DEUS DUEPUNTOZERO. RIPENSARE LA FEDE NEL POST-TEISMO
Recensione di “Deus Due….Zero, di Gabrielli Editore
Stiamo vivendo un’epoca non solo di cambiamenti (Papa Francesco), ma un tempo che esige una trasformazione nel modo di pensare e vivere la religione. La coscienza di fede delle nuove generazioni risulta essere sempre più secolarizzata, agnostica e indifferente: come e quale Dio annunciare? Allo stesso tempo la mistica e le recenti scoperte scientifiche (fisica quantistica e neuroscienze) ci dischiudono una visione della realtà che nel suo più profondo è quanto mai connessa e consapevole di se stessa. Siamo nell’era del post-teismo. A differenza dell’ateismo dei secoli scorsi, il post-teismo non rifiuta qualsiasi trascendenza ma solo quella di un Dio assolutamente separato dal mondo che interviene dall’esterno per salvarlo (teismo). Il cosmo non è fuori, ma è in Dio (panenteismo). Come comprendere le verità della fede cristiana a partire da questa “aggiornata” (Deus 2.0) prospettiva teologica? Lo scopo di questo libro è di intraprendere un esercizio di inter– e trans-disciplinarietà, integrando nel cammino di ricerca l’aspetto teologico, scientifico e mistico dei vari saperi, per offrire così una proposta di rilettura della fede cristiana.
«Il motivo per cui questo libro merita di essere letto anche da un teista (trinitario-relazionale) poco disposto ad abbandonare questo orizzonte è il fatto di trovarsi costantemente sottoposto a un pungolo intellettuale che lo costringe a mettere alla prova i propri argomenti, a coglierne i punti deboli, le possibili contraddizioni, le reali vie di uscita (non le vie di fuga). (…) Il libro è un saggio di teologia sistematica: la proposta di un cammino serio, articolato, argomentato che è servito all’autore per pensare la propria e l’altrui esperienza di fede, e può servire a chi lo legge a instaurare un dialogo fra ciò che già pensa e ciò che un altro ha pensato sulla fede cristiana. È un saggio, un “tentativo”, frutto di un lavoro assiduo e prolungato che non vuole rimanere solitario ma si espone al dibattito pubblico. In casi come questo l’autore è anche un po’ “tentatore”: non come l’avversario, il satana, che vuole sedurre qualcuno per allontanarlo dal bene, ma come uno che “tenta”, che “prova” e “mette alla prova”, come si diceva sopra. Egli svolge così un servizio prezioso.
Fare teologia per questo mondo e per questo tempo – senza per questo essere schiacciati su questo tempo o da questo tempo – significa anche accettare di mettersi alla prova, di mettere alla prova e di essere messo alla prova. È la prova del logos, della parola che, in quanto umana, è insieme necessaria e inadeguata per rapportarsi alla realtà.»