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Situazione ambientale del nostro Paese e del mondo

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Situazione ambientale del nostro Paese e del mondo

Intervista al professor Vincenzo Balzani*

Dalla Rivista “Professione Docente” dicembre 2022

  1. Professore, da diversi anni ormai, Lei ci dedica una parte del suo tempo per fare il punto sulla situazione ambientale del nostro Paese e del mondo. Qual è la condizione attuale?  All’ osservatore inesperto sembra che le cose non siano cambiate in meglio. Anzi.

Il giudizio negativo dell’osservatore inesperto è giustificato ed è in linea col giudizio degli esperti e anche dei politici più consapevoli. Ad esempio, il vicepresidente della Commissione europea Timmermans ha definito l’accordo raggiunto alla Cop27 non sufficiente, aggiungendo che troppi paesi non sono pronti a fare progressi nella lotta contro la crisi climatica. Molto più duro il commento del segretario generale delle Nazioni Unite Gutierrez: Il tempo stringe, le emissioni di gas a effetto serra continuano ad aumentare, la temperatura globale continua a salire e il nostro pianeta si sta avvicinando rapidamente a dei punti di non ritorno che renderanno la catastrofe climatica irreversibile. L’umanità è di fronte ad una scelta: cooperare o morire.

Il problema è molto complesso perchè i vari paesi si trovano in situazioni molto diverse riguardo le fonti energetiche. Alcuni, come Russia, Iran e Arabia Saudita, hanno grandi riserve di combustibili fossili e tendono non solo ad usarli, ma anche ad esportarli. Altri paesi, come l’Italia, hanno riserve trascurabili, ma hanno potenti aziende petrolifere (ENI in Italia) che estraggono e commerciano combustibili fossili e, quindi, cercano di rallentare la transizione energetica.  Alcuni paesi molto importanti, come Cina e India, cercano di mettere in atto la transizione, ma hanno problemi interni di vario tipo da risolvere. Un folto gruppo di paesi in via di sviluppo, poi, non dispone di competenze e tecnologie appropriate. Quindi, ha ragione Timmermans nel dire che troppi paesi non sono pronti a fare progressi. Ma è anche vero che il tempo stringe. Ecco, allora, perché Gutierrez ha lanciato un forte appello affinché nasca uno storico Patto tra economie sviluppate ed economie emergenti: il Patto di Solidarietà Climatica, perché si sa già cosa bisogna fare e ci sono gli strumenti finanziari e tecnologici per farlo; è tempo che le nazioni si uniscano per agire. L’accordo raggiunto alla Cop27 su una bozza di documento riguardante il fondo per recuperare le perdite e i danni (loss & damage) causati dal riscaldamento globale è un passo in avanti verso la giustizia climatica e, auspicabilmente, verso il Patto di Solidarietà Climatica.

  • Possiamo riassumere, ancora una volta, i danni che provocano il cambiamento climatico e l’inquinamento per la salute e l’economia mondiale?

Il cambiamento climatico, dovuto principalmente all’immissione in atmosfera (circa 1000 ton al secondo!) di diossido di carbonio (CO2) generato dall’uso dei combustibili fossili, causa un effetto serra che porta al riscaldamento del pianeta, con scioglimento dei ghiacci, innalzamento del livello dei mari, avanzamento della siccità in molte regioni del mondo e eventi metereologici estremi con danni alla popolazione, alle colture e alle infrastrutture. Il Fondo Monetario Internazionale ha stimato che tra il 1980 e il 2020 il nostro paese ha subito danni da eventi climatici estremi pari a 200.000 euro per chilometro quadrato.  Tra il 2005 e il 2014 si sono registrate perdite tra l’1,5% e il 2,5% del PIL.

L’uso dei combustibili fossili, compreso il gas naturale, cioè il metano, genera anche sostanze inquinanti, dannose alla salute. Secondo il rapporto del Fondo Monetario Internazionale del 2021, l’Italia si è collocata al primo posto fra i paesi europei per morti causati dai combustibili fossili, con 36.570 decessi.

  • L’ energia è il motore della vita moderna. Da tempo si parla (e gli scienziati insistono costantemente in ciò) della necessità di abbandonare l’energia fossile a favore delle fonti rinnovabili. In questo momento, complice la tragedia dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, il discorso sembra accantonato. La Germania ha riaperto le miniere di carbone, si suggerisce anche un ritorno al nucleare…

Le scelte che oggi facciamo riguardo le fonti energetiche richiedono tempo per essere attuate e quindi condizioneranno il nostro futuro. La strategia che si persegue è la transizione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili. In casi di estrema necessità e per tempi brevi, se le energie rinnovabili non sono state ancora sviluppate a sufficienza, può essere necessario tornare all’uso, il più possibile limitato, di combustibili fossili.

Recentemente in sede europea il nucleare è stato considerato fondamentale per combattere il cambiamento climatico in quanto non genera CO2. Però, per valutare la sostenibilità ecologica, economica e sociale di una fonte energetica non ci si può basare solo sulla quantità di CO2 emessa. In realtà, il ritorno al nucleare è del tutto inopportuno per le seguenti ragioni: 1) le centrali nucleari producono scorie radioattive pericolose per decine di migliaia di anni; la loro collocazione è un problema non risolto e forse irrisolvibile; 2) il combustibile nucleare, l’uranio, è una risorsa non rinnovabile, limitata e quindi contesa; 3) la dismissione di una centrale nucleare a fine vita è un problema di difficile soluzione, tanto che lo si lascia in eredità alle prossime generazioni; 4) Chernobyl e Fukushima hanno dimostrato che un grave incidente nucleare può accadere anche in paesi tecnologicamente avanzati; 5) un incidente nucleare grave non è delimitabile nello spazio e nel tempo e, pertanto, coinvolge direttamente o indirettamente milioni di persone; 6) il timore di incidenti o di contaminazioni con sostanze radioattive rende difficile il reperimento di siti in cui costruire le centrali; 7) l’esperienza dimostra che la costruzione di una centrale nucleare richiede più di 20 anni e il costo finale supera di molte volte quello inizialmente previsto.

In conclusione, nucleare è una tecnologia molto costosa, pericolosa, complessa da gestire e socialmente non accettabile che mette pesanti fardelli sulle spalle delle prossime generazioni e genera problemi politici e sociali difficile da risolvere.

  • Presto in Italia saranno collocati dei rigassificatori, presentati come necessari per

 l’industria. Quale impatto avranno sull’ ambiente e quali pericoli rappresentano?

Nella situazione in cui siamo, sarebbe necessaria una pianificazione energetica coerente con gli obiettivi di decarbonizzazione, in modo da individuare razionalmente gli strumenti più utili per uscire da questa crisi temporanea, senza compromettere la sostenibilità ambientale ed economica del nostro Paese. Un recentissimo articolo pubblicato da L.M Pastore e altri dell’università La Sapienza di Roma, ripreso dall’autorevole rivista Nature il 17 novembre, sostiene che in Italia si potrebbe rimediare più velocemente alla crisi del gas sviluppando le energie rinnovabili piuttosto che diversificando le forniture di gas da altre nazioni. Questo risultato riguarda anche il problema dei rigassificatori.

A parte i costi e l’intrinseca pericolosità dei rigassificatori, ci sono altri problemi, addirittura più importanti, che dovrebbero essere presi in considerazione. Il Decreto Legge approvato dal governo lascia un campo troppo libero al proliferare dei rigassificatori. Un conto è discutere su un loro utilizzo temporaneo, che potrebbe essere necessario al fine di superare la crisi in atto, un conto è aprire le porte a una rigassificazione incondizionata.  Le decisioni del governo non circoscrivono l’arco temporale, che dovrebbe essere legato all’emergenza, e introducono pericolose semplificazioni autorizzative, commissariali, in deroga alle norme ambientali, sanitarie, del codice degli appalti e della partecipazione pubblica.

Il problema dei tempi si incrocia con quello dei costi. Non sono indicati importi precisi, ma viene istituito un fondo pari a 30 milioni di euro per ciascuno degli anni che vanno dal 2024 al 2043. Dunque, si prevede di utilizzare i rigassificatori per vent’anni? Questo significherebbe compromettere lo sviluppo delle energie rinnovabili.  Preoccupa anche il fatto che il mercato del gas è attualmente fuori controllo.

La provenienza del gas è un altro punto delicato. A eccezione degli Stati Uniti, i paesi fornitori sono nel Mediterraneo e in Africa, regioni caratterizzate da situazioni di rischio. Anche dietro a leadership politiche durature, come quella algerina, o militari, come quella egiziana, si celano numerosi elementi di fragilità economica, politica e sociale che rischiano di dare origine a nuova instabilità.  Ancora più rilevante è il problema della creazione di nuovi rapporti di dipendenza per la fornitura di gas, fattore che ci impedirebbe, ad esempio, di fare pressioni sull’Egitto per quanto riguarda i diritti umani (vedi caso Regeni) e su Israele per l’estensione degli insediamenti israeliani in Palestina.

  • Professore, il gruppo da Lei coordinato Energia per l’ Italia ( www.energiaperlitalia.it) ha stilato un decalogo per le elezioni del 25 settembre, che affermava, tra gli altri, il principio che l’energia diventi un bene comune. Sembra che la politica sia ancora sorda a questo problema. E’ così?

Purtroppo, sì. Perché l’energia possa diventare un bene comune bisogna anzitutto evitare il nucleare e portare a compimento la transizione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili, in particolare all’energia elettrica fornita dal fotovoltaico. La possibilità di produrre energia da parte di una singola famiglia o, meglio, di comunità energetiche solari di auto-mutuo consumo permetterà di rafforzare il principio che l’energia, come l’aria e l’acqua, è un bene comune. Inoltre, la possibilità di controllare direttamente produzione e consumo indurrà le persone ad usare l’energia in modo più coscienzioso e più efficiente.

In Italia la politica energetica rimane ostaggio di Eni, l’azienda che nel passato con i combustibili fossili ha dato un forte contributo allo sviluppo del nostro paese, ma che, purtroppo, non riesce a rassegnarsi alla urgenza della transizione energetica.  Quindi, investe solo marginalmente sulle energie rinnovabili ed è invece molto impegnata a riprendere le trivellazioni in Adriatico e a trovare e sfruttare giacimenti di combustibili fossili in vari paesi, particolarmente in Africa, mettendoci nella condizione di dipendere da paesi politicamente instabili, caratterizzati da un basso grado di democrazia.

  • In quel decalogo, molto chiaro ed efficace, si insiste molto sulla necessità di puntare alla formazione per creare una cittadinanza consapevole.  La scuola deve solo collaborare a questo processo o deve farsi protagonista principale?

La transizione energetica e, più in generale, quella ecologica, richiedono una profonda transizione culturale di cui la scuola deve farsi carico proprio per creare una cittadinanza consapevole. Si tratta di far capire, almeno ai giovani, come è fatto e come funziona il mondo, quali sono i principali problemi e quale deve essere il compito di ogni cittadino nell’epoca della globalizzazione. Sporadiche conferenze da parte di docenti universitari, più o meno esperti, sono utili ma non sufficienti.

Attualmente nelle scuole si fa poco per creare cultura su temi di fondamentale importanza, quali, ad esempio: il pianeta Terra è l’unico luogo in cui possiamo vivere ed ha caratteristiche, in particolare la composizione chimica,  che noi non possiamo modificare; le risorse materiali che il pianeta può fornirci sono limitate e la loro distribuzione sulla superficie del pianeta non è omogenea; l’energia è la risorsa più importante perché senza energia non si può fare nulla, ma le varie forme di energia hanno specifiche proprietà e difetti; usando (consumando) risorse, si generano rifiuti, spesso pericolosi, di cui non possiamo sbarazzarci; le varie forme di vita sul pianeta sono interdipendenti.

Abbiamo, quindi, delle “condizioni al contorno” che ci invitano (o costringono) a fare certe scelte: adottare uno stile di vita basato sulla sobrietà, anziché sul consumismo; riciclare i rifiuti anziché

abbandonarli o disperderli sulla terra, nel mare o nell’atmosfera; scegliere fonti di energia che non danneggino l’ambiente e tanto meno la salute dell’uomo; non sprecare energia e risorse materiali per produrre cose inutili o, ancor peggio, dannose.

C’è poi un altro problema. Le risorse della Terra sono distribuite in modo non uniforme nelle varie zone del pianeta. Mi limito a due esempi: il Neodimio (elemento chimico necessario per costruire pale eoliche efficienti) è particolarmente abbondante in Cina e quasi assente in Europa; il Litio (elemento su cui si basano i migliori accumulatori di energia elettrica) è molto abbondante in Cile e altre nazioni del Sud America, mentre è scarso sia in Europa che negli USA. Per superare queste disuguaglianze, bisogna potenziare gli scambi commerciali fra tutte le nazioni della Terra. Questa necessità, a sua volta, ne esige un’altra, la più fondamentale: vivere nella pace. Sobrietà, collaborazione e pace sono pertanto i principi che la nostra casa comune, la Terra, ci chiede di osservare. 

  • Ci sono ancora margini per un’inversione di tendenza di questa grande crisi? Se sì, quali potrebbero essere i protagonisti di un processo di risanamento?

Incomincia a prevalere il pessimismo. La frase più comune delle pubblicazioni scientifiche e, addirittura, il titolo di libri sulla situazione energetica e climatica è: Non c’è più tempo. In realtà non lo sappiamo esattamente quanto tempo ci sia, perché l’evoluzione del cambiamento climatico dipende in modo complesso da molti fattori. Ciò che sappiamo è che, volendo, i fattori più importanti li possiamo governare. Di certo, ci vuole tempo, come dimostrano i lenti progressi che si fanno nelle Cop, che ormai si susseguono con ritmo annuale. Ci vuole tempo perché entrano in gioco gli interessi economici e politici delle più di 200 nazioni del pianeta, così diverse per cultura, tradizioni, difficoltà interne e aspettative.

La speranza è che i giovani di tutto il mondo riescano a far emergere, più di quanto abbiamo fatto noi anziani, le preziosissime fonti di energia spirituale – saggezza, creatività, responsabilità, collaborazione, amicizia, sobrietà e solidarietà – che caratterizzano l’uomo e che, come ci ricorda papa Francesco, fanno sì che possiamo dirci tutti fratelli.

I protagonisti di un processo di risanamento non possono essere che i giovani. Dobbiamo, quindi, compiacerci per la nascita di gruppi di giovani molto motivati riguardo i problemi del clima, dell’energia e delle risorse, come ad esempio Friday for Future.

  • Professore emerito di Chimica nell’Università di Bologna, coordinatore di “Energia per l’Italia”
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