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Le Case della comunità restano al palo

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Le Case della comunità restano al palo, almeno per il momento. Il monitoraggio Agenas dimostra che non c’è alcun passo avanti rilevante e che il cammino è ancora lungo. Ma andiamo per ordine: giova ricordare che nel nuovo sistema configurato dal Dm 77/2022, le case della comunità saranno il perno fondamentale della sanità territoriale. In base alle indicazioni del decreto, dovranno essere presidi fisici di semplice individuazione ai quali i cittadini possano accedere per i bisogni di assistenza sanitaria.

In questi punti, facilmente raggiungibili sul territorio, il paziente potrà trovare servizi come gli ambulatori dei medici di famiglia e dei pediatri di libera scelta. L’obiettivo è realizzare un punto di accesso univoco ai servizi sanitari, dove la persona possa essere assistita da un’equipe multiprofessionale, in grado di prenderlo in carico nelle diverse esigenze, attraverso valutazione complessiva dei suoi bisogni di natura clinica, funzionale e sociale.

Sono 1.350 quelle previste come obiettivo dal Pnrr. Tuttavia, dall’esame dei contratti istituzionali di sviluppo (Cis) stipulati dal ministero della salute con le singole regioni e province autonome, emerge che ne saranno costituite 1.430. In termini di risorse, per le case della comunità sono previsti 2 miliardi di euro dal piano nazionale di ripresa e resilienza. Finanziamenti ripartiti tra le regioni in base alla quota di accesso del 2021, con un meccanismo di ponderazione pensato per garantire al mezzogiorno almeno il 45% delle risorse. In base a questi criteri, le regioni con i maggiori finanziamenti dal Pnrr in termini assoluti per le case della comunità saranno Lombardia (277,2 milioni di euro), Campania (249,7 milioni), Sicilia (quasi 217 milioni), Puglia (177,2) e Lazio (158,5).

Tuttavia, come detto, la situazione non appare certo rosea. Secondo i dati di Agenas aggiornati a giugno 2023 che mostra ancora un evidente ritardo nella realizzazione delle strutture che dovrebbero essere il nuovo caposaldo della sanità di prossimità. Dunque  delle 1.430 previste e da realizzare entro il 2026 a giugno 2023 ne sono attive appena 187, ovvero il 13%. Nello specifico solo 6 regioni sono partite: 92 in Lombardia, 43 in Emilia-Romagna, 38 in Piemonte, 6 in Toscana, 6 in Molise e 2 in Umbria. Anche dove attive le Case della Comunità solo nel 17% dei casi sono aperte h24 7 giorni su 7 a testimoniare come di strada da fare ve n’è ancora tanta. Infatti, nel 34% dei casi sono aperte meno di giorni su 7 e con un orario di nemmeno 12 ore giornaliere.

Altra nota dolente è la presenza dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta. I mmg sono presenti solo nel 54% delle Case della Comunità attive. Ancora più scarsa la presenza di pediatri (solo il 28%). Numeri che segnalano la necessità di un intervento normativa che regoli la presenza di questi medici all’interno delle strutture. Non va meglio la realizzazione delle 611 Centrali operative territoriali (da attivare entro il 2024). A giugno 2023 ne sono state attivate 77, ovvero il 12%. In questo caso il servizio che dovrebbe gestire e smistare le esigenze dei cittadini sul territorio è stato aperto in sole 7 regioni: 36 in Lombardia, 15 nel Lazio, 9 in Veneto, 7 in Piemonte, 5 in Emilia-Romagna, 4 nella Pa di Bolzano e 1 in Umbria.

E anche per le Cot l’apertura è a singhiozzo: delle 77 attivate il 58% lavora meno di 6 giorni su 7. Infine, il monitoraggio Agenas fa il punto anche sulla realizzazione degli Ospedali di Comunità. Entro il 2026 ne devono essere attivati 434. A giugno 2023 sono funzionanti 76 OpC (il 17%) per un totale di 1.378 posti letto. In questo caso sono 10 le regioni che li hanno realizzati: 38 in Veneto, 17 in Lombardia, 6 in Puglia, 5 in Emilia-Romagna, 2 in Molise e in Abruzzo, 1 in Campania, Lazio e Liguria.

Da notare poi come in Basilicata, Calabria, Friuli-Venezia Giulia, Marche, Pa Trento, Sardegna e Sicilia al momento non sia attiva nemmeno una Casa della Comunità, un Ospedale di Comunità e una Cot. Su tutto ricordiamo pende poi la revisione del Pnrr che ha previsto un taglio di circa il 30% delle strutture da finanziare con i fondi del Pnrr. Le rimanenti strutture si dovranno in ogni caso realizzare con i fondi sull’edilizia sanitaria che però lamentano le regioni, oltre ad essere già stati impegnati per altri progetti presentano lungaggini che rischiano di dilatare ulteriormente i timing previsti.

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