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“Figli della Pace” per accoglierla e generarla

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di Alberto Simoni, da Koinonia. San Domenico di Fiesole, 29 ottobre 2022

Cari amici,

il nostro impegno per la pace non è un fatto di circostanza, ma  motivo  per interrogarci su quale possa essere  perché sia  costante e non sporadico: non si è operatori di pace ad intermittenza o secondo i casi, ma lo si deve diventare sempre più globalmente. E questo, per quanto ci riguarda, in sintonia col tentativo di inverare la “profezia” del Vaticano II di ricollocazione evangelica della chiesa nel mondo, cantiere del tutto aperto. Non basta, come chiesa, dichiararsi per la pace, se al tempo stesso non si cerca di diventare operatori di pace come impostazione mentale, spirituale, pastorale, e cioè come discepoli e “corpo” di Cristo nella storia. L’impegno per la pace non è, per i credenti, attività transitoria sia pure con i suoi innegabili benefici, ma non può mancare di una ricaduta interna che ci qualifichi come soggetto chiesa storicamente situato. 

Nell’incontro di preghiera per la pace con  i Leader delle Chiese cristiane e delle Religioni mondiali il 25 ottobre a Roma, Papa Francesco sottolinea la necessità  del dialogo inter-religioso per la pace, ma non manca di fare cenno alla responsabilità di credenti  nel disegno di salvezza di Dio, di cui farsi carico: “In questo scenario oscuro, dove purtroppo i disegni dei potenti della terra non danno affidamento alle giuste aspirazioni dei popoli, non muta, per nostra salvezza, il disegno di Dio, che è ‘un progetto di pace e non di sventura’ (cfr Ger 29,11). Qui trova ascolto la voce di chi non ha voce; qui si fonda la speranza dei piccoli e dei poveri: in Dio, il cui nome è Pace. La pace è dono suo e l’abbiamo invocata da Lui. Ma questo dono dev’essere accolto e coltivato da noi uomini e donne, specialmente da noi, credenti. Non lasciamoci contagiare dalla logica perversa della guerra; non cadiamo nella trappola dell’odio per il nemico. Rimettiamo la pace al cuore della visione del futuro, come obiettivo centrale del nostro agire personale, sociale e politico, a tutti i livelli. Disinneschiamo i conflitti con l’arma del dialogo”.

Ci viene ricordato che la ricerca della pace, se vuole essere duratura, è prima di tutto impegno indiviso, interiore e pubblico. Nel suo discorso, Papa Francesco ricorda le parole di Papa Giovanni nel suo intervento per la crisi di Cuba del 1962 e fa cenno alla “Pacem in terris”: un documento che fa scuola per chi guarda ad una Chiesa chiamata ad essere luogo e soggetto permanente di pace nel mondo. Il vangelo non è intrinsecamente vangelo di pace?  In effetti, con la sua enciclica, papa Giovanni XXIII intendeva preparare un Popolo ben disposto ad essere presenza messianica nel mondo: qualcosa che in qualche modo realizza l’essere nel mondo senza essere del mondo. C’è tutto un apprendistato da attivare, e possiamo dire che Papa Giovanni ci guida col suo insegnamento, per cui potremmo prendere la “Pacem in terris” come base e come metodo per dare compimento alla profezia di pace del Vaticano II.

Mi sembra di poter dire che gli atteggiamenti e i comportamenti prevalenti  della nostra chiesa storica, pur abitata da tanta buona volontà, non rispondano esattamente a queste istanze. Se poi vogliamo fare opera di discernimento e di orientamento, come chiave di lettura potremmo prendere il capitolo V della “Pacem in terris” con i suoi “Richiami pastorali”, che invitano a trovare un equilibrio attivo tra le componenti della pace, che è appunto indivisa. E se da una parte “non basta essere illuminati dalla fede ed accesi dal desiderio del bene per penetrare di sani principi una civiltà e vivificarla nello spirito del Vangelo”, dall’altra si tratta di “un’impresa tanto nobile ed alta che le forze umane, anche se animate da ogni lodevole buona volontà, non possono da sole portare ad effetto”. Una sintesi di questa ultima parte della enciclica può offrirci i parametri per una valutazione del nostro impegno per la pace e per misurarsi come comunità cristiana con questa responsabilità evangelica e storica insieme. Tanto più che siamo ormai in pieno clima di restaurazione all’insegna di “Dio, patria, famiglia” sotto la protezione di san Giovanni Paolo II!

Devo dire che le troppe correnti carsiche di involuzione  che hanno attraversato la chiesa in questi anni stanno emergendo  come ritorno  di un cattolicesimo vecchio stampo, mentre  nostalgici o  sognatori di una riforma a buon mercato possono ripetere col “povero sacerdote” don Milani: “Abbiamo solo dormito…. Vedete dunque che c’è mancata la piena avvertenza e la deliberata volontà. Quando ci siamo svegliati era troppo tardi. I poveri erano già partiti senza di noi… Troppe estranee cause con quella del Cristo abbiamo mescolato… Saprà il Cristo rimediare alla nostra inettitudine”.

In effetti, riguardo al processo di involuzione in atto nella chiesa, non sembra ci sia una presa di coscienza attiva in ambito cattolico, dove si fa ricorso a crociate di preghiera o ad attivismo di bandiera (associazioni, gruppi, movimenti), mentre accorati richiami al vertice sembrano mancare di una giusta cassa di risonanza alla base, per cui l’impegno per la pace non ci interpella sul proprio modo di essere credenti nel mondo. Perché di questo si tratta: della valenza storica del mistero e del vangelo della pace. Non capisco perché di tutto questo se ne debba fare oggetto di studio e di analisi accademiche, e non se ne debba tener conto sul piano pastorale!

In questo senso, ben venga l’azione diretta per la pace sempre necessaria, ma sono a chiedermi se non sia altrettanto necessario adoperarsi perché ci siano operatori di pace e perché la chiesa stessa nel suo insieme sia segno e strumento di pace tra gli uomini di buona volontà. Anche a questo proposto si può ripetere che la messe è molta ma gli operai sono pochi! In realtà, ci sono Paesi anche oggi, come il Nicaragua attuale, in cui la frontiera della pace vuol dire martirio!

Prendo volentieri atto che un discorso realistico, e di prospettiva ecclesiologica e teologica, viene fatto sul settimanale “Riforma” delle chiese evangeliche battiste metodiste e valdesi da Paolo Naso e Paolo Ricca. C’è già un intervento di Enrico Peyretti  che si riallaccia a questo discorso, che ritengo non sia da lasciar cadere, se un ecumenismo effettivo è aperto alla ricerca di quella “chiesa una” in Cristo sommersa da tutte le nostre tante chiese autoreferenziali.

Koinonia di novembre qui annunciato è sollecitazione a ridare fiato al Concilio Vaticano II come “profezia” e come “vangelo sine glossa”, un invito a spendersi per uscire dal ristagno generale e non rimanere appagati e soffocati dal progressismo formale di accomodamento all’esistente. Le sirene dell’ordine prestabilito e rassicurante si fanno sentire sempre più fortemente e la tentazione di teorizzare e sbandierare il proprio immobilismo sembra vincente. Magari giocando sulle parole, per passare da reazionari a conservatori.  Quella che stiamo vivendo non è solo una fisiologica alternanza politica, ma è egemonia culturale tradotta in vittoria elettorale di governo.   E non può essere debellata se non sul piano culturale: altro insomma è pensare ad una società ordinata secondo criteri superiori e a-priori da far valere per via dogmatica e d’autorità; altro è volersi società libera e capace di autoregolarsi con senso di responsabilità!

Ma quello che si richiederebbe soprattutto è volersi “figli della pace” (Luca 10,6), per accoglierla e per generarla: guardandoci dentro e a fondo, laddove lo Spirito di Dio è più intimo a noi di noi stessi, scopriamo che la città di Dio e della pace, “la Gerusalemme di lassù, è libera ed è la nostra madre”. (Galati 4,26) Siamo fatti di pace e per la pace! Se poi vogliamo imparare da Cristo Signore ad essere operatori di pace alla sua maniera, ritroveremmo la nostra ragion d’essere di discepoli mandati ad annunciare il “vangelo della pace” (Efesini 6,15). C’è una perfetta sintonia tra lo Spirto di Cristo e il nostro spirito, che ci attesta il nostro essere figli del Dio della pace: “Lo Spirito stesso attesta insieme con il nostro spirito che siamo figli di Dio. Se siamo figli, siamo anche eredi; eredi di Dio e coeredi di Cristo, se veramente soffriamo con lui, per essere anche glorificati con lui”. (Rom. 8.16-17)

Non tutti e non sempre siamo in grado di partecipare a manifestazioni ed iniziative di pace, ma tutti e sempre possiamo viverne la passione e fare nostro il pianto di Gesù alla vista della città, quando dice: “Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi… perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata” (Luca 19,42.44). E’ solo un discorso “spirituale” o è un dramma che si perpetua all’infinito?

In piena solidarietà di speranza e di invocazione, un saluto di pace.

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