Malattie infiammatorie intestinali: un colorante alimentare tra le possibili cause scatenanti
250mila persone in Italia soffrono di rettocolite ulcerosa (60%) e morbo di Crohn (40%). Predisposizione genetica, cause psicologhe e fattori ambientali alla base di una crescita dell’85% in trent’anni.
di Federica Bosco, Sanità Informazione, NATURE
Si chiama Red Allura, è il colorante alimentare che corrisponde alla sigla E-129, un ingrediente comune in caramelle, bibite, prodotti caseari e anche in alcuni cereali dove viene impiegato per dare colore e aggiungere consistenza agli alimenti. Secondo un recente studio canadese realizzato da Waliul Khan della McMaster University di Hamilton e pubblicato su Nature Communications, però, un consumo prolungato di questo colorante potrebbe essere un potenziale fattore scatenante delle malattie infiammatorie intestinali come il morbo di Crohn e la rettocolite ulcerosa, che proprio nell’ultimo decennio hanno registrato un incremento di casi anche tra bambini (20% circa), adolescenti e giovani adulti (in particolare, nella fascia di età tra i 15-20 anni e tra i 35-40 anni). Secondo i ricercatori, infatti, una esposizione continua al colorante rosso allura potrebbe generare una infiammazione dell’intestino, alterando il microbiota.
250mila persone colpite da malattie infiammatorie intestinali, ma non è colpa solo del Covid
Questo studio non fa che accreditare la tesi secondo cui alla base di queste malattie – che in Italia colpiscono circa 250 mila persone (60% con colite ulcerosa e 40% con malattia di Crohn) e nel mondo raggiungono i 7 milioni – ci siano diverse concause, dalla predisposizione genetica a fattori ambientali (tra i fattori di rischio c’è il fumo di sigaretta) fino a cause psicologiche (prima di tutto ansia e depressione), mentre il Covid e il vaccino potrebbero essere state solo la miccia capace di far accendere una malattia già latente, andando a riacutizzarla e scatenando di conseguenza una risposta immunitaria a livello intestinale. «Per la verità l’incidenza delle malattie infiammatorie croniche intestinali è in aumento da circa un decennio un trend in crescita sia dal punto di vista dell’incidenza, ovvero nuovi casi per anno, sia dal punto di vista della prevalenza ovvero numero di casi totali, mentre ad oggi non sono ancora evidenti studi che possano dimostrare una correlazione diretta tra Covid e malattia infiammatoria intestinale. Di sicuro i pazienti con rettocolite ulcerosa e morbo di Crohn non sono andati incontro ad una maggiore severità del Covid quando l’hanno contratto, neppure coloro sottoposti a terapia biologico immunosoppressiva».
Come fare una diagnosi corretta
Se il numero di casi è aumentato dell’85% in trent’anni è anche perché negli anni è migliorata la diagnosi: «Innanzitutto oggi c’è una maggiore attenzione a queste patologie. in particolare, con la calprotectina fecale è possibile avere indicazione in modo non invasivo su quali possono essere i soggetti a rischio, e permettere così a medici di medicina generale e gastroenterologi di indirizzare i pazienti verso un percorso diagnostico di approfondimento specifico». Le malattie infiammatorie intestinali spesso sono subdole e questo determina un ritardo diagnostico. Per evitare che ciò accada è importante prestare attenzione ad alcuni campanelli di allarme: «Da non sottovalutare sono il mal di pancia frequente, la diarrea e l’astenia, oltre a un calo di peso non motivato. Ci possono essere poi altri sintomi da considerare, come dolori articolari e lesioni della cute. Se la calprotectina fecale dà un valore molto alto ed è accompagnata da dolori e diarrea, si procede con la colonscopia che permette di esplorare tutte le parti dell’intestino e con le biopsie che vengono poi analizzate dagli anatomopatologi. Un altro esame importante è l’ecografia delle anse intestinali, è poco invasivo, viene fatto sia dai gastroenterologi che dai radiologi e permette di individuare degli inspessimenti intestinali».
La speranza nei farmaci biologici
Sia Rettocolite ulcerosa che malattia di Crohn hanno un percorso alterno tra infiammazione e latenza; pertanto, l’obiettivo della cura è riuscire a tenere la malattia in remissione il più a lungo possibile. Oltre ai farmaci da tempo in commercio come mesalazina, cortisonici, immunosoppressori e antibiotici oggi ci sono i biologici che stanno esprimendo grandi potenzialità. «Nell’ultimo anno è entrato in commercio un farmaco per la rettocolite ulcerosa in compresse molto interessante rientra nella categoria degli inibitori della Janus chinasi, noti anche come Jak inibitori, ovvero bloccano selettivamente alcune vie dell’infiammazione o alcuni linfociti all’interno dei linfonodi e ne impediscono la migrazione. Per la malattia di Crohn invece si utilizza da un paio di anni un farmaco biologico, Stelara, oggi utilizzato anche per la rettocolite ulcerosa». Qualche evento avverso di natura trombotica, in particolare nei pazienti anziani con problemi cardiovascolari, rappresenta la principale criticità di queste nuove cure che per caratteristiche della malattia devono essere protratte nel tempo. «Almeno cinque anni. La decisione sulla sospensione della cura è una fase delicata, va valutata di caso in caso e deve essere personalizzata