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L’umanesimo in Economia: Stefano Zamagni

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Un economista per tre Papi

«Ho cominciato con Giovanni Paolo II nel 1990, poi ho collaborato con Benedetto XVI e ora con Francesco» «Devo la mia “vocazione” a un professore delle medie e a don Oreste Benzi, che mi fece conoscere Maritain e Mounier»

di GIORGIO TONELLI – avvenire BO – 15.01.2023

Professor Zamagni, con quale animo ha recentemente spento le 80 candeline?

Con l’animo di chi è grato per la vita che ha vissuto fino ad ora e di chi sa che ha ancora qualche tempo per completare l’opera intrapresa.

Stefano Zamagni è un turbo.

Economista di fama internazionale, fra i principali divulgatori dell’economia civile, è presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali e alterna con uguale impegno, da instancabile globetrotter, con perenne borsa in pelle a mano, simposi accademici ad incontri parrocchiali negli angoli più sperduti del Paese. Nato a Rimini, ma bolognese dal 1979, in pensione da dieci anni, continua ad insegnare a titolo gratuito a centinaia di studenti in tre corsi dell’Università di Bologna. Fra i suoi numerosi incarichi è stato anche presidente dell’Agenzia per il Terzo Settore e della Facoltà di Economia dell’Università di Bologna. Ha firmato 34 libri sul pensiero economico, ha collaborato ad un’altra quarantina di volumi e pubblicato centinaia di saggi scientifici. Sposato con l’amatissima Vera Negri, anche lei economista, hanno due figlie e quattro nipoti, dai 23 ai 16 anni, tutti impegnati negli scout.

A chi si sente maggiormente riconoscente per le scelte della sua vita e come le è nata la vocazione all’insegnamento?

Dei numerosi nomi che mi vengono in mente, a due in particolare mi sento estremamente grato, allo storico della Romagna, il professor Romolo Comandini e a don Oreste Benzi. Comandini è stato mio professore in prima media. Un personaggio straordinario da tutti i punti di vista. Fu lui a farmi scoprire l’importanza e la ricchezza dell’insegnamento. Il secondo incontro per me importante è stato con don Benzi, un uomo di profonda cultura. Fu lui a mettermi in mano a 14 anni i libri di Maritain, Mounier e di diversi filosofi del Novecento europeo.

Perché, anche per merito suo, si parla tanto di economia civile?

Perché l’economia liberista, nata con Adam Smith, due secoli fa nel mondo anglosassone, è in crisi.

Pensiamo all’aumento delle disuguaglianze, alla scomparsa del rapporto fra mercato e democrazia o alla distruzione ambientale.

Anche per questi motivi, sempre più economisti guardano all’economia civile, la cui titolarità va ad Antonio Genovesi, dell’Università di Napoli, la cui opera fondamentale è del 1765.

In parole povere, in cosa consiste l’economia civile?

Fondamentalmente l’economia civile si fonda sulle virtù civiche e sulla natura socievole dell’uomo, il quale è spinto ad incontrarsi, anche nel mercato, con l’altro. Vuole un mercato che realizzi una prosperità inclusiva, che è quello che propone anche il Papa con il movimento dei giovani economisti «The Economy of Francesco».

Lei ha detto che è finita l’iperglobalizzazione…      Sì, perché ha aumentato la vulnerabilità dei Paesi e ha provocato il disallineamento fra mercato capitalistico e democrazia (basti vedere quel che succede in Cina); infine, la iperglobalizzazione delegittima la stessa politica.

Ma con i populismi e i sovranismi non si può andare molto lontani….

Lei è noto come presidente della Pontifica Accademia delle Scienze Sociali.    Quello con la Santa Sede è tuttavia un rapporto di vecchia data che l’ha portata a conoscere ben tre Papi…

E’ un rapporto che risale agli inizi del 1990, quando Giovanni Paolo II mi chiese di organizzargli un incontro con i 12 più importanti economisti mondiali.

All’epoca non sapevo che il Papa stava pensando di pubblicare l’enciclica «Centesimus Annus». E quando gli chiesi se dovevano essere tutti economisti cattolici, lui mi rispose: «Non necessariamente, purché siano bravi». Nel 1991 divenni anche Consultore del Pontificio Consiglio «Justitia et Pax».

E con Benedetto XVI, che ci ha lasciato il 31 dicembre scorso, come è andata?

Con Benedetto XVI il rapporto è stato molto stretto. Ero l’unico laico in un gruppo di lavoro di 10 persone, fra Vescovi e Cardinali. Alcune parti dell’enciclica «Caritas in Veritate» le ho scritte io: il Papa poteva buttarle, invece le ha fatte sue. Ci fu anche un bel confronto sul titolo.

C’era chi proponeva «Veritas in Caritate», io invece proposi «Caritas in Veritate».

Me lo aveva insegnato don Oreste Benzi: se c’è una caratteristica del cristianesimo è nell’affermazione del primato del Bene, perché la ricerca della Verità non è una nostra esclusiva, ma è comune a tutte le fedi. Il papa si ritirò a Castel Gandolfo per una settimana, poi decise per la mia proposta.

Poi è arrivato papa Francesco…                          Papa Francesco è una persona spassosissima. Una delle prime cose che mi disse è «Io ho la precedenza su tutti gli altri». Nel 2013 mi ha nominato membro ordinario della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, di cui sono presidente dal marzo del 2019. Non pochi dei documenti elaborati dal Papa sono frutto dell’interazione fra la Pontificia Accademia e i suoi scritti. Pensiamo all’esortazione apostolica «Evangelii Gaudium», fino agli interventi più recenti sulla guerra in Ucraina.

A proposito di questa guerra lei è stato anche fra gli ideatori di un appello per la pace firmato da intellettuali di diversa formazione … Un documento che il Papa ha apprezzato e che continuo a sperare che possa diventare la base per un possibile negoziato.

Purtroppo da parte degli Stati Uniti, dell’Unione Europea e men che meno, da parte della Cina, manca il semaforo verde per consentire al Papa di organizzare il negoziato in Vaticano, che pure è l’unico territorio indipendente da tutti e al di sopra delle parti.

Torniamo a Lei. Continua ad avere una vita ricca di impegni e di soddisfazioni.

Ma c’è qualcosa che le manca ed alla quale tiene?

Direi di no, perché quello che sono riuscito a realizzare supera di gran lunga quelle che erano le mie aspettative.

Provengo da una famiglia molto umile e quando io e Vera ci siamo sposati non avevamo un soldo. Ma ho sempre fatto quello che più mi piaceva: insegnare nel senso dell’educare. Ed ho ottenuto i risultati che desideravo sia sul fronte scientifico che didattico. E soprattutto ho una splendida famiglia. Coi tempi che corrono, questa la considero una grazia del Signore.

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