di Luigi Campanella, professore emerito nell’Università La Sapienza di Roma
La rivoluzione biotecnologica degli anni 70-80 è nata da un lato come reazione alle attività industriali pesanti del boom e dall’altro come primo segnale dell’esigenza di prestare attenzione alle risorse rinnovabili che la natura ci mette a disposizione. La chimica verde ha ricevuto una spinta ed un supporto dalle biotecnologie che sono proseguiti ben oltre lo sprint iniziale della suddetta rivoluzione. Con gli anni 2000 sia biotecnologie che chimica verde hanno perso parte del loro valore economico schiacciate fra i costi bassi della manodopera nei Paesi dell’Est e dell’energia nel Mondo Occidentale. Come risultato la Chimica Europea ha perso molto dello smalto che l’aveva contraddistinta. Oggi per recuperare le posizioni di prevalenza del tempo passato, è necessario che Biotecnologie e Chimica Verde basandosi sul capitale umano di cui dispongono si aprano a nuovi settori, anche mettendo a frutto ricerche nate e sviluppate in altre sedi. Uno di questi settori è certamente quello dei Beni Culturali così congeniale alla cultura europea ed in particolare a quella italiana. Attività nate in ambito ambientale ed energetico hanno così sviluppato innovazioni di processo e di prodotto che devono trovare anche nel campo dei Beni Culturali la loro applicazione. Il mondo del restauro e della conservazione ha così compreso il potenziale di innovazione che ne poteva scaturire sia sul piano della sicurezza del lavoro sia su quello della sostenibilità ambientale, spesso con ricadute anche di natura economica. Questo processo di sensibilizzazione è però lento e con questa proposta si intende contribuire alla sua accelerazione.
L’esigenza è quella di identificare e portare a conoscenza degli operatori dei BBCC (restauratori, archeologi, architetti, storici dell’arte ecc.) materiali e metodi innovativi che possano garantire ottimi risultati sull’opera senza costituire un rischio per essa, per i restauratori e l’ambiente.
Durante le diverse fasi di restauro o manutenzione, è infatti spesso necessario fare uso di sostanze chimiche, ad esempio i solventi organici, caratterizzati da una certa tossicità per la salute umana o di resine sintetiche non ecocompatibili o ancora di reagenti volatili e tossici. L’uso senza adeguate protezioni di questi materiali ha fatto crescere il numero di patologie fra i restauratori, che ormai sono spesso classificati fra i pazienti di malattie professionali. La natura e le biotecnologie mettono a disposizione composti e metodi operativi che possono incidere positivamente sulla finalità anzidette. In particolare, possono essere estratti da matrici vegetali composti idonei per restauro privi di qualsiasi azione tossica per chi li maneggia. Tale sostituzione, laddove possibile realizzata, determinerebbe oltretutto una maggiore sicurezza nello smaltimento dei rifiuti prodotti durante le operazioni di restauro. Il corretto smaltimento di questa tipologia di rifiuti rappresenta infatti un problema di non poco conto per l’operatore e spesso avviene in maniera non adeguata, con ulteriori danni all’ambiente ed a persone anche estranee ai laboratori di restauro.