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Cambiano le regole per l’esame di ammissione alla Facoltà di   Medicina e Chirurgia

di Marina Marini*

Due recenti articoli puntano lo sguardo sulle nuove modalità per l’accesso a Medicina:

http://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=102338&fr=n

https://www.today.it/scuola/test-ingresso-medicina-2022-2023-novita.html

Tutti gli anni, verso la fine dell’anno scolastico, ricominciano sui media le polemiche sul numero chiuso per l’ammissione al Corso di Laurea in Medicina e nelle professioni sanitarie e su relativo esame di ammissione.

È bene separare però i due argomenti, quello del “numero chiuso” e quello dell’adeguatezza dei test di ingresso.

 Il termine “numero chiuso” è un termine storico, risalente al periodo tardo-rinascimentale, in cui le università iniziarono a stabilire delle quote su base etnica/geografica per l’ammissione a certi corsi di studio. Tale costume è proseguito, con modalità diverse e in misura diversa a seconda delle varie università, fini ai primi anni del secolo scorso, quando prese, almeno in Italia, forme diverse, tese a tutelare i figli della classe dirigente, privilegiando i diplomati dei licei rispetto ai giovani che avevano seguito studi diversi nella scuola superiore. Nel 1969, sull’onda delle rivolte studentesche, l’accesso a tutte le facoltà fu aperto ai diplomati di tutte le scuole superiori. La facoltà di Medicina vide improvvisamente l’”assalto” di un numero di matricole 5-6 volte superiore a quello degli anni precedenti. Le università non erano preparate a far fronte a questo incremento della popolazione studentesca e si “difesero” mettendo in atto meccanismi selettivi impliciti, classisti e brutali. D’altro canto, le risorse disponibili, sia in termini di docenti, sia di attrezzature e spazi, non erano adeguate alla domanda. 

Ci vollero 18 anni (1987, ministro Zecchino) per arrivare alla soluzione del “numero programmato” e del relativo test di ingresso. Da tale data, il numero programmato veniva stabilito di anno in anno sulla base di una concertazione tra gli ordini professionali, interessati a limitare la concorrenza, i vari ministeri interessati (che avrebbero dovuto elaborare stime delle necessità a medio termine di laureati in una data disciplina) e le disponibilità dichiarate di anno in anno dalle varie sedi, che subivano pressioni “aperturiste” da parte del Senato Accademico, del Consiglio di amministrazione e, a volte, di cattedratici che speravano di ampliare il numero dei docenti della loro disciplina, interessati per lo più all’aumento del loro potere “baronale”. Ovviamente, il numero programmato ha una sua base logica solidissima, ma purtroppo la stima dell’offerta formativa ha seguito per lo più logiche clientelari, invece di essere legata alla valutazione delle risorse disponibili e alla programmazione di eventuali risorse necessarie per l’ampliamento delle stesse, mentre le stime sulle necessità di laureati sono state clamorosamente sbagliate. Per Medicina, si aggiunga il disallineamento tra il numero dei laureati e il numero delle borse per le scuole di specializzazione, stimato all’incirca al 50% del numero dei laureati. Ovviamente, quello che mancava ero lo stanziamento dei fondi necessari. 

La pressione della pandemia da COVID-19 ha fatto sì che fosse posto un qualche rimedio alle stime della domanda. I posti programmati a Medicina sono passati da poco più di 9000 all’anno a circa 14500 e si prevede possano ancora aumentare.

Ma vi sono anche novità importanti sul test di ingresso. Questo test, indispensabile corollario al numero programmato, è sempre stato oggetto di contestazione, all’inizio per il sospetto (forse fondato?) che i quesiti non fossero custoditi con la dovuta segretezza o che le modalità di controllo al momento dell’esame avessero delle falle. Poi, uniformati a livello nazionale i quesiti e rinforzati i controlli anti-corruzione, l’attenzione si è spostata sui contenuti. E in particolare sui famigerati quiz di “cultura generale”.  Ricordo ad esempio il quiz sul nome del 7° presidente USA e quello, ancora più clamoroso, sui gusti delle granite in una famosa rivendita teverina (la “grattachecca”!).  

Veniva nel frattempo ampliato il numero dei Corsi di Laurea ad accesso programmato. In alcuni casi, come ad Ingegneria a Bologna, il test iniziale non era finalizzato a consentire l’iscrizione, ma a dare indicazioni allo studente sulla sua probabile attitudine agli studi specifici in Ingegneria. È stato così elaborato un sistema di quiz, ai quali rispondere su computer situati in un’aula didattica di qualsiasi sede universitaria. Tale sistema di test (denominato TOLC) è ripetibile, disponibile nel corso dell’anno che precede all’iscrizione all’università (quindi non necessariamente da eseguirsi i primi giorni di settembre) e comprende test in diverse discipline scientifiche, con un livello di difficoltà affrontabile da parte di studenti all’ultimo anno delle superiori. Alle risposte nelle varie materie (logica, matematica, fisica, chimica, biologia, elettronica…) viene dato un punteggio il cui peso varia a seconda del Corso di Laurea che lo studente poi sceglierà. Ad esempio, per chi sceglierà Ingegneria il peso delle domande di biologia sarà minore rispetto a chi sceglierà Agraria. Quindi, a test superato, lo studente farà i suoi conti e deciderà come proseguire gli studi, mentre le diverse facoltà saranno libere di stabilire di volta in volta dei criteri con punteggi soglia. In ogni caso, il TOLC prevede un test di comprensione di un testo scritto in italiano, il cui superamento a mio parere è fondamentale per accedere all’università. Forse anche un test che preveda una composizione in italiano (ad esempio, il riassunto di uno scritto) sarebbe opportuna, ma difficile da valutare in forma automatica. Eppure, come docente che nel corso degli anni ha letto centinaia di relazioni (e tesi) senza capo né coda, bisognerebbe insistere maggiormente, durante la formazione scolastica, sulla produzione attiva di scritti “scientifici” (ad esempio, spiegare per scritto una teoria o riassumere un semplice resoconto di un scoperta recente riportato su un giornale).

Comunque, la novità sta nel fatto che finalmente, anche per il Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia, verranno organizzati dei test di ingresso con le modalità del TOLC (e senza domande di “cutura generale”). Non posso che rallegrarmene. Certo, resta l’obiezione che la “vocazione” a fare il medico non si può giudicare con un quiz. Ma qui ci sarebbe da aprire una discussione su tale concetto di “vocazione” e sul modo di misurarla. Già assicurarsi che lo studente abbia una certa famigliarità con la Scienza e con il Metodo Scientifico è a mio parere un bel passo avanti. 

*docente di Biologia applicata nell’Università di Bologna

Il dipinto: Rembrandt – La lezione di anatomia del dottor Nicolaes Tulp  – 1632

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