Vai al contenuto

Il Femminismo non dovrebbe essere di parte

  • di

di Gabriella Galletti

Il Femminismo non dovrebbe essere di parte : 

-va bene per le donne bianche , occidentali, consapevoli dei propri diritti, però se trovano sulla loro strada un certo tipo di maschio potrebbero sentire molto male 

-un po’ meno per israeliane e   Palestinesi :  I rappresentanti dei palestinesi e i governi israeliani(tutti maschi ad eccezione di golda meier ) non vogliono  trovare un accordo per creare due stati e quindi andiamo avanti con attentati, guerre , odio insanabile

  -non esiste per le donne che vivono nei paesi dove vige la sharia

  • non esiste per le donne rinchiuse nelle prigioni libiche in attesa che qualcuno paghi per la loro fuga in Occidente , ammesso che riescano a sbarcare vive 

A proposito dello scambio di opinioni di ieri sera , chi ricorda (Sono passati più di nove anni ) la vicenda delle studentesse di Chibok, 276 ragazze di età compresa tra i 16 e i 18 anni, rapite in una scuola secondaria dello Stato nigeriano di Borno nell’aprile del 2014, ma Boko Haram non è stato sconfitto né sono diminuite le violenze sui civili e in particolare sulle donne

Quanti di noi occidentali hanno manifestato per loro?   

 lasciamo perdere il nostro femminismo da operetta , che tiriamo fuori solo quando accade qualcosa che tocca il nostro piccolo mondo ,   

Questo articolo è uscito sul numero 6/2022 della rivista Africa. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’e-shop 

Lacrime, incubi, insonnia. Ferite psicologiche, lesioni fisiche. Hanno la vita salva, ma non saranno mai libere dai traumi inflitti, le giovani donne, principalmente nigeriane ma anche camerunesi e nigerine, che negli ultimi anni sono state sequestrate o aggredite dal gruppo terroristico Boko Haram e da altre milizie o gruppi di banditi nella Nigeria settentrionale. Sono passati più di nove anni dalla vicenda delle studentesse di Chibok, 276 ragazze di età compresa tra i 16 e i 18 anni, rapite in una scuola secondaria dello Stato nigeriano di Borno nell’aprile del 2014, ma Boko Haram non è stato sconfitto né sono diminuite le violenze sui civili e in particolare sulle donne.

Terroristi spietati
, il collettivo #BringBackOurGirls si è fatto notare fino ai vertici delle Nazioni Unite, ma il fenomeno dei rapimenti delle donne e delle ragazze continua a flagellare il nord della Nigeria e tutta l’area transfrontaliera in cui la milizia islamica si è consolidata. Boko Haram è un’organizzazione terroristica jihadista attiva nel nord della Nigeria dal 2003. Alcuni la definiscono setta: è nata dalla predicazione di Mohammed Yusuf, formatosi in Arabia Saudita, che denunciava la corruzione dello Stato nigeriano e strumentalizzando le divergenze tra sud e nord del Paese – quest’ultimo non trae beneficio dai proventi petroliferi. La radicalizzazione del movimento è avvenuta tra il 2009 e il 2011. 
L’incarcerazione di Yusuf non ha fermato il movimento, passato nelle mani di Abubakar Shekau nel 2010. La morte di Shekau è stata annunciata diverse volte negli ultimi anni, ma non ha mai avuto conferma. In ogni caso non ha arrestato il calvario delle donne.

Bambina kamikaze
Aisha, 20 anni, è una di queste giovani vittime. All’età di 16 anni è stata rapita da uomini di Boko Haram. Per aver rifiutato di sposare uno dei suoi aguzzini, è stata costretta a indossare una cintura esplosiva e portata nei pressi di un check-point militare.  «Avvicinati il più possibile e aziona la cintura», le fu ordinato. Aisha non ci riuscì e si arrese invece alle forze armate. Anna, foto…, invece aveva solo 10 anni quando l’hanno presa i terroristi. Per anni è stata costretta ad assistere e a partecipare ad attacchi e uccisioni. Stessa sorte per Fatou, presa nella morsa di Boko Haram cinque anni fa, quando ne aveva solo 12. Doveva essere una “bambina kamikaze”, ma è riuscita a fuggire prima dell’ultimo sacrificio.
Soltanto pochi mesi fa, l’operazione di salvataggio Hadin Kai del comando delle Forze armate nigeriane ha tratto in salvo due delle ragazze di Chibok tuttora in mano ai rapitori. Si trovavano nella foresta di Sambisa, il c dei terroristi.

Schiave sessuali
Nell’estremo nord del Camerun, dove Boko Haram regolarmente effettua incursioni violente e spesso letali, l’attivista Marthe Wandou si occupa di difesa dei diritti delle donne. Attraverso la sua associazione, Aldepa (Action locale pour un développement participatif et autogéré) fornisce sostegno psicologico e sociale alle vittime di Boko Haram, aiutandole anche a ritrovare un’autonomia economica con attività di formazione. «Molte di loro pensano che vivere non sia più possibile. Sono state costrette al matrimonio, trasformate in schiave sessuali», racconta. Le fa eco la scrittrice camerunese Djaïli Amadou Amal, da anni in prima linea nel denunciare i soprusi dei jihadisti subiti dalle donne, che parla delle violenze sulle donne come «arma di guerra» e narra un episodio accaduto in un villaggio del Camerun settentrionale nel 2019. «I miliziani non erano soddisfatti del bottino rubato, non era abbastanza. In quel caso, non se la sono presa con gli uomini, ma hanno tagliato le orecchie delle donne». 

Combattenti volontarie 
In Niger, dove Boko Haram ha esteso le sue ali nella regione meridionale di Diffa, alcune donne si sarebbero unite a Boko Haram nella speranza di trovare un marito all’interno del gruppo. Lo riferisce un rapporto dell’Iss (Istituto studi sicurezza), secondo cui in diversi casi le donne si sono arruolate volontariamente nelle file di Boko Haram per motivi religiosi e ideali, compreso il desiderio di impegnarsi nel jihad. Sono casi che appaiono comunque minoritari, contrariamente a una voce popolare che attribuisce un posto preponderante alle motivazioni religiose nei meccanismi di arruolamento delle donne.
Il ricorrente impiego di donne come kamikaze da parte di Boko Haram in Niger aumenta la loro visibilità nelle funzioni operative. Si dice che siano addestrate alle armi da fuoco e al tiro con l’arco per fornire supporto durante le operazioni militari. E sono utilizzate in missioni kamikaze. Sebbene la maggior parte dei casi documentati di missioni suicide perpetrate da donne siano sotto costrizione, si dice che alcune si offrano volontarie. Per fuggire dal gruppo, per raggiungere il coniuge morto in paradiso o per convinzione religiosa.

I nomi delle donne citati nell’articolo sono di fantasia per proteggere l’identità delle vittime.

(Visited 9 times, 1 visits today)

Lascia un commento