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Rapporto sulle carceri italiane

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XVIII rapporto sulle condizioni di detenzione di ANTIGONE

Lavoro e formazione

Lavoro e formazione professionale

Dalle nostre visite nei diversi istituti penitenziari italiani, il quadro che emerge in materia di lavoro e formazione professionale è assai variegato. Da un lato, troviamo situazioni virtuose in cui i detenuti svolgono tutti un’attività lavorativa (che sia alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria o per datori di lavoro diversi dal carcere), e all’estremo opposto istituti in cui le poche attività lavorative presenti sono quelle cosiddette domestiche alle dipendenze dell’amministrazione, come le pulizie, la cucina e la spesa. Discorso più complesso è quello che riguarda la formazione professionale che appare essere davvero carente in linea generale.

Andiamo a vedere cosa abbiamo trovato nel corso delle nostre visite. Dai dati da noi raccolti nel 2021 è risultato anzitutto che il budget medio annuale previsto per le mercedi sia di 645.049,6 euro ad istituto, per un totale medio annuo a dipendente, ovviamente lordo, di 7.414,2 euro.

In media nei 96 istituti visitati il 33% dei detenuti presenti era impiegato alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria; di questi buona parte è impiegato sempre in mansioni di tipo domestico. Solo il 2,2% dei presenti era invece in media impiegato alle dipendenze di altri soggetti. Il dato è peraltro molto disomogeneo. In Emilia-Romagna questa percentuale era del 4%, in Campania dello 0,3%. In 37 istituti visitati, più di un terzo del totale, non abbiamo trovato alcun detenuto impiegato per un datore di lavoro diverso dal carcere stesso.

Gli istituti a forte vocazione lavorativa sono le ex colonie agricole e gli ICATT.

Nella casa di reclusione di Onanì “Lodè Mamone” tutti i detenuti presenti al momento della visita lavoravano. Si tratta appunto di una delle 5 colonie ex penali rimaste sul territorio nazionale, istituto in cui si accede su richiesta e i detenuti ammessi devono soddisfare alcuni criteri specifici: residuo pena inferiore a 6 anni, una certificazione di idoneità allo svolgimento di lavori agricoli e l’appartenenza al circuito di media sicurezza. Le attività lavorative che si svolgono all’interno della casa di reclusione sono l’allevamento di ovini (circa 1.200 capi di bestiame) e bovini (circa 400), gli orti, la raccolta delle olive, le attività di manutenzione di trattori e altri mezzi, la produzione di formaggi in un apposito caseificio, oltre alle attività ricorrenti in tutti gli altri istituti. Al momento della nostra visita (nel luglio 2021) i detenuti lavoranti erano 94 – come i presenti – tutti alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria. Oltre ai detenuti impiegati nelle diverse attività agricole di elezione dell’istituto, ve ne erano altri impegnati, oltre che nella manutenzione degli edifici, anche in quella delle strade, che sono lunghe diversi chilometri; vi erano poi detenuti impegnati nelle officine meccaniche (manutenzione, lavaggio mezzi, etc.) e nelle officine agricole. Al momento della visita non era però presente alcuna attività di formazione professionale.

Al contrario in istituti importanti come Poggioreale lavorano solo 280 detenuti sui 2.190 presenti, meno del 13%, ad Agrigento 46 su 311, il 15%.

Spesso il lavoro non c’è nemmeno dove sembrerebbe scontato che ci fosse, e dove c’è qualche opportunità di lavoro non sempre ci sono i lavoratori

Spesso il lavoro non c’è nemmeno dove sembrerebbe scontato che ci fosse, e dove c’è qualche opportunità di lavoro non sempre ci sono i lavoratori. Nella casa di lavoro con sezione circondariale di Vasto, dove al momento della visita erano presenti 100 tra detenuti e internati, molti tra coloro che eseguono la misura di sicurezza della Casa di lavoro (art. 216 del Codice Penale) sono dichiarati inabili al lavoro. Le serre presenti nell’istituto sono state chiuse per mancanza di manodopera. C’è un’azienda interna che produce olio e lo commercializza nello spaccio interno e anche in altri istituti penitenziari. É presente poi una sartoria dove potrebbero essere impiegate fino a 18 persone, ma dove invece trovano lavoro in cinque.

In 35 degli istituti visitati, ben oltre un terzo, non era attivo alcun corso di formazione professionale.

All’interno del grande istituto di Torino sono invece attive diverse attività di formazione professionale che coinvolgevano al momento della nostra visita 158 detenuti – tra uomini e donne – ovvero l’11,6% dei presenti, una percentuale altissima rispetto alla media nazionale.

Al “Gozzini” di Firenze, l’ultimo corso di formazione professionale si è tenuto nel 2014 a causa della carenza di fondi regionali. Quasi ovunque la formazione professionale è ferma dall’inizio della pandemia.

Nella casa circondariale di Grosseto sono assenti gli spazi per le lavorazioni e, dunque i detenuti sono impiegati – peraltro a turnazione – nelle sole attività domestiche. Non ci sono corsi di formazione professionale né sono attivi lavori di pubblica utilità. La ragione, ci è stato spiegato, risiede sia nella carenza di risorse economiche che nella mancanza di sinergia con le cooperative e le associazioni esterne; il territorio appare molto reticente a intraprendere qualsiasi progetto con l’istituto. Anche ad Arezzo sono del tutto assenti spazi dedicati alla formazione professionale e alle lavorazioni.
Nell’istituto di Forlì, dove circa 30 detenuti lavorano e 4 di questi sono donne, ci è stato comunicato però che non esistono corsi professionali rivolti alle donne.

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