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La in-civiltà dell'”usa e getta”

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La in-civiltà dell’”usa e getta”

di Vincenzo Balzani*

Lo sviluppo economico, cioè la produzione di merci e servizi, è inevitabilmente accompagnato dall’impoverimento delle risorse della Terra e dall’accumulo di scorie e rifiuti. Questo principio, di per sé così evidente, non viene tenuto in nessun conto dall’attuale modello economico.

Nei paesi ricchi governanti e industriali spesso sollecitano i cittadini, in modo subdolo, ma a volte addirittura esplicito, a “consumare di più” per sostenere lo sviluppo. Per i governanti, lo sviluppo economico del loro paese è la condizione necessaria per essere rieletti, mentre per gli industriali è la strada per aumentare i profitti. Il fatto, poi, che nel mondo ricco tutto ciò continui ad avvenire con l’impoverimento dei paesi meno sviluppati, la diminuzione delle risorse non rinnovabili e l’aggravamento dei problemi ambientali non sembra interessare nessuno.

Per mantenere alta la produzione, vengono messi sul mercato oggetti appositamente studiati per diventare obsoleti dopo pochi anni (ad esempio, i cellulari e i computer e gli oggetti per la riproduzione della musica), oppure, come accade frequentemente per le automobili, si interviene con incentivi fiscali per la rottamazione.

Il filosofo Umberto Galimberti sostiene che il consumismo è il primo dei vizi capitali della nostra epoca. Il consumismo, infatti, è la versione peggiore della civiltà dei consumi; è la “civiltà” dello spreco e del cosiddetto “usa e getta”. Non solo consumiamo le risorse della Terra con arroganza pensando solo al nostro presente, ma in modo altrettanto arrogante copriamo la Terra di rifiuti e di sostanze inquinanti senza pensare alle generazioni future.

Si deve anche notare che nei paesi ricchi la crescita dei consumi e dei redditi non è affatto accompagnata da una parallela crescita del “benessere” e della “soddisfazione” delle persone. È stato riscontrato che un bene di consumo è fonte di soddisfazione finché rappresenta una novità e una modalità di distinzione, un’indicazione, cioè, del particolare status del consumatore all’interno della società. È stato anche dimostrato che l’abbondanza dei beni superflui elimina il piacere dato dalla soddisfazione dei bisogni primari (cibo, vestiti, riparo) e che il meccanismo del consumo dei beni, indotto dalla pubblicità, può essere assimilato al meccanismo della dipendenza dall’alcool o dalle droghe. Accade anche che il consumismo, facendo fulcro sul principio di “scadenza” e autodistruzione delle cose, causa nelle persone crisi profonde di identità perché, in un mondo dove gli oggetti appaiono e scompaiono con grande rapidità, diventa sempre più difficile distinguere tra sogno e realtà, tra immaginazione e dati di fatto. Tutto questo poi induce ad applicare la consuetudine ”usa e getta” anche nei rapporti fra persone.

Alcuni filosofi affermano che la vera ricchezza di un uomo è espressa dalle cose che può concedersi di non avere. Tutte queste considerazioni ricordano le parole del Salmo 48 che recita “L’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono”.

*professore emerito di Chimica nell’università di Bologna

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