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Sanità al 6,3% del Pil: il più basso dal 2017, le cifre del Governo sono superate

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Sanità al 6,3% del Pil: il più basso dal 2017, le cifre del Governo sono superate

Fnomceo, SANITÀ PUBBLICA REDAZIONE DOTTNET

Anelli (Fnomceo): “La salute è priorità strategica per lo Stato. Per ogni euro investito nel Ssn se ne ricava 1,8”

I finanziamenti al sistema sanitario nazionale si fermano, nel 2024, al 6,27% del Pil: il livello più basso dal 2007 ad oggi e molti punti sotto l’incidenza sul prodotto interno lordo di Francia e Germania. È il Sole 24 Ore, nella Giornata mondiale della salute, ad aggiornare il dato tenendo conto delle nuove stime Istat che hanno rivisto al rialzo le dimensioni del pil italiano. La cifra assume ovviamente un notevole peso politico nei giorni in cui sullo stato della sanità sta andando in scena l’ennesima battaglia tra governo e opposizioni. Per capire chi abbia ragione non basta guardare ai numeri assoluti, ovvero i 136 miliardi di euro del Fondo sanitario nazionale 2024 che – rileva il quotidiano economico – sono 13,9 in più rispetto a quanto stanziato nel 2021 (+11,4%). Occorre innanzitutto tener conto degli aumenti dei prezzi legati all’inflazione: l’incremento cumulato nell’ultimo triennio è stato tale che, in termini reali, il sostegno pubblico al ssn non solo non è aumentato, ma è addirittura diminuito del 2,2%. È vero che in valore assoluto il finanziamento pubblico alla sanità è cresciuto con la manovra, che ha messo 3 miliardi in più per quest’anno e 4 per il 2025, ma i valori nominali contano parzialmente a fronte di uno shock inflattivo e del rialzo del Pil. Che, appunto, fa calare lo stanziamento al 6,27%. Ben lontano dal 6,8% citato qualche giorno fa a Cinque minuti su Rai 1. Solo per mantenere le risorse, in proporzione al pil, invariate rispetto al 2022, quando il Fsn valeva il 6,68%, occorrerebbe investire ben 9,2 miliardi quest’anno e 9,4 il prossimo.

Ma il problema è strutturale e si protrae da diversi anni. Mentre il sistema sanitario arranca – e mentre la popolazione invecchia e i bisogni e le tecnologie sanitarie evolvono – un Rapporto del Centro per la ricerca economica applicata in sanità di gennaio 2023 ha mostrato come la Salute sia una delle funzioni che ha visto un definanziamento maggiore (insieme all’istruzione): nel 2021, sul totale della spesa pubblica, alla Salute era destinato il 13,7% delle risorse, contro il 16,6% medio dei Paesi Eu “originari” (quelli entrati a far parte dell’Unione prima del 1995). Un calo di quasi 3 punti percentuali rispetto al 2016. In termini di copertura dei bisogni, inoltre, siamo al di sotto dei Paesi dell’Europa Orientale, mentre per quanto riguarda la spesa per la prevenzione in termini pro-capite l’Italia occupa l’undicesima posizione tra i diversi stati europei. La salute è “strategica per la nostra Repubblica” ed è “difesa dalle competenze dei professionisti e dei medici” ma oggi, dopo 45 anni di Servizio sanitario, “ci ritroviamo ancora con disuguaglianze da colmare da Nord a Sud ma anche da centro e periferia”, e l’auspicio è che “si possa ripartire ancora di più nel garantire l’accesso uguale per tutti e in tutte le strutture”. Garantire l’equità rappresenta infatti “uno dei principi essenziali del nostro sistema sanitario nazionale così come l’universalità.

Diritto individuale, ma anche un interesse della comunità.  questo “in maniera straordinaria eo – l’ha interpretato molto bene il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che ci invitò ad aprire la sfilata nel 2 giugno del 2022 come segno tangibile non solo di ringraziamento nei confronti di tutti i professionisti per lo sforzo fatto durante il Covid ma soprattutto per sottolineare quanto la salute oggi sia strategica per lo Stato”.   “Quando il Servizio nazionale mostra un un po’ di affanno è necessario sostenerlo nella consapevolezza che un sistema che si prende cura della malattia del singolo cittadino rappresenta oggi il migliore strumento per garantire la salute di tutti ma anche il migliore strumento per consentire che tutte le persone in questo nostro pianeta siano uguali davanti alla salute”.    Intanto uno studio ha dimostrato “che per 1 euro investito nel Servizio sanitario nazionale, se ne ricava 1,8. È la dimostrazione che la sanità deve essere considerata una risorsa e un motore per l’economia, non solo un costo come avviene oggi. Oggi in Italia dobbiamo fare i conti con una scarsa attrattività della professione medica, molti dei nostri migliori colleghi vanno all’estero, dove sono molto apprezzati. Poi serve più programmazione. Quest’anno nel nostro Paese andranno in pensione 15mila medici; lo si sapeva già dieci anni fa, quando però gli iscritti a Medicina furono ‘solo’ 10mila. Al contrario quest’anno gli iscritti a Medicina sono 20mila e nel 2034 i medici che andranno in pensione saranno 7mila. Se non si programma si rischia di passare dall’attuale imbuto formativo a un imbuto professionale”.     Altro punto dolente è quello riguardante gli stipendi dei medici: “In Italia sono troppo bassi, e non in linea con la media europea servono nuove risorse, ma anche la volontà di difendere il Servizio sanitario nazionale.     Il regionalismo sanitario va ripensato, in termini di uguaglianza e solidarietà. Come medici abbiamo a cuore la salute dei cittadini: serve un ecosistema equilibrato e vivibile. I nostri Ordini professionali hanno un ruolo strategico: devono anche promuovere politiche della salute e stili di vita”.

Il definanziamento ha spinto nei giorni scorsi numerose figure di rilievo del mondo della scienza a sottoscrivere un appello a difesa della sanità pubblica. Dal premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi al farmacologo Silvio Garattini, passando per il presidente del Consiglio superiore di sanità Franco Locatelli e l’immunologo Alberto Mantovani. L’appello invoca un piano straordinario di finanziamento e una maggiore valorizzazione del personale per arginare la crisi in cui versa il sistema. “Dal 1978, data della sua fondazione, al 2019 il Ssn in Italia ha contribuito a produrre il più marcato incremento dell’aspettativa di vita (da 73,8 a 83,6 anni) tra i Paesi ad alto reddito. Ma oggi – si legge nel documento – i dati dimostrano che il sistema è in crisi: arretramento di alcuni indicatori di salute, difficoltà crescente di accesso ai percorsi di diagnosi e cura, aumento delle diseguaglianze regionali e sociali“. Sotto accusa c’è proprio il forte sottofinanziamento della sanità pubblica, alla quale “nel 2025 sarà destinato il 6,2% del Pil, meno di vent’anni fa“, precisano i firmatari, tra i quali compaiono anche esperti di economia e politica sanitaria come Francesco Longo dell’Università Bocconi e l’ex direttrice generale del Ministero della Sanità Nerina Dirindin. “La vera emergenza – specificano – è adeguare il finanziamento del Ssn agli standard dei Paesi europei avanzati“, pari “all’8% del Pil”.

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