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Gli abitanti invisibili

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Senza dimora: chi sono gli abitanti invisibili delle città italiane

Tempo di lettura stimato: 6 min.

di Giovanni Simioni da Orizzonti Politici

senza dimora
Un senza dimora che dorme in strada [crediti foto: Franco Folini CC BY-SA 2.0]*

Tra le tante conseguenze della crisi del Coronavirus, una delle più evidenti è l’aumento del livello di povertà. Uno degli aspetti meno indagati di questo fenomeno è l’effetto della pandemia sui contesti di deprivazione estrema, in particolar modo sul mondo dei senza dimora. 

Secondo il rapporto Caritas del 2020 su povertà ed esclusione sociale in Italia, l’incidenza dei “nuovi poveri” sul totale delle persone aiutate è cresciuta dal 31% dell’anno scorso al 45%. A questo si è aggiunto l’enorme peggioramento della qualità della vita degli abitanti della strada nell’ultimo anno. In molti casi è stato ridotto l’accesso a servizi come dormitori, mense e docce, mentre alle ronde di distribuzione di cibo e coperte è stato vietato di operare a causa delle regole di distanziamento sociale. Tutto ciò è stato accompagnato dall’emersione di contraddizioni nel nostro sistema legale, come ad esempio le multe fatte ai senza dimora durante il lockdown, contribuendo a portare il mondo di questi all’attenzione del dibattito pubblico. 

Quanti sono i senza dimora in Italia?

Possiamo avere una fotografia delle difficoltà nel gestire il fenomeno già guardando alla incompletezza dei dati disponibili

Gli ultimi dati ufficiali su scala nazionale che abbiamo risalgono al novembre 2014, quando l’Istat ha stimato 50.724 senza dimora nei principali 158 comuni della penisola. L’unica stima nazionale più recente è quella del rapporto Caritas del 2018, che stima 28.697 senza dimora, ma considera solo coloro che si sono rivolti ad un centro di ascolto dell’associazione cattolica. 

I dati Istat sono stati criticati da molti, in quanto conteggerebbero come senza dimora qualsiasi persona che si trovi in una situazione di “forte disagio abitativo”. Tra questi, anche gli abitanti di campi rom o altri che non necessariamente si ritrovano senza una sistemazione fissa o un tetto sopra la testa. Per rispondere a questo problema, nel 2008 la Fondazione Rodolfo Debenedetti ha iniziato a finanziare censimenti in collaborazione con le amministrazioni di varie città italiane, tra cui Milano (2009, 2013 e 2018), Torino (2010) e Roma (2014). 

Come si diventa senza dimora?

Le ragioni che possono portare una persona a vivere in strada sono complesse e vanno ben oltre la semplice mancanza di una casa. Nonostante la perdita del lavoro e dell’abitazione siano spesso le cause scatenanti, un tratto comune e ricorrente dei senza dimora è la rottura dei rapporti con la famiglia.

Possiamo ricollegare questo dato al concetto di “familismo forzato”: secondo quanto raccontato dal sociologo David Benassi ai microfoni di Milano Invisibile, in Italia il sistema di welfare e il mercato del lavoro funzionano in un rapporto di sussidiarietà con le strutture familiari, viste come fondamentali paracaduti sociali. In mancanza di questo tipo di assistenza informale, quello che vediamo è una tendenza per le persone in difficoltà a cadere al di fuori dei normali canali di funzionamento della società, un processo chiamato désaffiliation dal sociologo francese Robert Castel.

Secondo Giuseppe Micheli, sociologo presso l’Università Bicocca di Milano, il modo di arrivare a una condizione di senza dimora è frutto di un processo descritto come una spirale discendente. Questo corrisponde ad una serie di eventi drammatici e dal forte impatto, quali la malattia, il malessere psicologico, i lutti, o l’abuso di sostanze, e determina un progressivo sradicamento sociale. Ciò andrebbe anche a spiegare la maggiore incidenza degli uomini tra le fila dei senza dimora, in quanto le donne risulterebbero più tendenti a rimanere agganciate a reti sociali. 

Discorso a parte va invece fatto per i senzatetto stranieri. Questi, pur costituendo la maggioranza delle persone in strada, presentano caratteristiche completamente diverse rispetto ai senza dimora italiani: sono più giovani, spesso da meno tempo in strada e intrattengono contatti più frequenti con le famiglie. Le cause che li portano in questa condizione hanno più spesso a che vedere con la difficoltà nell’inserirsi nel sistema italiano, dato il complesso iter legislativo previsto dal nostro Paese per consentire la loro integrazione. La maggior parte dei migranti senza dimora si trova oggi in difficoltà a causa della mancanza di documenti quali il permesso di soggiorno, o per via delle barriere linguistiche e delle scarse reti sociali sul territorio che ostacolano il loro inserimento nel mondo del lavoro. 

Le risposte

Le caratteristiche che definiscono i senza dimora contribuiscono a rendere il fenomeno difficile da affrontare per le autorità statali. In primis, i senza dimora non sono il tipico “cliente” del welfare: è molto raro che siano loro a richiedere i servizi dello Stato, dovendo invece essere approcciati sul territorio. Questo è dovuto anche a una sfiducia nei confronti delle autorità, spesso viste come una forza ostile. È infatti comune che i senza dimora vengano trattati come un problema di decoro urbano, più che come un fallimento del nostro sistema di regolazione sociale. 

A livello nazionale le iniziative di aiuto ai senza dimora risultano essere rare e spesso poco efficaci. Recentemente, il reddito di cittadinanza ha rilassato la condizionalità sulla residenza in modo da permettere ai senza dimora di accedere più facilmente al sussidio. La misura è stata comunque dichiarata insufficiente all’inclusione sociale, benché contribuisca a provvedere un canale di sostentamento a molte persone. 

È inoltre importante tenere in considerazione il tema della residenza. Solo 2 senza dimora su 3 sono regolarmente iscritti agli uffici comunali, osteggiati dalle amministrazioni locali. Questo li priva della possibilità di lavorare legalmente, accedere ai servizi sanitari e addirittura votare. 

La maggior parte delle misure di risposta al problema dei senza dimora si concentrano piuttosto a livello comunale, dove organizzazioni statali e parastatali collaborano con organizzazioni benefiche private.

Una mostra fotografica sui senza dimora [crediti foto: Avvocato di Strada Onlus CC BY-NC 2.0]

I casi di Milano, Torino e Roma

Le città italiane presentano importanti differenze nella qualità della gestione del fenomeno dei senza dimora. 

Milano infatti è presa a modello in tutta Europa per la sua capacità di offrire servizi in abbondanza potenzialmente a tutta la popolazione di senzatetto presente sul territorio comunale. La città è riuscita a più che raddoppiare il numero di posti letto dal 2011 ad ora, come spiegato da Pierfrancesco Majorino nel corso del documentario Milano Invisibile, e risulta ora essere il maggior centro di senza dimora in Italia. 

Allo stesso tempo, Torino, che già nel 2010 riusciva ad ospitare solo il 62% dei senza dimora, non è riuscita ad adeguare le sue strutture all’aumento di persone in difficoltà. Ciò è andato di pari passo con una ostilità sempre maggiore verso i senza dimora, attraverso azioni come gli sgomberi dalle vie del centro.

Roma, d’altra parte, ha storicamente gestito male il fenomeno e già nel 2013 riusciva ad ospitare solo la metà degli homeless in strutture notturne. Questo ha avuto gravi conseguenze per coloro che si ritrovano in strada durante le notti invernali, con almeno 12 i morti solo nell’ultimo inverno.

L’emergenza sempre al primo posto

La questione dei senza dimora è estremamente complicata. Con dati dissonanti e scarsi, una demografica non avvezza alle interazioni con lo Stato e la difficoltà di creare un sistema che possa reintegrare queste persone, la tendenza è sempre quella di elaborare una risposta immediata e a carattere emergenziale, anziché elaborare piani a lungo termine. 

In questo senso, mentre la grande partecipazione di organizzazioni private ha fatto sì che i servizi primari fossero generalmente coperti ovunque, questo non è stato coordinato con un aumento dei servizi di reinserimento. Tale combinazione di fattori ha portato alcuni a temere la possibilità di cronicizzare ulteriormente il problema, senza portare a una vera e propria risoluzione. Ciò risulta inoltre particolarmente problematico dal momento in cui è stata ampiamente dimostrata l’importanza di intervenire subito per evitare i danni psico-fisici che la vita in strada può portare. 

I progetti che finora appaiono più promettenti per dare una risposta strutturale al problema dei senza dimora risultano essere quelli di Housing First (lett. “l’abitazione prima di tutto”), che propone di evitare il lungo processo di reinserimento a cui adesso sono sottoposti i senza dimora, dando loro subito una sistemazione. In particolare, l’esempio europeo più promettente è quello della Finlandia, dove questo sistema è stato impiegato per la prima volta su larga scala oltre 10 anni fa su iniziativa del governo. Da allora il numero di senza dimora è diminuito di oltre il 35%, rendendo la Finlandia l’unico Paese dell’Unione europea ad aver visto una riduzione del fenomeno.

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