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Cose «della mente»

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Cose «della mente»

di Manfredi Lanza, già funzionario del Parlamento europeo

«La pittura è cosa della mente», avrebbe lasciato detto o scritto Leonardo. E «della mente» sono non solo tutte le arti, il pensiero – ovviamente -, quindi la filosofia, ma anche la speculazione matematica e, in larga misura, le scienze.

Ciò che è «della mente» differisce e per molti versi si oppone a quel che è della vita attiva. A forza di bearsi in meditazioni, si rischia di perdere piede nella vita di tutti i giorni. È il tema dell’albatro di Baudelaire: «ses ailes de géant l’empêchent de marcher».

Io trascorro le mattinate a riflettere, scrivere e/o dipingere nei miei studi. Mia moglie esce a far la spesa; mette in ordine l’abitazione, fa il letto, prepara i pasti, mi fa trovare tutto pronto. Inoltre è lei che si occupa dell’amministrazione corrente: effettua i pagamenti a data fissa e straordinari, detiene l’esclusiva dei bonifici, sbriga i rapporti con il mio ex datore di lavoro e assicuratore sanitario, cura le relazioni con famigliari e conoscenti. Dovessi subentrarle in queste varie mansioni per causa di suo impedimento, non saprei come muovermi, ne sarei incapace. È un’imbarazzante situazione di dipendenza, di cui tendo a non accorgermi, anzi a congratularmi, fintanto che tutto scorre liscio, che tutto non incappa in qualche grana minore o maggiore.

Giustamente, un amico mi richiama al dovere morale dell’impegno. Tuttavia, l’impegno è richiesto solo a chi, durante l’arco della vita cosiddetta attiva, sia ritenuto in grado di fornirlo; non ai pargoli, né agli incapaci d’intendere e di volere, e neppure agli anziani parcheggiati in pensione. L’impegnarsi oltre tempo di un anziano non è certo reato, ma può configurarsi come socialmente inopportuno. Infatti ruba l’aria a un giovane, che gli scalpita alle calcagna, ne ha maggiormente bisogno, e del quale si dà per scontato sia capace di più brillanti prestazioni.

C’è oltretutto da osservare che, se in società l’impegno servile è sempre ben accetto, l’impegno responsabile incontra invece ostacoli; non sempre riesce e, quando riesce scavalcando pregiudizi culturali e sbarramenti normativi o in virtù di un’ostinazione pervicace, comporta risvolti drammatici. Darwin si è trattenuto vent’anni prima di pubblicare le sue tesi rivoluzionarie sull’evoluzione delle specie, si è ben guardato dall’andarle a difendere di persona e, come immaginava e temeva, ha scatenato nelle sedi accademiche e nella Chiesa anglicana un putiferio che non lo ha certo aiutato a vivere meglio i suoi ultimi anni. Semmelweis, a metà Ottocento, si è sforzato di allertare la sanità viennese sulla necessità dell’igiene nelle manipolazioni mediche, tuttavia suscitando l’irrisione e l’ostilità dei colleghi, e ne è uscito pazzo. La follia è stato il porto d’approdo di Vincent van Gogh al termine di una breve vita interamente dedicata alla ricerca e all’espressione artistica e Amedeo Modigliani è morto di stenti e tubercolosi a Parigi all’età di 36 anni.

Onorare il dovere morale dell’impegno sociale non è cosa banale; non è, per tutti, cosa agevole. Per coloro che possono più dare, apportare soprattutto contributi originali, forieri di avanzamenti nel sapere e nel sentire, comporta quanto meno il rischio – se non la probabilità – di condurre a una condanna all’isolamento, al disturbo mentale, persino ad una morte prematura per crocifissione.

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