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Come “vivere con l’epilessia”

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Dalla dieta chetogenica alla gestione delle crisi: come “vivere con l’epilessia”

Un manuale redatto dalla LICE, Lega italiana contro l’epilessia, spiega come affrontare i vari aspetti che circondano questa patologia. E affronta anche il tema delicato dello stigma, che colpisce sia bambini che adulti. Ben il 60% delle persone con epilessia non ha occupazione

di Giovanni Cedrone, Sanità Informazione

Nonostante i progressi della ricerca oggi una vera e propria cura per l’epilessia non esiste. Esistono solo dei farmaci che, nel 70 per cento dei casi, riescono ad evitare le crisi, ma agiscono solo sui sintomi e non sulle cause.

Il tema dello stigma

Tanti i temi del libro, a partire da quelli medici e sanitari come la farmacoresistenza, la gestione delle crisi, il ruolo della genetica e i casi in cui può essere risolutiva una terapia chirurgica. Ma sono ineludibili anche i risvolti sociali con lo stigma che colpisce da secoli queste persone. Esiste ancora e pesa in qualsiasi età. Già alle elementari c’è difficoltà di inclusione. Quando viene detto alle insegnanti che il bambino soffre di epilessia, questo spesso viene isolato e trattato con paura soprattutto se il personale scolastico non viene formato nell’assistenza delle crisi. Ci sono enormi difficoltà nella somministrazione dei farmaci a scuola perché il personale scolastico può rifiutarsi di somministrarlo.

Gli stereotipi che circondano l’epilessia possono determinare vere e proprie condizioni di isolamento. E anche per l’adulto l’inserimento nel mondo del lavoro è piuttosto difficile: dal punto di vista lavorativo le persone spesso non dicono di avere epilessia perché altrimenti sanno che non verranno assunte. Quello che accade più facilmente è che possono avere una crisi sul lavoro e possono essere licenziati per non aver segnalato prima la malattia. In età lavorativa circa il 60% delle persone sono disoccupate da una stima che abbiamo elaborato. Le persone hanno paura di questa malattia come se chi ha una crisi potesse essere pericoloso.

La gestione delle crisi in epilessia

La gestione delle crisi è un altro dei temi cruciale, considerando che molto spesso senza una formazione specifica l’assistenza può risultare sbagliata e in alcuni casi persino dannosa.

Ci sono casi lievi in cui semplicemente la persona con epilessia perde il contatto con l’ambiente, compie dei gesti non adeguati al contesto e non è in grado di parlare e di rispondere. Bisogna aspettare, vigilando che la persona non faccia gesti che possono arrecargli dei danni» spiega Tassi. Ma è nella crisi epilettica generalizzata che occorre il massimo dell’attenzione: «In questi casi il paziente può cadere a terra, procurarsi dei traumi e poi irrigidirsi con delle scosse a tutti gli arti. Può anche mordersi la lingua. In questi casi non bisogna mai mettere nulla in bocca, bisogna accertarsi che la lingua non vada all’indietro e non soffochi la persona. E bisogna evitare che con queste scosse colpisca degli oggetti.

Tra le azioni da evitare anche quella di voler aprire a forza la bocca o bloccare la persona sia alle braccia che alle gambe. «Una volta terminata la crisi il paziente va messo su un fianco in modo che se ha della saliva o del sangue questo esca spontaneamente dalla bocca. Poi si attende che si riprende e si chiede come sta. Se è un paziente che ha già avuto delle crisi in passato. Bisogna chiamare il 118 solo se la crisi dura molto o se il paziente cadendo si fa male» aggiunge la neurologa.

Il ruolo della dieta chetogenica in epilessia

Un altro aspetto poco noto che emerge dal volume è il ruolo che può assumere la dieta chetogenica che è in grado di ridurre il numero delle crisi e diminuirne l’intensità. «Il nostro cervello non è slegato dal resto del corpo. Su di lui ci sono molteplici cose che possono influenzarlo: il ritmo sonno veglia, quello che mangiamo, come dormiamo, se siamo agitati, per le donne il ciclo mestruale. Lo stesso vale per il nostro metabolismo: la dieta chetogenica cambia il nostro metabolismo. Fornisce al nostro cervello una benzina diversa, non più quella che passa attraverso il glucosio ma attraverso i chetoni e le proteine che aumentano con questa dieta. In alcuni casi questo tipo di dieta è efficace riducendo il numero delle crisi e l’intensità e consente a volte di ridurre la terapia con i farmaci anti-epilettici.

Resta però il problema della complessità della dieta, che, soprattutto nel caso dei bambini, non è detto venga accettata con facilità. Occorre in tutti i casi essere seguiti da un dietista e svolgere esami periodici.

Gli scenari della ricerca

Dall’epilessia, dunque, non c’è possibilità di guarigione ma solo di ‘risoluzione’ che avviene nelle sindromi che spontaneamente scompaiono con l’età, nei pazienti che hanno potuto eseguire l’intervento chirurgico e in quelli che sono liberi da crisi da almeno dieci anni e hanno sospeso la terapia da almeno cinque anni.

La speranza risiede come sempre nella ricerca, anche se su questa patologia se ne fa troppo poca. Negli ultimi anni ci sono state una serie di successi sulla genetica. Fino a dieci anni fa conoscevamo 20-30 geni che potevano causare forme di epilessia, adesso siamo arrivati quasi a mille. Non esiste una terapia genica, non possiamo ancora sostituire il gene mancante o inviare il gene fatto bene all’interno del nostro sistema nervoso centrale. Ma i progressi sono netti, ci sono nuovi farmaci che sono usciti e ci sono buone speranze di aiutare queste persone.

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