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Gaza: un sostegno che non basta!

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Gaza, un sostegno che non basta

Conversazione con Giovanna Bizzarro, rappresentante della Croce Rossa italiana in Palestina

  • BY REDAZIONE ATLANTEGHERRE, NOVEMBRE 29, 2023

di Ambra Visentin

Grazie alla tregua, iniziata lo scorso venerdì 24 ottobre tra Israele e Hamas terminata con la giornata di lunedi  ma prolungata ieri di altri due giorni, gli aiuti umanitari alla Striscia di Gaza hanno ricominciato a fluire con un volume maggiore, ma non sufficiente a soddisfare i bisogni della popolazione dell’enclave palestinese martoriata dalla guerra. Prima dell’escalation del conflitto ad inizio ottobre, l’80 per cento della popolazione della Striscia sopravviveva grazie agli aiuti umanitari. A Gaza entravano una media di 500 camion al giorno. Ora, in una terra dove nessun luogo è più sicuro, privata all’estremo di ogni bene di prima necessità, l’aiuto concesso è ridotto ai minimi termini.

“Israele ha dato il via libera al passaggio di 200 tir al giorno durante la tregua – riferisce Giovanna Bizzarro, rappresentante della Croce Rossa italiana in Palestina -, un numero che rappresenta un incremento sostanziale, considerato che dal 21 di ottobre al primo giorno di tregua Israele aveva drasticamente ridotto l’ingresso, limitandolo ad una media di 47 tir al giorno”. Venerdì, il primo giorno di tregua, sono entrati a Gaza 196 camion, di cui 61 destinati al nord della Striscia. Sabato sono stati 200 i tir che hanno raggiunto il confine egiziano di Rafah. Alle ore 7 di sera erano 187 quelli effettivamente entrati nell’enclave. Questi i numeri degli aiuti consegnati a tutti gli operatori umanitari. Oltre alla merce nella Striscia sono stati trasportati, dopo che l’introduzione ne era stata vietata per svariati giorni, anche 129 mila litri di carburante, fondamentale, in particolare, per il funzionamento delle strutture sanitarie ancora operative, anche se in condizioni altamente critiche. Già all’inizio del conflitto, Israele ha infatti colpito l’unica centrale elettrica della Striscia, “portando gli ospedali al collasso, costretti ad utilizzare i generatori alimentati a carburante”.

Il flusso delle merci in entrata è rallentato da una logistica alquanto complessa. Per la verifica del materiale ci vogliono infatti in media dalle 12 alle 15 ore. “I tir vengono caricati in un grande complesso logistico ad Al-‘Arīsh, capoluogo del Governatorato del Sinai del Nord, in Egitto. La merce viene quindi trasportata a Rafah, dove viene data la priorità a determinate merci su altre. I beni finali selezionati vengono poi ricaricati su tir, che fanno un tragitto di oltre 50 chilometri verso la parte israeliana, il check point di Nitzana, dove le merci vengono ricontrollate. Infine, i tir ritornano a Rafah (ripercorrendo il tragitto di 50 chilometri in direzione opposta) dove attraversano il confine, ammesso e non concesso che nel frattempo non si sia fatto buio, fatto che determina il rinvio dell’ingresso al giorno successivo, e che ci sia il via libera di Israele per l’attraversamento”, spiega Bizzarro. Un processo molto lungo e difficoltoso e che dal 21 ottobre, da quando Israele ha nuovamente permesso l’ingresso a Gaza di aiuti umanitari, per una media di soli 47 camion al giorno.

Fra le categorie di merci, la priorità è stata data agli articoli per lo svernamento: indumenti più pesanti per far fronte alle temperature rigide, materassi, coperte, tende e teloni plastificati per isolarne il fondo. “Il 70 per cento dei beni che sono entrati finora (tra venerdì e sabato, ndr) sono cosiddetti non food items”, specifica la rappresentante della Croce Rossa, “Si stanno poi facendo entrare beni alimentari, in particolare cibo e acqua e i “nutrition”, come il latte in polvere per i neonati. Ci sono infine le forniture mediche”.

Prima dell’inizio dell’escalation le infrastrutture mediche erano 36. Ora, con i due ospedali principali a Nord di Gaza fuori uso, al-Quds e al-Shifa, e le strutture al centro e al Sud costrette da più di 10 giorni a “rendere operative solo determinate sale, come le unità di terapia intensiva”, la popolazione palestinese fa fronte ad una situazione sanitaria estrema con le poche forze rimaste. Se le merci stanno rifluendo con più intensità, infatti, altrettanto non si può dire degli operatori. “Fino ad ora sono entrati soltanto sei operatori del Comitato di Croce Rossa internazionale, con varie specie specializzazioni. Si tratta per la maggior parte di chirurghi di guerra e di un paio di persone che sono dei contamination Weapons Expert, quindi degli esperti di contaminazione, proprio perché si parla di bombe al fosforo che sono state utilizzate. I sei sono rimasti un paio di settimane per poi ripartire e ne sono entrati altri sei”, dice Bizzarro. “Per fortuna si sta riuscendo a far uscire almeno alcuni civili feriti tramite il valico di Rafah. C’è stato il primo trasferimento di persone ferite a seguito dell’evacuazione dell’ospedale di al-Shifa. 28 neonati sono stati trasportati fuori dal Paese. Ma ogni giorno c’è un numero di persone che sta uscendo dal dal confine e che si spera venga curato insomma in vari posti comunque nel Medio Oriente quindi non solo Egitto”.

Al momento, il personale della Croce Rossa Internazionale presente su Gaza è costituito da soli 23 operatori, suddivisi tra chirurghi ed esperti di logistica e management. Per quanto riguarda il personale palestinese, in particolare per la Mezzaluna Rossa (Prcs), dall’inizio delle ostilità stanno lavorando sul campo circa 1.000 persone: 251 volontari delle Emergency Medical Services, gli operatori di pronto soccorso sulle ambulanze e 600 tra medici e infermieri. Parallelamente agiscono sul territorio anche altre unità come quelle di Medici senza frontiere e il personale del Ministero della salute. Durante queste prime 7 settimane di conflitto sono state attaccate 22 squadre di soccorso, mettendo fuori uso 55 ambulanze. Le vititme fra il personale sanitario ammontano a 205 persone.

L’inverno e la situazione degli sfollati

Sono un milione e mezzo le persone che risultano sfollate all’interno di Gaza. Per la maggior parte si tratta di cittadini che si sono dovuti spostare da nord al centro o al sud. “In questo momento si sta parlando anche soprattutto di dover potenziare i cosiddetti shelter sia di UNRWA. Si stanno cercando dappertutto dei magazzini per lo stoccaggio dei materiali che arrivano e proprio per consentire alle persone di prendere rifugio all’interno dei magazzini esistenti i materiali in consegna da Rafah vengono immediatamente distribuiti per lasciare lo spazio necessario all’interno delle strutture”, spiega la rappresentante.

ll supporto, non solo attraverso l’invio di merci, sta arrivando da molti Paesi del mondo ed è di diverso tipo. Si va dalle donazioni alle Ong al pagamento di una e-Sim card per le comunicazioni, attivate senza la necessità di comprare la carta fisica. Anche gli aiuti operativi sono in crescita. “Si stanno preparando in background una serie di team specializzati al fine di fornire un supporto immediato nel momento in cui ci sarà il via libero all’ingresso di persone nella striscia”, dice Bizzarro. L’aiuto avviene anche da remoto: “Ci sono tanti che stanno provando ad offrire supporto per quello che si può dal punto di vista, per esempio di mapping IDP. Si tratta di trovare gli sfollati interni, quindi tutta la popolazione che si è spostata. Di molti si sono perse le tracce ed è anche difficile poter portare aiuti se non si sa dove sono le persone. Quindi c’è una serie di esercizi che vengono condotti dagli operatori in loco, con il supporto di specialisti esterni che li aiutano a creare queste mappe”.

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