I papà italiani sono i più vecchi d’Europa
Nature, ANDROLOGIA REDAZIONE DOTTNET | 19/03/2024 16:36
Andrologi, con l’età che avanza si riduce la qualità del seme
Diventare papà per la prima volta è un’esperienza che gli uomini italiani continuano a spostare sempre più avanti nel tempo, più di quanto si faccia in altri Paesi europei. I più recenti dati Istat evidenziano, infatti, che in Italia si diventa papà mediamente a 35,8 anni, mentre in Francia a 33,9 anni, in Germania a 33,2. Un uomo su 3 supera persino questa soglia, risultando ancora senza figli oltre i 36 anni. Evidenze scientifiche dimostrano però che le caratteristiche funzionali dello spermatozoo – motilità, morfologia e anche i danni al Dna – peggiorano con l’aumentare dell’età. A ciò si aggiunge che con l’età aumenta il tempo di esposizione agli inquinanti ambientali esterni, come le microplastiche che hanno dimostrato essere un problema per la fertilità maschile. Questo il quadro tracciato in occasione della Festa del Papà dagli esperti della Società Italiana di Andrologia (Sia).
“In Italia l’età in cui si fa il primo figlio è aumentata di 10 anni, passando dai 25 anni della fine degli anni ‘90 ai circa 36 attuali. La nostra società sta assegnando alla riproduzione un ruolo tardivo dimenticando che la fertilità, sia maschile che femminile, ha il picco tra i 20 e i 30 anni e la potenzialità fecondante del maschio è in netto declino. Bisogna insegnare ai giovani l’importanza di una fertilità sana al momento giusto, e che va preservata. È fondamentale sfatare il mito dell’uomo fertile a tutte le età. Gli esperti mettono in guardia anche sulle probabilità che i figli sviluppino problemi di salute a breve e lungo termine.
È ormai scientificamente accertato che l’aumento dell’età paterna comporta una diminuzione lineare di alcuni parametri del liquido seminale, come la diminuzione del volume seminale, di numero, motilità e morfologia degli stessi con una conseguente riduzione del tasso di gravidanza spontanea, correlato soprattutto al numero di spermatozoi mobili totali presenti nell’eiaculato. Oltre a questo aspetto quantitativo, con l’aumento dell’età paterna si ha un incremento delle alterazioni qualitative degli spermatozoi, spesso non routinariamente indagate nell’esame del liquido seminale, ma che sono un’importante causa di infertilità. Una di queste alterazioni è la frammentazione della doppia elica del DNA degli spermatozoi, visibile con test detto, appunto, di frammentazione. Questa alterazione è dovuta a un aumento dei radicali liberi nel liquido seminale, il cosiddetto stress ossidativo e dal punto di vista pratico può comportare una diminuzione della fecondazione ovocitaria, un incremento del tasso di abortività femminile e, quando si effettuano programmi di fecondazione in vitro, una diminuzione dell’impianto embrionario. È molto importante, inoltre, diagnosticare questa alterazione perché oggi siamo in grado di contrastarla o attraverso l’uso di sostanze antiossidanti o direttamente in vitro, utilizzando sistemi di selezione degli spermatozoi sani da quelli frammentati.
Un’altra alterazione che si sta evidenziando in questi ultimi è che, a mano a mano che l’età paterna si alza, il grado cosiddetto di metilazione del DNA spermatico si altera o, meglio, si modifica. Questa alterazione epigenetica potrebbe essere alla base dell’incremento nel nascituro di patologie neurocomportamentali come la schizofrenia e l’autismo. Tale patologia, però, si verifica soprattutto quando si ha un’età superiore ai 40/45 anni. Consideriamo che le maggiori società scientifiche definiscono un’età paterna avanzata al di là dei 40 anni, un limite di età che riguarda, infatti, anche i donatori di liquido seminale. Gli uomini che ritardano la paternità, soprattutto dopo i 45 anni, non solo devono affrontare problemi di fertilità ma possono mettere a rischio anche la salute del neonato. Mentre si sa che per le donne dopo i 35 anni possono esserci cambiamenti fisiologici che influiscono sul concepimento, gravidanza e salute del bambino, la maggior parte degli uomini invece non è consapevole dell’impatto dell’età dovuto non solo al calo naturale del testosterone, ma anche alla perdita di ‘forma fisica’ degli spermatozoi che può portare anche a cambiamenti nello sperma che vengono trasmessi da genitori a figli nel loro DNA. È ben documentato che concepire in età avanzata comporta il rischio che il bambino nasca o sviluppi nel tempo problemi di salute”. Secondo uno studio pubblicato su Nature, ogni anno in più del padre comporterebbe un incremento di 1,51 nuove mutazioni genetiche nei figli, il 25% in più rispetto a quelle che dipendono dalla madre. Un altro studio, pubblicato sempre su Nature, suggerisce che i figli di padri anziani hanno rischio più alto di autismo e schizofrenia nei figli. In definitiva, così come la fertilità femminile, anche quella maschile, è tempo-dipendente. È dunque fondamentale sfatare il mito dell’uomo fertile a tutte le età e promuovere invece strategie di informazione, prevenzione e preservazione della fertilità maschile, cominciando dalla giovane età, poiché una volta instaurati i danni non sono reversibili.