Nuove povertà tra Autonomia Differenziata, reddito di cittadinanza e mancanze di cure sanitarie
“Nel Mezzogiorno, secondo la Svimez, con la nuova misura 760 mila persone precipiteranno nelle condizioni di povertà assoluta, senza più alcun sostegno”. Siamo di fronte ad uno scenario dove le disuguaglianze nel nostro Paese aumentano tra sud e nord, tra città e aree ai margini, tra persone di diverso genere, tra giovani e meno giovani, tra ricchi e poveri. I dati sono drammatici: 5,6 milioni di persone sono in povertà assoluta e 8 milioni in povertà relativa. Condizioni che riguardano quasi il 23% della popolazione italiana. Inoltre, sono più di 3 milioni le lavoratrici e i lavoratori che sono poveri anche se lavorano. Per non parlare della disoccupazione giovanile pari al 22% e di quella delle donne pari al 10,2%. Nel Mezzogiorno, secondo la Svimez, con la nuova misura 760 mila persone precipiteranno nelle condizioni di povertà assoluta, senza più alcun sostegno. Non si favorirà una maggiore occupazione, si contribuirà invece a far crescere il numero dei lavoratori poveri, il lavoro nero e precario. Nel Mezzogiorno che sono più diffuse precarietà, dispersione scolastica, carenza dei servizi pubblici, a partire da quelli sociosanitari e per l’infanzia a queste difficoltà il governo non dà risposte e quelle che prevede, come la flat tax, la liberalizzazione dei contratti a termine, l’estensione dei voucher, acuiscono le povertà.
Alla luce di questo, ci appare indispensabile il ritorno ad una misura universale di reddito minimo. Occorra perseguire la realizzazione di uno strumento che connetta la componente monetaria (il sussidio) con la componente di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa (i servizi, sia del sociale sia i servizi del lavoro) e che individui un diverso ruolo dei Comuni e delle comunità), del sistema di welfare locale e dei sistemi di infrastrutturazione dei servizi del lavoro.
Una delle principali conseguenze della condizione di fragilità economica è la povertà sanitaria e la mancanza di cure sanitarie, che sono condizioni particolarmente odiose perché la salute, o meglio, l’accesso alle cure, dovrebbe essere un diritto garantito a tutti. Purtroppo nella realtà non è così e questo non dipende solo dalle barriere economiche ma anche, per esempio, dalla geografia (territorio isolato), infrastrutture (mancanza di ospedali o qualità dell’offerta sanitaria) e dalla scarsa consapevolezza (conoscenza delle strutture e delle cure disponibili). Una persona indigente, secondo i dati del 2021, ha a disposizione un budget per la salute pari a soli 10 euro al mese, mentre una persona sopra la soglia di povertà ha a disposizione ogni mese quasi sette volte tanto, ovvero 66 euro. Per quanto riguarda unicamente le risorse per l’acquisto di farmaci, un individuo fragile può stanziare ogni mese 5,85 euro mentre uno sopra la soglia quattro volte di più: 26 euro.
La povertà sanitaria è ancora più insopportabile se si considera che perdura in Italia il carattere universalistico del nostro Servizio Sanitario Nazionale. Questo significa che, malgrado la gratuità delle cure sanitarie sancita dall’articolo 32 delle Costituzione, una parte consistente della spesa sanitaria resta a carico dei cittadini, soprattutto quella farmaceutica.
Per queste ragioni nel Mezzogiorno occorrono misure stringenti di contrasto alla povertà e allo stesso tempo politiche che permettano agli enti locali e alle Regioni di sviluppare una rete di assistenza medica, con il potenziamento della presenza dei medici di medicina generale e il rafforzamento dei presidi socio sanitari sul territorio. In questo modo si potrebbero intercettare meglio per l’erogazione delle cure per quella fascia di popolazione che vive in condizioni d’indigenza. Combattere la povertà vuol dire individuare una misura universale di sostegno al reddito, mettere in campo politiche di sviluppo e per nuova occupazione e allo stesso tempo garantire a tutti il soddisfacimento dei bisogni di salute.