MARINA CVETAEVA un compleanno

L’Osservatore romano, 5 ottobre 2022
La sua narrativa, del resto, non è altro che la felice fusione della dimensione diaristica, sociologica e autobiografica. Si propone, in prima traduzione dal russo di Lucio Coco, un importante inedito di Marina Cvetaeva, di cui l’8 ottobre ricorre il 130° anniversario della nascita. Si tratta della «Lettera ai figli» (ma si capisce bene che è pensata anche per i genitori), che la poetessa aveva scritto nell’inverno del 1937/38 per il primo numero di un periodico per l’infanzia per emigrati russi in Francia. La rivista non vide mai la luce e anche l’articolo ebbe la stessa sorte. La lettera infatti fu pubblicata per la prima volta sulla rivista «Novij mir» (n. 4, 1969, pp. 210-211) e quindi è confluita nel-la raccolta delle opere (Sobranie sočinenij, t. 7, Pis’ma, pp. 646-647).
Cari figli! Io non vi penso mai separatamente: io penso sempre che voi siete persone umane o disumane come noi. Ma dicono: ci siete, siete una razza speciale che si lascia ancora influenzare. Pertanto: —Non sprecate inutilmente acqua, perché proprio in questo secondo per la sua assenza un uomo muore nel deserto. —E se io non verserò quest’acqua, lui non la riceve! —Non la riceve ma nel mondo ci sarà un delitto insensato in meno. Poi non gettate mai via il pane, se lo vedete per strada, sotto i piedi, sollevatelo e mettetelo sulla recinzione più vicina. Infatti non ci sono solo i deserti dove la gente muore senz’acqua, ma anche i tuguri dove si muore per mancanza di pane. Forse questo pane sarà notato dall’affamato e per lui sarà meno vergognoso prenderlo in questo modo piuttosto che da terra. Non abbiate paura del ridicolo e se vedete un uomo in una situazione simile: 1) sforzatevi di tirarlo fuori, se però è impossibile, 2) saltate in essa verso l’uomo, come se saltaste nell’acqua; in due una situazione ridicola si divide a metà: mezza ciascuno o, alla peggio, non state a guardare il ridicolo nel ridicolo! Non dite mai che tutti fanno così: tutti fanno sempre male, quando si riferiscono volentieri a «tutti»! (Nb! C’è una serie di esempi che io adesso tralascio). «Tutti» hanno un secondo nome: nessuno, e sono assolutamente senza viso: un niente. E se vi diranno: «Nessuno fa così» (non si veste così, non pensa così ecc.), rispondete: «E io non sono nessuno». Non appellatevi al fatto che «non è alla moda» ma solo al fatto che «è ignobile». Non prendetevela troppo con i genitori, ricordate che loro erano voi e voi sarete loro. Inoltre per voi essi sono i genitori, per loro stessi sono degli io. Non relegateli alla loro genitorialità. Non condannate a morte i vostri genitori prima dei (vo-stri) quarant’anni! E allora la mano non si leverà! Vedendo per strada una pie-tra, toglietela, immaginate di correre e di rompervi il naso; per compassione (almeno vedendo voi stessi in un altro), toglietela. Non sentitevi in imbarazzo nel cedere il posto a uno più vecchio in tram. Vergognatevi di non cederlo. Non distinguetevi dagli altri in senso materiale. Gli altri siete anche voi, proprio voi. (Tutti allo stesso modo vogliono mangiare, dormire, stare a sedere ecc.). Non esultate per la vittoria sul nemico. È sufficiente la consapevolezza. Dopo la vittoria tendete la mano. Di fronte ad altri non esprimete la vostra opinione in maniera ironica su chi vi è vicino (fosse anche sull’animale preferito); gli altri andranno via, chiti è vicino resterà. Sfogliate il libro dall’angolo in alto della pagina. Perché? Perché non si legge dal basso in alto ma dall’alto in basso. Dovete fare questo proprio come lo faccio io. Finendo di mangiare la zuppa, inclinate il piatto verso di voi e non verso gli altri per non versare malauguratamente la minestra né sulla tovaglia né su chi sta di fronte, ma sulle vostre ginocchia. Quando vi diranno: «Questo è romanticismo», voi chiedete: «Cos’è questo romanticismo?», e vedrete che nessuno lo sa; le persone si mettono in bocca (e anche vi battono con essa, e anche vi sputano addosso! E ve la buttano in fronte) questa parola, di cui non conoscono il senso. Quando siete definitivamente persuasi che non lo sanno, voi stessi rispondete con il detto immortale di Žukovskij: «Il romanticismo è l’anima»