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Scienza, politica e società di fronte alla chimica verde

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Scienza, politica e società di fronte alla chimica verde

di Marco Taddia, Scienza in rete. Pubblicato il 18/03/2023 Tempo di lettura: 6 mins

Il chimico Marco Taddia ci parla di Research Between Science, Society And Politics. The History and Scientific Development of Green Chemistry, un libro sulla storia e lo sviluppo della green chemistry o chimica verde, una branca della chimica sempre più importante per l’industria e la politica.

Correva l’anno 2003, quindi è passato un bel po’ di tempo da quando il chimico organico Paul Anastas (Quincy, 1962), allora all’Università di Nottingham e oggi a Yale, dalle pagine della rivista Green Chemistry, fondata nel 1999, sollecitava la società a spostarsi da un progetto di traiettoria insostenibile a uno sostenibile, impegnando in tal senso scienza e tecnologia con l’apporto fondamentale della green chemistry. Secondo la IUPAC (Internation Union Pure Applied Chemistry), per green chemistry (in italiano detta chimica verde o anche chimica sostenibile) s’intende “l’invenzione, la progettazione e l’uso di prodotti chimici e processi per ridurre o eliminare l’uso e la produzione di sostanze pericolose”. Si tratta quindi di una branca della chimica che mira a raggiungere la massima efficienza con il minimo spreco ambientale ed economico, evitando le sostanze pericolose e ponendosi in un’ottica di economia circolare; svariati sono i campi di applicazione, dalla creazione di bioplastiche con prodotti di scarto (per esempio alimentari) alla produzione di energia rinnovabile ed ecosostenibile (compreso l’idrogeno).

Della green chemistry, Anastas è considerato oggi il padre a tutti gli effetti e lo è meritatamente. Le sfide poste dallo spostamento che auspicava nel 2003 non sono finite, perché politica ed economia pretendono la loro parte, come dimostrano tuttora le discussioni in corso a livello parlamentare italiano ed europeo. Tuttavia, oggi che si parla di Green New Deal Europeo, quale ponte verso la bioeconomia, la chimica verde è più che mai al centro dell’attenzione delle industrie del settore, degli accademici italiani e del legislatore.

Anche per questo un nuovo libro che ne parla per i non specialisti è il benvenuto. Si tratta di Research Between Science, Society And Politics. The History and Scientific Development of Green Chemistry, di Johan Alfredo Linthorst (Eburon Academic Publishers, Utrecht, 2023). È un libro denso di informazioni, come si addice alla tesi di dottorato che l’autore ha discusso come candidato esterno all’Università di Maastricht il 13 febbraio scorso e fatto pubblicare senza modifiche. Il titolo propone un argomento di ordine generale, mentre il contenuto, come è giusto che sia, riguarda un caso specifico, ossia la storia e lo sviluppo della green chemistry di cui Linthorst si era già occupato in precedenza (Foundations of Chemistry, An overview: origins and development of green chemistry, 2010).

L’idea risale all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso, quando si cominciò a parlare concretamente di accettabilità dal punto di vista ambientale dei processi produttivi e relativa verifica. A livello internazionale un ruolo di primo piano fu assunto dagli Stati Uniti con l’U.S. Presidential Green Chemistry Challenge Award, istituito nel 1995, e con la fondazione del Green Chemistry Institute (1997). Tra le nazioni più attive nel promuovere le prime iniziative anche a livello governativo, troviamo anche l’Italia che, ricordiamolo, vide l’istituzione nel 1993 del Consorzio Interuniversitario “La Chimica per l’Ambiente” (INCA) e l’organizzazione a Venezia del meeting Processi Chimici Innovativi e Tutela dell’Ambiente. Il termine green chemistry, non immune da qualche ambiguità, viene ancora usato nella nostra lingua ma la traduzione letterale “chimica verde” è ormai prevalente nelle riviste italiane a carattere tecnico-scientifico e l’organo ufficiale della Società Chimica Italiana , che gli ha dedicato un intero fascicolo all’inizio dell’anno scorso, ce lo conferma.

Tornando al libro di Linthorst, diciamo subito che la trattazione è circoscritta a ciò che è avvenuto in tre nazioni, ossia Stati Uniti, Regno Unito e Olanda, sia dal punto di vista scientifico interno che da quello socio-culturale. Dopo un capitolo introduttivo che ci mostra come si è fatta strada la green chemistry e i tre dedicati alle suddette nazioni, i rimanenti due si occupano rispettivamente dell’origine intellettuale del concetto e relative divergenze interpretative, per finire con quello dedicato alla discussione e conclusioni.

Lo schema corrisponde a quello di una tesi ma, prima di farne un libro, forse si poteva riordinare e integrarlo con una breve panoramica su ciò che è avvenuto altrove. Perché, per esempio, non cercare fra i membri EuChemS qualche nazione pioniera della conversione green, vista l’appartenenza delle Società Chimiche di UK e Paesi Bassi a tale gruppo? Come vedremo, tale lacuna nulla toglie a uno sforzo ammirevole, tenendo conto che dal 2003 Linthorst, studente lavoratore, ha insegnato chimica a livello pre-universitario sia in Olanda che a Curaçao, mentre ora è a Meppel. Tra le motivazioni che lo hanno spinto a impegnarsi nella ricerca, iniziata nel 2005 e che lo costringeva a spostarsi spesso tra le due sponde dell’Atlantico, nasceva dal fatto che la chimica verde è tuttora oggetto di alcune dispute. Il suo significato per i cittadini, le attese e le realizzazioni concrete, non sono sempre apparsi del tutto chiari, come è successo anche a Porto Torres. Un altro motivo è che, secondo lui, gli storici della chimica professionisti, tranne poche eccezioni, sono stati abbastanza restii a occuparsi di chimica ambientale fin dall’emergere di tale disciplina.

Detto ciò, senza entrare nei dettagli, l’emergere della chimica verde pare sia stata una reazione alla diffidenza e ai timori che la semplice evocazione dell’aggettivo “chimico”, quasi sinonimo di “tossico”, suscitava in passato tra i cittadini e i consumatori. L’adozione da parte di accademici e industriali di un termine che gli anglosassoni, così come succede per “nanotecnologie” e “sostenibilità” definiscono umbrella e che, nel caso della chimica verde si spiega da solo, meriterebbe un prolungamento della discussione, così come i dodici principi che ne definiscono l’etica: 

  1. Prevenzione: è meglio prevenire la produzione dei rifiuti che trattarli o ripulirli dopo che sono stati creati.
  2. Economia dell’atomo: i metodi di sintesi devono essere progettati per massimizzare l’incorporazione di tutti i materiali utilizzati nel processo nel prodotto finale.
  3. Sintesi chimiche meno pericolose: ove possibile, i metodi di sintesi devono essere progettati per utilizzare e generare sostanze con una tossicità minima o nulla per la salute umana e l’ambiente.
  4. Progettazione di prodotti chimici più sicuri: i prodotti chimici devono essere progettati per svolgere la funzione desiderata riducendo al minimo la loro tossicità.
  5. Solventi e ausiliari più sicuri: l’uso di sostanze ausiliarie (per esempio solventi, agenti di separazione ecc.) deve essere reso superfluo ove possibile, e innocuo quando sono utilizzate.
  6. Progettazione per l’efficienza energetica: i requisiti energetici dei processi chimici devono essere riconosciuti per il loro impatto ambientale ed economico e devono essere ridotti al minimo. Se possibile, i metodi di sintesi dovrebbero essere condotti a temperatura e pressione ambiente.
  7. Uso di materie prime rinnovabili: ogni volta che sia tecnicamente ed economicamente possibile, le materie prime devono essere rinnovabili anziché esauribili.
  8. Riduzione dei derivati: la derivatizzazione non necessaria (uso di gruppi bloccanti, protezione/deprotezione, modifica temporanea dei processi fisici/chimici) deve essere ridotta al minimo o evitata se possibile, perché queste fasi richiedono reagenti aggiuntivi e possono generare rifiuti.
  9. Catalisi: i reagenti catalitici (il più possibile selettivi) sono superiori ai reagenti stechiometrici.
  10. Progettazione per la degradazione: i prodotti chimici devono essere progettati in modo che, al termine della loro funzione, si decompongano in prodotti di degradazione innocui e non persistano nell’ambiente.
  11. Analisi in tempo reale per la prevenzione dell’inquinamento: le metodologie analitiche devono essere ulteriormente sviluppate per consentire il monitoraggio e il controllo in tempo reale, all’interno del processo, prima della formazione di sostanze pericolose.
  12. Chimica intrinsecamente più sicura per la prevenzione degli incidenti: le sostanze e la forma di una sostanza utilizzata in un processo chimico devono essere scelte per ridurre al minimo il potenziale di incidenti chimici, tra cui rilasci, esplosioni e incendi.

Ma per ora ci fermiamo qui.

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