Antibiotici dal dentista, troppo prescritti e male assunti
OMS, DOTTNET | 21/11/2022 18:26
“Spesso si prescrive amoxicillina per il trattamento delle infezioni croniche come la parodontite, invece che intervenire rimuovendo placca e tartaro subgengivale”
Ogni anno vengono consumate circa 600 tonnellate di antibiotici dai pazienti italiani, per varie ragioni come infezioni post chirurgiche, polmoniti, cistiti e otiti, ma anche per problemi che riguardano le gengive. In particolare, l’uso che se ne fa in odontoiatria è molte volte eccessivo e solo in 2 o 3 casi su 10 si segue in modo corretto la prescrizione fatta dal dentista. A mettere in guardia in occasione della settimana mondiale per l’uso consapevole degli antibiotici promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, sono gli esperti della Società italiana di parodontologia e implantologia (Sidp). Gli antibiotici prescritti dal dentista sono necessari se servono a contrastare infezioni acute, come i classici ascessi. Ve ne è però anche un ampio utilizzo come profilassi per ridurre il rischio di sviluppare infezioni.
“La prescrizione di questi farmaci prima di una procedura odontoiatrica chirurgica, secondo uno studio su Jama Network Open, è inutile inoltre l’80% dei casi mentre dovrebbe essere riservato ai pazienti cardiopatici ad alto rischio. Inoltre spesso si prescrive amoxicillina per il trattamento delle infezioni croniche come la parodontite, invece che intervenire rimuovendo placca e tartaro subgengivale o, in casi specifici, con interventi chirurgici: questo utilizzo di antibiotici non è previsto dalle linee guida della Federazione Europea di Parodontologia, che invece chiedono di limitarlo al massimo nelle infezioni croniche”. Uno studio delle Università di Salerno e del Molise, pubblicato sulla rivista ‘Healthcare’, dimostra inoltre che le terapie antibiotiche prescritte dal dentista sono meno seguite di quelle prescritte dal medico: solo un paziente odontoiatrico su 2 le segue e solo 2 su 10 (con risultati migliori in chi ha diploma o laurea) dichiarano un’aderenza elevata alla prescrizione, ovvero ne seguono bene durata e dosaggio. “L’antibiotico interrotto prima del termine o assunto in quantità minore del dovuto – precisa Tomasi – è un tipico errore che fa chi lo confonde con l’antidolorifico, ovvero smette di prenderlo appena vede che la sintomatologia migliora. Così, però, si sterminano solo i batteri più deboli, che diventano ‘cibo’ di cui si nutrono quelli più resistenti, i quali trovano così campo libero per riprodursi meglio e aumentare l’antibiotico resistenza
Le conseguenze di questi errori sono doppiamente negative. “Nel singolo distruggono la flora batterica, ovvero l’insieme di batteri, anche ‘buoni’ che contribuiscono alla salute dell’organismo: uno studio mostra che, se il microbioma della mucosa orale dopo circa un mese dall’assunzione dell’antibiotico tende a tornare alla normalità, mentre quello intestinale ci mette minimo un anno”. Il danno è però anche per la collettività, perché “l’eccessivo o sbagliato utilizzo aumenta la diffusione di infezioni di batteri contro i quali la maggior parte degli attuali farmaci non è più efficace, fenomeno che porta alla morte di oltre 35.000 persone in Europa ogni anno”.