PERCHÉ IL BOICOTTAGGIO DELLE UNIVERSITÀ ISRAELIANE È UN DANNO PER L’ITALIA
Le ricerche si sposteranno in altri Paesi e i nostri studiosi non potranno attingere alla fonte primaria. E ciò accresce il rischio di una fuga dei talenti Remy Cohen *
N ei giorni scorsi si è scritto e reagito molto sul tema della libertà di parola nelle università italiane e soprattutto sul boicottaggio delle università israeliane e l’interruzione dei programmi di ricerca con le università israeliane. Argomenti che sono scaturiti a seguito del bando di ricerca Italia-Israele pubblicato dal ministero degli Esteri e della Cooperazione internazionale. Il Senato accademico dell’università di Torino ha scelto di accogliere la sospensione degli accordi di collaborazione con le università israeliane. Altre università hanno avuto delle posizioni ambigue senza esprimersi apertamente a favore della salvaguardia e indipendenza della ricerca scientifica e della collaborazione con Israele.
Ma quanti hanno letto il bando e gli argomenti di ricerca proposti? Credo pochi, per cui serve riportarli.1.Tecnologie per la sanità dei suoli e dei terreni (fertilizzanti innovativi, Impianti per il suolo, studi sul microbioma del suolo e terreni).2.Tecnologie dell’acqua compreso il trattamento dell’acqua potabile, il trattamento dell’acque reflue ed industriali; processi di desalinizzazione.3.Ottica di precisione, tecnologie quantistiche ed elettroniche per nuove frontiere di ricerca ed applicazioni come il rilevamento di nuove generazioni di rilevatori di onde gravitazionali. Questi tre macro-temi sono nell’agenda del governo italiano e riguardano, ad esempio, le iniziative di cooperazione internazionale lanciate dal governo stesso. Si pensi al piano Mattei per l’Africa e al contributo e ai benefici che la ricerca sui suoli e sull’acqua potrà portare alle popolazioni soggette a frequenti carestie,siccità o a inondazioni improvvise che distruggono i raccolti. La Banca Mondiale e l’Unione Africana raccomandano tra l’altro di aumentare la produttività delle risorse agricole in Africa investendo in irrigazione e meccanizzazione, e investendo in ricerca agricola (sementi più resistenti ad esempio) 1% del Pil agricolo (attualmente attorno allo 0.4%). Sfruttamento dei terreni e gestione delle risorse idriche sono quindi temi fondamentali per uno sviluppo sostenibile sia in Italia che in Africa o nel Medio Oriente.
Il tema dell’acqua e dell’erosione delle terre ci riguardaprofondamente, visti i dissesti idrogeologici a cui assistiamo in Italia quasi ogni anno. Inoltre, le nostre adesioni a criteri Esg e di salvaguardia climatica non possono che favorire la ricerca sulla salvaguardia e il controllo delle risorse idriche e incentivare la ricerca nei processi di desalinizzazione, per favorire la nostra agricoltura, essendo il nostro un Paese circondato dai mari.
Infine, la ricerca scientifica sulle onde gravitazionali e la ricerca sui sensori quantistici aprono la strada alle nuove frontiere nel campo dell’astrofisica, con ricadute per esempio sulla biomedicina, con nuove applicazioni nel campo della risonanza magnetica nucleare avanzata, che permetterà di analizzare molecole infinitamente piccole attualmente non rilevabili. Campi di specializzazione estremamente promettenti e ricercati.
Ma il bando specifica anche che il 50 per cento dei fondi sarà di competenza del governo italiano e l’altra metà del governo israeliano e i fondi saranno devoluti direttamente alle istituzioni o a ricercatori nazionali. Non sottoscrivere quindi l’accordo, significa diminuire i fondi per i nostri ricercatori: fondi che, come sanno bene le nostre università, sono estremamente centellinati.
Le ricerche evidenziate nel bando, se non fatte con l’Italia, saranno fatte sicuramente con altri Paesi in cui i programmi di ricerca con Israele sono attivi, come gli Stati Uniti, l’Inghilterra, la Cina o l’India. I nostri ricercatori, interessati a questi temi, saranno portati a operare con le altre istituzioni che operano con Israele e quindi ad accedere alle stesse ricerche e conoscenze ma da una posizione meno previlegiata, non potendo attingere a una fonte primaria. E questo aumenterebbe il pericolo che questi giovani scelgano di trasferirsi all’estero per beneficiare di fondi di ricerca e accedere a programmi di ricerca di avanguardia.
Quello che non hanno capito le università che contestano la cooperazione con gli atenei israeliani è che il boicottaggio contro le università israeliane danneggia soprattutto l’Italia e i nostri giovani ricercatori che devono consolidare le loro conoscenze per competere in questi nuovi settori di grande specializzazione in cui Israele è all’avanguardia. Non chiudiamo la porta al futuro dei giovani italiani. *Università LUM G.Degennaro© La Repubblica