quello che ‘vediamo’ solo perché passa davanti ai nostri occhi, di conseguenza quegli stimoli vengono trasmessi lungo la catena dei neuroni ma non lasciano traccia. Diverso è  se noi ‘guardiamo’ qualcosa:  significa che la nostra attenzione ci fa soffermare più a lungo su quello stimolo e questo fa sì  che la sua trasmissione venga potenziata e ne rimanga traccia.                                                                                                                                                             Tutto questo ci fa dedurre che la sinapsi non è una struttura rigida e permanente che trasmette passivamente l’impulso nervoso, ma che è un sito soggetto ad un continuo rimodellamento, nel quale possono nascere  nuove sinapsi come anche scomparire quelle esistenti, a  seconda di quale e quanta informazione deve essere  immagazzinata in quel momento nel nostro cervello.  Tuttavia, questo concetto di rimodellamento  non riguarda solo le sinapsi, ma comprende anche la nascita di nuovi neuroni  (in quantità minima ma significativa) che sono specificamente addetti  alla memoria.  Questo processo di  neurogenesi  avviene in una particolare regione del cervello che si chiama ippocampo, cheha un ruolo primario  nei circuiti della memoria .                                                                                                                       Questi  sono i meccanismi  ritenuti oggi  alla base della memoria, ma altrettanto importante della formazione delle memorie è la capacità di cancellarle. Per formare nuove memorie devo poter cancellare quelle preesistenti ,  sia in senso quantitativo per creare spazio, sia in senso qualitativo per eliminare tracce di  memorie che possono essere inutili o dannose.  Alla pari del nostro computer che richiede la cancellazione dei  files  superflui,  il nostro cervello non può andare incontro ad una memorizzazione infinita e deve poter cancellare parte delle memorie immagazzinate.  Per fare questo, il cervello ricorre ad un meccanismo esattamente contrario a quello che gli ha permesso di formare le tracce di memorie, cioè invece di utilizzare correnti ad alta frequenza, mette in atto correnti a bassa frequenza che  depotenziano la sinapsi  riportandola a quel  livello a cui si trovava prima di formare quella memoria.  E’ il caso per esempio di stimoli che al momento del  loro ingresso, sono accompagnati da stati di dolore o di stress e  deviano quindi dai normali percorsi di memorizzazione, non lasciando tracce del loro passaggio.  Una  volta entrate,  tutte queste informazioni  vengono archiviate in regioni diverse del cervello,  come  l’ippocampo, il sistema limbico e i lobi frontali, ciascuna con caratteristiche proprie ma tra loro strettamente interconnesse.                                                   La modalità con cui il nostro cervello immagazzina tutte le informazioni  in entrata  non è unica ma, a seconda delle vie sensoriali percorse e delle regioni del cervello interessate,  il processo di memorizzazione segue finestre temporali  diverse . La traccia mnesica che si forma può durare infatti da pochi secondi  ad una vita, e diventare quindi memoria a breve termine  oppure  memoria a lungo termine, le due grandi classi che racchiudono a loro volta i più diversi tipi di memoria.                                                                         Nella memoria a breve termine è compresa la cosìdetta memoria di lavoro, particolarmente rilevante perché è quella che ci permette la corretta esecuzione di un compito (come fosse una pellicola fatta da fotogrammi  in successione, ciascuno di durata istantanea) . Questa memoria si comporta come un  recipiente provvisorio in cui si susseguono in termini di secondi informazioni riguardanti esclusivamente quel compito (corrisponde alla memoria RAM del nostro computer).  A differenza della memoria a lungo termine, che costituisce il serbatoio permanente delle conoscenze e delle esperienze che abbiamo fatto in tutto l’arco della nostra vita (e corrisponde all’hard disk del computer).                                                                La memoria a lungo termine è quella che ci consente di richiamare consapevolmente  alla memoria non solo i vari episodi della nostra vita con  nomi, date e fatti (memoria episodica),  ma anche le parole, i concetti e il significato che li descrivono  (memoria semantica).  E’ da queste due memorie  che deriva quel flusso di informazioni che è alla base del nostro pensiero spontaneo, della nostra immaginazione.           Nella memoria a lungo termine è compresa anche quel tipo di memoria che ci permette di richiamare alla mente inconsapevolmente quelle procedure e sequenze acquisite nell’arco della nostra vita che sono alla base delle abitudini, come  per esempio guidare la macchina, andare in bicicletta, leggere, suonare uno strumento musicale (memoria procedurale).                                                                                                              In conclusione,  la formazione e la sopravvivenza  -o meno-  delle nostre memorie dipende da quel continuo divenire di neuroni  e delle loro sinapsi  che ha fatto dire a  Marvin Minsky (padre dell’Intelligenza Artificiale), che ‘la principale attività del nostro cervello è quella di rimodellare continuamente se stesso’.  Un processo questo che è incessante dalla nascita all’età adulta e che non si arresta neanche  durante l’invecchiamento.

La memoria che perde colpi

Ricordare è un viaggio nel tempo e se perdiamo la memoria perdiamo anche la cognizione del tempo.  Come ha detto il neuroscienziato e premio Nobel  Eric Kandell, ‘la memoria rappresenta la colla che tiene insieme i frammenti della nostra vita e da scopo alla nostra esistenza’.  Infatti, dalla capacità di recuperare le informazioni accumulate nel nostro cervello, dipende non solo il nostro presente ma anche il nostro futuro.  Ma  cosa succede al nostro bagaglio di memorie nel corso dell’invecchiamento ?                               Pur manifestandosi  in maniera diversa da individuo a individuo,  con il sopraggiungere dell’età alcune funzioni cognitive, come concentrazione, attenzione, capacità di apprendimento e memoria vanno  inevitabilmente  incontro ad un graduale declino.  Dimenticare  dove si sono messe le chiavi, scordare un numero di telefono, non ricordare il nome della via accanto, ritrovarsi in mezzo alla cucina e chiedersi  perché ci sono andato, sono esempi di vuoti di memoria occasionali che, seppure frustranti , non devono essere motivo di preoccupazione e non hanno niente a che fare con una incipiente demenza o Alzheimer.  In genere, se si aspetta con un po’ di pazienza, quella cosa magicamente torna alla mente.                                                                 Non tutti i tipi di memoria sono colpiti dal  deterioramento cognitivo .  La memoria a breve termine nelle sue varie forme  appare piuttosto  preservata, tranne  la memoria di lavoro che risulta significativamente compromessa. Durante l’esecuzione di  un compito  infatti  l’attenzione della  persona anziana può essere facilmente distratta da stimoli estranei al quel compito, e questo ne rallenta  la realizzazione.   Difficoltà ancora maggiori si incontrano nell’esecuzione di più compiti contemporaneamente, come anche nell’apprendimento di nuove esperienze.                                                                                                                  Per quanto riguarda la memoria a lungo termine , le sue diverse modalità come la memoria procedurale  e la memoria semantica risultano le memorie meglio preservate.  Anche in età avanzata la memoria semantica consente infatti  il corretto utilizzo di un ampio numero di parole, magari con qualche occasionale inciampo nella scioltezza verbale, del tipo ‘ce l’ho sulla punta della lingua’ oppure ‘ho perso il filo del discorso’, che non è preoccupante.  Tra le memorie a lungo termine, la memoria episodica che si riferisce a tutti quegli episodi immagazzinati nel corso della nostra vita associati ad un preciso momento spaziale e temporale, sembra essere la più colpita nel corso dell’invecchiamento.  Non tuttavia nella componente autobiografica che rimane invece stabile, si mantiene nitido infatti il ricordo del primo giorno di scuola, del primo amore, della nascita del primo figlio.                                                                                  Questi  cambiamenti trovano un primo fondamento su base strutturale, con l’avanzare dell’età infatti  c’è una riduzione della vascolarizzazione del cervello come anche una diminuzione del volume cerebrale, dovuta a significativi cambiamenti a carico delle fibre che connettono tra loro i neuroni,  che diminuiscono di numero.  Inoltre, la guaina che consente all’impulso nervoso di viaggiare lungo le fibre nervose (la mielina), con l’avanzare dell’età va progressivamente incontro a degenerazione rallentando così la stessa trasmissione.   Va invece  sfatato il mito che attribuisce  il deterioramento cognitivo ad una progressiva perdita di neuroni , che di fatto è stata riscontrata trascurabile o assente.                                                         Ma, al di là di questi cambiamenti  strutturali, che sono molto diversi da persona a persona,  ci sono varie condizioni fisiche e psicologiche  che possono accentuare o quanto meno contribuire ad un deterioramento  cognitivo e alla perdita  di memoria. Tra i più rilevanti,  lo stress (strettamente associato a problemi di memorizzazione),  gli stati di ansia, la depressione, il dolore e il consumo di alcol.  Da considerare inoltre che alcuni dei farmaci comunemente adottati  per persone anziane, come per esempio  sonniferi,   antidepressivi,  ansiolitici,  antistaminici e antidolorifici, da soli o in combinazione possono esercitare effetti negativi sui meccanismi della memoria.

Determinante nel  favorire  i meccanismi della memoria è la presenza di un sonno regolare. Dormire a sufficienza  è indispensabile per  la formazione, l’archiviazione e il consolidamento delle nuove memorie,  e  la persona anziana ha bisogno di  7.5 – 9 ore di sonno.                                                                                                                    Comunque, i problemi di memoria che si accompagnano al normale invecchiamento, finchè non costituiscono un  impedimento al normale svolgersi  della vita quotidiana,  non devono preoccupare.  Non ci si deve allarmare se dimentichiamo dove abbiamo messo le chiavi  (dobbiamo allarmarci se dimentichiamo a che cosa servono le chiavi ). Questo tipo di dimenticanza significa che, il gesto di levarmi le chiavi  dalla tasca e posarle, non è più sotto il controllo dell’attenzione, ma è entrato in modalità automatica.  Devo allora cambiare strategia  e organizzare un nuovo percorso che richieda attenzione, che renda  ‘ricordabile’ il gesto di posare  le chiavi, magari creando associazioni mentali del tutto banali, come per esempio  devo sempre  mettere la chiave dove  metto il cellulare, o altro.                                                  Ma si può fare qualcosa per rallentare questo decadimento cognitivo che inesorabilmente ci aspetta ? La risposta è sì : qualunque sia l’età, anche nella più avanzata, ci sono diversi modi di tenere sotto controllo le capacità cognitive e combattere la perdita di memoria.  Partendo però da un presupposto  molto chiaro, affermato da decenni, cioè   ‘use or loss it’ vale a dire ‘usalo sennò lo perdi’,  che si applica  al cervello  esattamente come è riconosciuto per il muscolo.  Tenere in attività il cervello in modo intenso e continuativo significa far  funzionare questo organo al meglio, con riflessi benefici  anche su tutto l’organismo. Più alleni il tuo cervello,  meglio sarai in grado di incamerare e immagazzinare nuove informazioni  e minore sarà la probabilità di perderle. Questo perché, come abbiamo visto sopra nei meccanismi della memoria, più stimoli entrano dall’ambiente,  più si rafforzano e si moltiplicano le sinapsi, più connessioni si formano  nel tuo cervello, più hai la possibilità di mantenere le tue memorie.                   Per fare questo bisogna interrompere le routine e confrontarsi con situazioni nuove, meglio se richiedono sforzo e attenzione.  Fare qualcosa che sai già fare non è un buon allenamento, bisogna cimentarsi  in qualcosa per te nuovo a cui devi prestare attenzione, da  imparare daccapo, e quando cominci a sentirtene padrone è segno che bisogna passare ad un ulteriore apprendimento.  Naturalmente deve anche essere un’attività per te gratificante, che ti coinvolge e ti diverte, se è frustrante va categoricamente evitata.  Leggere  giornali, libri, riviste (meglio se variati), intrattenersi con cruciverba o Sudoku, come anche giocare a carte, sono tutte attività che tengono in esercizio il tuo cervello e rallentano il declino cognitivo.                                                                                                                                                            In questa battaglia contro il tempo, fondamentale è anche  l’esercizio fisico, i cui benefici  si riflettono a sua volta  anche sul cervello.  Camminare è il modo più semplice di fare attività fisica, è alla portata di tutti e non costa niente. Oggi è scientificamente provato che fare dai  7 ai 14 km alla settimana, distribuiti su 4-5 giorni, previene in modo significativo il declino cognitivo e il decadimento della memoria.  Diminuisce  inoltre del  50% la probabilità di andare incontro alla demenza.   L’attività fisica riduce infatti il rischio di malattie cardiovascolari che influenzano negativamente la circolazione cerebrale, abbatte  il livello degli ormoni associati allo stress, e libera in circolo quei fattori di accrescimento che sono responsabili della neuroplasticità e quindi della formazione di nuove connessioni neuronali .                                                                              Un altro aspetto  capace di rallentare in maniera importante il decadimento cognitivo è la socializzazione. L’uomo è un animale altamente sociale e interagire con gli altri, partecipare ad incontri, coltivare le amicizie, rappresenta un esercizio fondamentale per il cervello.                                                                                                                     Infine, come per il corpo, anche il nostro cervello ha bisogno di essere sostenuto da una sana alimentazione. Oggi è  chiaramente dimostrato che una dieta a base di frutta e verdura (broccoli in prima linea), cereali integrali, pesce (preferibilmente ricco di omega-3), olio di oliva, noci etc, contribuisce a rallentare il rischio di decadimento cognitivo.                                                                                                     Rimane comunque a ciascuno di noi il compito di stabilire quali sono le nostre possibilità e quali i nostri  limiti, e al di là dell’età cronologica,  creare di conseguenza  aspettative realistiche su cosa e quanto il nostro fisico e il nostro cervello possono ancora dare.                                                                                                                                                Duemila  anni fa Seneca raccomandava:                                                                                                             ‘Bisogna resistere alla vecchiaia, avere riguardo della salute, praticare esercizi fisici, ma con moderazione;bere e mangiare quanto basta a recuperare le forze, non ad appesantirle. E non si deve pensare solo al corpo, ma molto di più allo spirito e all’animo, perché anch’essi tendono a spegnersi, nel periodo d’invecchiamento’.    (Seneca, De tranquillitate animi, 49 d.C.)

  • già docente di Fisiologia nell’Università di Perugia
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