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Solidarietà al Popolo YANOMAMI in Brasile

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BRASILE: DISTRUZIONE DEL POPOLO YANOMAMI A RORAIMA*

Comitato Roraima di solidarietà con i popoli indigeni del Brasile*

«È finito tutto. Non abbiamo più paracetamolo, dipirone, chinino. Non sappiamo come fare. Restiamo a guardare i bambini, occhi sbarrati, pancia gonfia per i vermi, ridotti a scheletri che muoiono lentamente. Mi asciugo le lacrime; piango tutto il giorno. Come piange il nostro popolo che vive la più grande tragedia della sua storia». Il messaggio audio è una stilettata al cuore. La voce gutturale, disperata, interrotta da singhiozzi e colpi di tosse, sembra arrivare dagli inferi. Giunge da Roraima, cuore dell’Amazzonia: 38 mila indigeni, 6 lingue, 371 villaggi su un’area di quasi 10 milioni di ettari, restituiti nel 1992 alla comunità. Il doppio della Svizzera, sconfina in Venezuela e Guyana; comprende i comuni di Boa Vista, Alto Alegre, Mucajaí e Caracaraí, Rio Negro, Barcelos e São Gabriel da Cachoeira.

Da settembre 2022 questo popolo combatte per sopravvivere senza medicine, isolato e destinato a soccombere, assediato dai «garimpeiros», illegali cercatori d’oro ingaggiati dalle organizzazioni criminali, al soldo delle «mafie dell’oro», coinvolti nel traffico di droga, armi e riciclaggio di denaro. Il presidente Luiz Inácio Lula da Silva è rimasto sconvolto, ha ordinato un’inchiesta per genocidio, un lento massacro, portato avanti nell’indifferenza dal presidente Bolsonaro e dal suo governo.

Il 70 per cento degli indigeni sono colpiti da malaria, che spinge a bere sempre più acqua, contaminata dal mercurio usato per lavare l’oro. Lo scarso cibo è avariato e provoca forti diarree e diffusione di vermi. Una catastrofe: sono morti 570 bambini. Questo dicono i messaggi inviati al Comitato Roraima di Torino, diretto dal dottor Carlo Miglietta, che è anche un noto biblista.

«L’immagine dell’indigeno Yanomami morto e steso su un tavolo – scrive l’agenzia «Sir» – richiama il “Cristo morto” di Hans Holbein il giovane, perché il popolo indigeno vive una vera “passione”». I vescovi della Regione Nord sono «sgomenti e indignati» denunciano corpi scheletrici di bambini e adulti, «frutto delle azioni genocide ed ecocide del precedente governo federale, che ha liberato le terre per l’attività mineraria e l’estrazione del legno, che distruggono la foresta, contaminano acque e fiumi, generano malattie, fame e morte». Le conseguenze sono: la distruzione degli indigeni, la devastazione dell’ambiente, l’aggravamento della situazione sanitaria. Negli ultimi quattro anni, ogni 60 ore, un bimbo sotto i 5 anni è stato ucciso da fame, dissenteria, malaria. Buona parte dei pesci sono morti, la cacciagione ha preso il largo, terrorizzata dal rumore delle scavatrici.

Gli elicotteri dell’Esercito fanno la spola: scaricano cibo, medicine, flebo, chinino, paracetamolo; raccolgono i malati più gravi arrivati con barelle di fortuna, carriole, slitte trainate a mano e li trasferiscono a Boa Vista dove l’ospedale da campo è ingolfato da casi gravi e sempre più numerosi. C’è bisogno soprattutto di acqua pulita perché quella di fiumi e torrenti è inquinata e non si può bere. Il dramma non è solo degli Yanomami, ma anche dei Munduruku e Kayapo.

Il genocidio è denunciato da: associazione «Hutukara»; Consiglio indigenista missionario, organismo della Conferenza episcopale; diocesi di Roraima; Rete ecclesiale panamazzonica; Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia. Le accuse, ben documentate, provocano sei verdetti di differenti tribunali. La Corta Suprema nel giugno 2021 ordina al governo Bolsonaro di proteggere gli Yanomami. La Corte interamericana per i diritti umani gli intima di espellere i «garimpeiros». Bolsonaro fa orecchi da mercante, se ne frega, non rispetta le sentenze, taglia i fondi per la salute.

Jair Messias Bolsonaro, il «Trump dei Tropici», come Trump, non riconosce la vittoria dell’avversario; come Trump, non assiste all’insediamento del successore. Due anni dopo l’assalto al Campidoglio di Washington, l’8 gennaio 2023 migliaia di suoi seguaci danno l’assalto ai palazzi del potere a Brasilia: Congresso nazionale (potere legislativo), Palácio do Planalto, sede del presidente e del governo (esecutivo) e Supremo tribunale federale (giudiziario). Anche i «bolsonaristi» sventolano bandiere; brandiscono cellulari per immortalare le proprie violente e infami gesta: vetrate infrante, uffici devastati, opere d’arte distrutte, muri imbrattati; profanati luoghi e simboli della democrazia che – come disse Winston Churchill – «rimane ancora la migliore tra le peggiori forme di governo». Bolsonaro – che segue il motto «Dios, Patria, Familia y Libertad» – accusa Lula di essere un «comunista»; ha un comportamento sprezzante e indegno; è sostenuto da un losco figuro come Silas Lima Malafaia, pastore neo-evangelico dell’Assembleia de Deus Vitória em Cristo e telepredicatore. Da decenni le sette protestanti degli Stati Uniti comperano a suon di dollari la fede dei poveri, e i dollari Usa finanziano le campagne abortiste nel Terzo Mondo.

I missionari della Consolata Joseph Mugerwa Marcos e Pietro Parcelli ringraziano il  Carlo Miglietta e il progetto Roraima. L’Istituto, fondato a Torino dal beato Giuseppe Allamano, sa decenni difende popoli indigeni. Il 15 aprile 2020 è morto il vescovo Aldo Mongiano, 100 anni, 5 mesi e 15 giorni; 80 anni di professione religiosa; 76 anni di sacerdozio; 44 anni di episcopato. Nasce il 1° novembre 1919 a Pontestura, provincia di Alessandria e diocesi di Casale Monferrato. Sacerdote e missionario della Consolata, lavora in Portogallo, Mozambico e Brasile. Nel 1975 Paolo VI lo nomina vescovo della prelatura di Rio Branco, dal 1979 diocesi di Roraima dove resta, paladino degli indios, fino al 26 giugno 1996 quando torna in Italia.

«Querida Amazonia, L’amata Amazzonia si mostra con tutto il suo splendore, il suo dramma, il suo mistero». Papa Francesco, con il Sinodo sull’Amazzonia (2019) e con l’esortazione apostolica (2020), ha anticipato il dramma degli Yanomami colpiti da una gravissima crisi sanitaria, alimentare e ambientale. Per Papa Bergoglio «la sorte dell’Amazzonia deve preoccupare tutti perché è di tutti». Denuncia «ingiustizia e crimine, devastazione ambientale, indigeni che subiscono asservimento, ingiustizia e crimine». Chiede di «indignarsi e chiedere perdono, di assumere la prospettiva dei diritti dei popoli, di ascoltare il grido dell’Amazzonia».

Pier Giuseppe Accornero

* www.giemmegi.org

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