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Per curarsi verso il Nord vale 4,25 miliardi. Trionfa la sanità privata

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Per curarsi verso il Nord vale 4,25 miliardi. Trionfa la sanità privata

GIMBE, SANITÀ PUBBLICA REDAZIONE DOTTNET | 16/01/2024 20:40

Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto raccolgono il 93,3% del saldo attivo, l’attrazione di pazienti provenienti da altre Regioni. Smi: “Con l’autonomia differenziata penalizzati i pazienti, i medici, i sanitari e il diritto alla salute”

Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto raccolgono il 93,3% del saldo attivo, l’attrazione di pazienti provenienti da altre Regioni. Smi: “Con l’autonomia differenziata penalizzati i pazienti, i medici, i sanitari e il diritto alla salute”i

E’ sempre più fuga per curarsi dal Sud al Nord dell’Italia, ma nei dati c’è lo ‘zampino’ del Covid. Nel 2021, la mobilità sanitaria interregionale in Italia ha raggiunto un valore di 4,25 miliardi di euro, ben il 27% in più di quella del 2020 (3,3 miliardi), “anno in cui l’emergenza pandemica Covid-19 ha determinato una netta riduzione degli spostamenti delle persone e dell’offerta di prestazioni ospedaliere e ambulatoriali”. Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto raccolgono il 93,3% del saldo attivo, cioè l’attrazione di pazienti provenienti da altre Regioni, mentre il 76,9% del saldo passivo (la ‘migrazione’ dei pazienti dalla regione di residenza) si concentra in Calabria, Campania, Sicilia, Lazio, Puglia e Abruzzo.

Lo sottolinea la Fondazione Gimbe nel report sulla mobilità sanitaria 2021.  “La mobilità sanitaria – spiega il presidente Nino Cartabellotta – è un fenomeno dalle enormi implicazioni sanitarie, sociali, etiche ed economiche, che riflette le grandi diseguaglianze nell’offerta di servizi sanitari tra le varie Regioni e, soprattutto, tra il Nord e il Sud del Paese. Un gap diventato una ‘frattura strutturale’ destinata ad essere aggravata dall’autonomia differenziata, che in sanità legittimerà normativamente il divario Nord-Sud, amplificando le inaccettabili diseguaglianze nell’esigibilità del diritto costituzionale alla tutela della salute”. Ecco perchè in occasione dell’avvio della discussione in aula al Senato del ddl Calderoli, continua Cartabellotta, “la Fondazione Gimbe ribadisce quanto già riferito nell’audizione in 1a Commissione Affari Costituzionali del Senato: la tutela della salute deve essere espunta dalle materie su cui le Regioni possono richiedere maggiori autonomie”. La Fondazione ne spiega le motivazioni: la gravissima crisi di sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale che impedisce di mettere in campo risorse per colmare le diseguaglianze in sanità; l’indebolimento ulteriore del Sud in seguito alle maggiori autonomie già richieste da Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, che invece potenzieranno le proprie performance sanitarie; le Regioni del Sud che essendo tutte (tranne la Basilicata) in Piano di rientro o commissariate, non avrebbero nemmeno le condizioni per richiedere maggiori autonomie in sanità.

La spesa

I viaggi degli italiani in cerca di cure sono aumentati: il dato era di 3,33 miliardi nel 2020. Il 76,9% del saldo passivo si concentra in Calabria, Campania, Sicilia, Lazio, Puglia e Abruzzo. Per Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, siamo di fronte a “un fenomeno dalle enormi implicazioni sanitarie, sociali, etiche ed economiche, che riflette le grandi diseguaglianze nell’offerta di servizi sanitari tra le varie Regioni e, soprattutto, tra il Nord e il Sud del Paese. Un gap diventato ormai una “frattura strutturale”, destinata ad essere aggravata dall’autonomia differenziata”.

Aumenta il divario

Il gap tra Regioni del Nord e del Sud è sempre più ampio, come dimostrano anche i dati sugli adempimenti ai Livelli Essenziali di Assistenza (Lea).  Le maggiori autonomie già richieste da Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto potenzieranno le performance di queste Regioni e, al tempo stesso, indeboliranno ulteriormente quelle del Sud, anche quelle a statuto speciale, sostiene il presidente Gimbe. Un esempio fra tutti: una maggiore autonomia in termini di contrattazione del personale, rischia di provocare una fuga dei professionisti sanitari verso le Regioni in grado di offrire condizioni economiche più vantaggiose. A fronte di tutto ciò, le Regioni del Sud non avranno alcun vantaggio: essendo tutte (tranne la Basilicata) in Piano di rientro o addirittura commissariate come Calabria e Molise, non avrebbero nemmeno le condizioni per richiedere maggiori autonomie in sanità. “Risulta ai limiti del grottesco la posizione dei presidenti delle Regioni meridionali governate dal Centro-Destra, favorevoli all’autonomia differenziata. Una posizione autolesionistica – dice Cartabellotta – che dimostra come gli accordi di coalizione partitica prevalgano sugli interessi della popolazione”.

Dove vanno gli italiani per le cure

Nel 2021 il valore della mobilità sanitaria ammonta a 4.247,29 milioni di euro. Se guardiamo le mete, c’è qualche sorpresa: Lombardia (18,7%), Emilia-Romagna (17,4%), Veneto (12,7%) raccolgono quasi la metà della mobilità attiva, ma un ulteriore 25,6% viene attratto da Lazio (9,5%), Piemonte (6,8%), Toscana (4,9%) e Campania (4,4%). Il rimanente 25,6% della mobilità attiva si distribuisce nelle altre 14 Regioni e Province autonome. “I dati documentano una forte capacità attrattiva delle grandi Regioni del Nord e, con la sola eccezione del Lazio, quella estremamente limitata delle Regioni del Centro-Sud”.

Da dove partono

Sono tre le Regioni con maggiore indice di fuga, che generano debiti per oltre 300 milioni di euro ciascuna: in testa Lazio (12%), Lombardia (10,9%) e Campania (9,3%), che insieme compongono quasi un terzo della mobilità passiva. Il restante 67,9% della mobilità passiva si distribuisce nelle rimanenti 18 Regioni e Province autonome. In questo caso i dati “documentano differenze più sfumate tra Nord e Sud. In particolare, se quasi tutte le Regioni meridionali hanno elevati indici di fuga, questi sono rilevanti anche in 4 grandi Regioni del Nord che presentano un’elevata mobilità attiva. Una conseguenza della cosiddetta mobilità di prossimità, determinata da pazienti che preferiscono spostarsi in Regioni vicine con elevata qualità dei servizi sanitari”. In dettaglio: Lombardia (-€ 461,4 milioni), Veneto (-€ 270,3 milioni), Piemonte (-€ 253,7 milioni) ed Emilia-Romagna (-€ 239,5 milioni).

Il divario

Se guardiamo i saldi, si conferma la “frattura strutturale” tra Nord e Sud, visto che le Regioni con saldo positivo superiore a 200 milioni di euro sono tutte del Nord, mentre quelle con saldo negativo maggiore di 100 milioni tutte del Centro-Sud. In dettaglio:

Saldo positivo rilevante: Emilia-Romagna (€ 442 milioni), Lombardia (€ 271,1 milioni) e Veneto (€ 228,1 milioni)
Saldo positivo moderato: Molise (€ 43,9 milioni)
Saldo positivo minimo: Piemonte (€ 12,2 milioni), Toscana (€ 9,2 milioni), Provincia autonoma di Trento (€ 1,4 milioni), Provincia autonoma di Bolzano (€ 0,4 milioni)
Saldo negativo minimo: Friuli Venezia Giulia (-€ 7,6 milioni), Valle d’Aosta (-€13,6 milioni)
Saldo negativo moderato: Umbria (-€ 31,2 milioni), Marche (-€ 38,5 milioni), Sardegna (-€ 64,7 milioni), Liguria (-€ 69,5 milioni), Basilicata (-€ 83,5 milioni)
Saldo negativo rilevante: Abruzzo (-€ 108,1 milioni), Puglia (-€ 131,4 milioni), Lazio (-€ 139,7 milioni), Sicilia (-€ 177,4 milioni), Campania (-€ 220,9 milioni), Calabria (-€ 252,4).

Le prestazioni

L’86% del valore della mobilità sanitaria riguarda i ricoveri ordinari e in day hospital (69,6%) e le prestazioni di specialistica ambulatoriale (16,4%). Il 9,4% è relativo alla somministrazione diretta di farmaci e il rimanente 4,6% ad altre prestazioni (medicina generale, farmaceutica, cure termali, trasporti con ambulanza ed elisoccorso).

La sanità privata

“Il volume dell’erogazione di ricoveri e prestazioni specialistiche da parte di strutture private varia notevolmente tra le Regioni ed è un indicatore della presenza e della capacità attrattiva delle strutture private accreditate, oltre che dell’indebolimento di quelle pubbliche”, nota Cartabellotta.Infatti, accanto a Regioni dove la sanità privata eroga oltre il 60% del valore totale della mobilità attiva – Molise (90,5%), Puglia (73,1%), Lombardia (71,2%) e Lazio (64,1%) – ce ne sono altre dove le strutture private erogano meno del 20% del valore totale della mobilità: è il caso di Valle D’Aosta (19,1%), Umbria (17,6%), Sardegna (16,4%), Liguria (10%), Provincia autonoma di Bolzano (9,7%) e Basilicata (8,6%).

Le prospettive

I flussi economici della mobilità sanitaria scorrono storicamente da Sud a Nord, in particolare proprio verso le Regioni che hanno già sottoscritto i pre-accordi con il Governo per la richiesta di maggiori autonomie. E oltre la metà del valore delle prestazioni di ricovero e specialistica ambulatoriale è erogato dal privato accreditato, ulteriore segnale d’indebolimento della sanità pubblica. Questi dati “confermano un gap enorme tra il Nord e il Sud del Paese, inevitabilmente destinato ad aumentare se verranno concesse maggiori autonomie alle più ricche Regioni settentrionali”. Il rischio insomma è quello di dare in questo modo “il colpo di grazia al Servizio Sanitario Nazionale”. Che già non se la passa bene.

Il commento dello Smi

L’autonomia differenziata rappresenterà il punto di svolta per lo stato sociale così come  lo abbiamo conosciuto fin adesso Italia. Si correrà il rischio concreto che non sarà più garantita l’esigibilità dei diritti e l’accesso alle prestazioni sociali e sanitarie  in modo uniforme in tutto il Paese, a dispetto di quanto prevede della nostra  CostituzioneIn questo provvedimento, il sistema sanitario è finanziato regionalmente: le entrate vengono raccolte e utilizzate solo all’interno della stessa regione, non più distribuite su tutto il paese. Ciò comporta che le risorse necessarie per l’assistenza dipendono dalla capacità fiscale specifica di ogni territorio, non più dalle effettive esigenze sanitarie e di salute della popolazione. Quello che viene a mancare è un vero e proprio meccanismo di solidarietà, uno strumento per mitigare, ridurre e prevenire le disuguaglianze sulla salute delle persone”.

Senza  criteri  veramente solidali e centralizzati, tenuto conto di tutte le debolezze che le regioni hanno mostrato nella lotta al Covid , le risorse pubbliche per i LEA (ovvero le entrate regionali e le integrazioni dello stato) non saranno in grado  di soddisfare i bisogni di salute differenziali della popolazione. Dati alla mano, nel 2021 il finanziamento per il Mezzogiorno è risultato inferiore del 7% rispetto alla media del Centro-Nord, secondo alcuni centro studi, mentre le persone in cattiva salute sono aumentate specie nel Centro-Sud”, precisa Onotri.

“Per quanto riguarda la contrattazione integrativa regionale per i dipendenti del SSN, si mette in atto una concorrenza fra Regioni che provocherà un ulteriore trasferimento di personale nelle Regioni più ricche, determinando un aumento della mobilità interregionale, in particolare dal Sud al Nord con un incremento delle diseguaglianze. L’autonomia differenziata  reintrodurrebbe, di fatto,  le gabbie salariali e metterebbe seriamente a rischio la contrattazione collettiva a livello centrale”.

“In sanità  si legittimerà il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute. Peraltro proprio quando il Paese ha sottoscritto con l’Europa il PNRR, il cui obiettivo trasversale è proprio quello di ridurre le diseguaglianze regionali e territoriali, si  rompe, invece,  con ogni idea di equa distribuzione delle risorse  e si arriverà allirreversibile frammentazione del Servizio Sanitario nazionale.  Facciamo appello, infine,   a tutti i colleghi, ai cittadini, all’associazione dei malati, ai sindacati  della categoria medica, affinché si realizzano nel Paese iniziative  che blocchino l’autonomia differenziata e rilancino il Servizio Sanitario Nazionale equo, universale e pubblico”,.

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