I Pizzardi una saga familiare (l’incipit agli Ospedali “Bellaria” e “Maggiore” di Bologna)
La solitudine di Carlo Alberto.
I Pizzardi una saga familiare
(l’incipit agli Ospedali Bellaria e Maggiore)
Da un libro di Maurizio Garuti, Minerva ed., Recensione di Alessandro Castellari*
Qualche bolognese sa che Carlo Alberto Pizzardi fra il 1919 e il 1921 in prossimità della morte dona allo Spedale Maggiore di via Riva Reno l’intera tenuta di Bentivoglio e i possedimenti di Medicina oltre ad una cospicua somma di denaro per la costruzione di un nuovo ospedale fuori dal centro abitato, in località salubre (sarà il “Bellaria”) e per la progettazione di un altro ospedale ai Prati di Caprara (sarà il “Maggiore”).
Lascio le belle pagine finali sulla solitudine, sui silenzi, sulle stranezze di Carlo Alberto ai suoi lettori e alle sue lettrici, e torno a quelle dedicate alla “saga familiare” dei Pizzardi di cui nulla sapevo e che mi hanno fatto entrare in un mondo resuscitato con scrupolo storico e illuminato dalla perizia letteraria di Maurizio Garuti.
Nei primi anni del Settecento troviamo dalle parti di Argelato un certo Bartolomeo Pizzardi, fattore dei nobili Fioravanti: un mondo chiuso nel quale “dove la sorte ti faceva nascere, lì crescevi e restavi”. Ma col nipote Francesco il mondo si mette in movimento. È lui che approfitta della messa in vendita voluta da Napoleone di molti beni ecclesiastici e nobiliari; è lui che capisce che la piramide sociale può essere scalata con il possesso di terre e con il denaro. I suoi figli Camillo e Gaetano acquistano dal marchese Bentivoglio la sua vasta proprietà, e Bentivoglio col suo castello e il suo mulino sul Navile diventa il cuore del regno pizzardiano. E le figlie? Quelle sono figure di scarto da seppellire nell’oblio.
Fra bonifiche, ammodernamenti tecnologici, amministrazione di banche private, officine meccaniche per l’agricoltura i Pizzardi fanno diventare le quattro case di Castagnolo Maggiore il comune di Castel Maggiore; e nel 1833 Gregorio XVI conferisce “in perpetuo” a Camillo e Gaetano il titolo di marchesi. Poi Camillo lascia tutta la gestione degli affari all’amato fratello.
Nonostante i tanti figli di Gaetano morti di tubercolosi, la dinastia continua con Luigi e Cesare. Insieme vanno in giro per l’Europa, fra loro è un continuo discorrere di conti e di interessi in grande armonia. Luigi riempie di sé la storia bolognese fra gli anni Quaranta e Sessanta dell’Ottocento come presidente del Ricovero di Mendicità e della Società di Mutuo Soccorso dei Barbieri e dei Parrucchieri, come cofondatore della Cassa di Risparmio, come primo sindaco di Bologna dopo la caduta dello Stato pontificio. Con lui si consolidano alcuni tratti distintivi della famiglia, il patriottismo, il senso degli affari, l’assidua beneficenza: tratti che dei quattro figli solo Carlo Alberto erediterà, perché il primogenito Francesco è uno scapestrato, Camillo vive solo di musica di cui è un eccellente promotore, e la povera Cesarina è avviata sulla strada della pazzia. E con Carlo Alberto il pericolante regno dei Pizzardi nella grave crisi economica degli anni Ottanta “trova l’uomo che aspettava per la sua rinascita”
La storia che Garuti ci racconta è il frutto di una accurata ricerca storica, ma ha anche la densità della buona letteratura. Ci sono infatti dei momenti in cui la parola letteraria sembra sondare uno spazio nel quale la ricerca storica non può addentrarsi, come quella “scheggia di luce” sulla scelta di Camillo di lasciare al solo Gaetano, il nonno di Carlo Alberto, l’impresa familiare: una vita dissipata come tombeur de femmes o la prospettiva di una vita pacifica dopo tanti affari? O come quando Garuti si sofferma (come noi lettori sfogliando il libro) sui ritratti di Luigi e dei figli quasi per trarre da quelle immagini, dagli sguardi, dalle posture il loro carattere. O come quando mette in scena il duello mortale fra Francesco e il conte Mazzacorati il 28 febbraio 1869. Certamente Garuti segue la cronaca di Enrico Bottrigari, ma la magia della scena è tutta sua:
Il duello ebbe luogo una mattina all’alba, a Ca’ Selvatica, fuori porta San Felice, nel parco di una villa… Intorno alle 7 cominciò a fare giorno in un vasto spiazzo delimitato dalle sagome di pioppi cipressini. Sull’erba carica di rugiada gli attori sono pronti… (p.109).
Alla ricerca storica non interessa “l’erba carica di rugiada”, con la letteratura invece essa assume quel colore e quella dimensione spaziale in cui chi legge si riconosce.
*intellettuale e bibliofilo