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In morte di Mihajlović: “solo l’amare, solo il conoscere conta”

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Bologna FC coach Sinisa Mihajlovic smiles during the Serie A match between Atalanta BC and Bologna FC at Gewiss Stadium on July 21, 2020 in Bergamo,...

da Il domani, di Fabrizio Sinisi*

Un noto giornalista sportivo scrive: «Coltiviamo la convinzione che nei giorni più difficili Sinisa abbia fatto quello che ha sempre fatto dentro e fuori dal campo: combattuto come una bestia ferita». Metafora, quella della belva combattente, che ritorna nel post che ha voluto dedicargli Giorgia Meloni : «Hai lottato come un leone in campo e nella vita… sei e resterai sempre un vincente». È, chiaramente, tutto sbagliato. La malattia non è una lotta, che se ci metti la grinta magari riesci a sfangarla. Sopravvivere alla malattia non è questione di atteggiamento, e chi muore non lotta meno di chi vive.

Il malato non combatte nessuna battaglia: subisce la contraddizione crudele del nostro essere materia. La morte non è un avversario: è il buco nero ingiusto e tremendo, il vortice dell’entropia che tutto prima o poi disgrega. C’è qualcosa di tossico, di profondamente osceno nel definire il malato “un lottatore”. 

Il linguaggio non è mai un caso, e ogni retorica implica una visione del mondo: basta provare ad analizzarla più da vicino. Il paragone al leone e alla belva ferita implica un mondo simile a una giungla, dominato dalla sopraffazione: predatori e prede, esseri che sopravvivono ed esseri che soccombono.

Quest’epoca sa fare molte cose, ma di certo non sa morire. E forse la risposta più adatta, la più umana, sta proprio nelle parole che Siniša dedicò a sua moglie Arianna, descrivendo così l’esperienza dell’amore coniugale: «Come quando torni a casa e sorridi perché sai di essere al sicuro».

La dolcezza dell’abbandono, dell’amore come quel solo luogo al di fuori di ogni lotta. La consapevolezza che non il combattere ma, come scrisse Pasolini, «solo l’amare, solo il conoscere conta».

*drammaturgo

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