di Paolo Ferraresi, presidente dei Consultori misti dell’AUSL di Bologna
Covid. I geni di Neanderthal associati a forme gravi. In anteprima i risultati dello studio Origin del Mario Negri
Lo studio Origin, in via di pubblicazione su iScience, ha messo in relazione i fattori genetici e le forme gravi di Covid-19 nella provincia di Bergamo. Remuzzi: “Tre dei 6 geni che si associano a questo rischio sono arrivati alla popolazione moderna dai Neanderthal”. Il 15% dei morti per Covid, in assenza di altre cause, potrebbe quindi essere legato a una predisposizione genetica. Bertolaso: “Nuove conoscenze per proteggere chi rischia di più in caso di nuove ondate”
14 SET – Circa il 15% dei morti per Covid, in assenza di altre cause, potrebbe essere associata alla genetica e, in particolare, avere colpito la popolazione moderna più vicina ai Neanderthal. È quanto emerge dallo studio Origin condotto dall’Istituto Mario Negri e in via di pubblicazione su iScience, che ha coinvolto la provincia di Bergamo nel tentativo di comprendere in relazione i fattori genetici e la gravità della malattia Covid-19. Lo studio, in particolare, ha potuto contare sulla partecipazione di circa diecimila cittadini, soprattutto fra coloro che vivevano nelle zone più colpite: Nembro, Albino e Alzano Lombardo.
“La cosa sensazionale – ha detto Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs, presentando i risultati nel corso di una conferenza stampa promossa da Regione Lombardia – – è che 3 dei 6 geni che si associano a questo rischio sono arrivati alla popolazione moderna dai Neanderthal, in particolare dal genoma di Vindija che risale a 50 mila anni fa ed è stato trovato in Croazia. Una volta forse proteggeva i Neanderthal dalle infezioni, adesso però causa un eccesso di risposta immune che non solo non ci protegge ma ci espone a una malattia più severa. Le vittime del cromosoma di Neanderthal nel mondo sono forse 1 milione e potrebbero essere proprio quelle che, in assenza di altre cause, muoiono per una predisposizione genetica”. La genetica, ha sottolineato Remuzzi, “ovviamente non spiega tutto, però spiega molto”.
Dallo studio è quindi emerso che alcune persone (circa il 7% della popolazione italiana) hanno una serie di variazioni dei nucleotidi (le singole componenti che costituiscono la catena del DNA) che vengono ereditati insieme e formano un aplotipo, ovvero l’insieme di queste variazioni. “Chi è stato esposto al virus ed è portatore dell’aplotipo di Neanderthal – ha quindi illustrato da Marina Noris, responsabile del Centro di genomica umana del Mario Negri – aveva più del doppio del rischio di sviluppare Covid grave (polmonite), quasi 3 volte in più il rischio di aver bisogno di terapia intensiva e un rischio ancora maggiore di aver bisogno di ventilazione meccanica, rispetto ai soggetti che non hanno questo aplotipo”.
Questa suscettibilità è collegata in particolare alla presenza di tre dei sei geni di questa regione che si trovano sul cromosoma 3: si tratta dei geni CCR9 e CXCR6, responsabili di richiamare i globuli bianchi e causare infiammazione durante le infezioni, e del gene LZTFL1, che regola lo sviluppo e la funzione delle cellule epiteliali nelle vie respiratorie, condizionando le diverse manifestazioni della malattia. Non è chiaro quale gene giochi il ruolo più importante.
Inoltre, lo studio ha identificato altre 17 nuove regioni genomiche (loci) di cui 10 potenzialmente associate a malattia severa e 7 potenzialmente associate a rischio di contrarre l’infezione
“Oggi per me è un giorno speciale”, ha dichiarato il presidente della Regione, Attilio Fontana, in occasione della presentazione. “I risultati della ricerca compiuta dal professor Remuzzi e dai suoi collaboratori dell’Istituto Mario Negri, danno una risposta, certamente non definitiva ma assolutamente importante, a uno dei quesiti che chiunque di noi si è posto nel bel mezzo della pandemia: perché alcuni contraggono il virus in modo asintomatico e altri in forma grave e ahimè talvolta con drammatici epiloghi?”.
Per Fontana, i risultati dello studio “aprono uno scenario che senza dubbio potrà aiutare ad affinare le cure e magari impedire che il virus possa mietere altre vittime nei soggetti a rischio”.
L’assessore al Welfare di Regione Lombardia, Guido Bertolaso, ha quindi espresso “gratitudine” ai ricercatori del Mario Negri, “per avere condiviso i risultati di questa esperienza straordinaria, di importanza mondiale, ma presentata qui in anteprima”.
Lo studio, ha aggiunto Bertolaso, “ci ha spiegato perché la tragedia del Covid non ha (per fortuna) colpito l’Africa come avevamo temuto. Sappiamo bene, infatti, che appena presa coscienza del dramma rappresentato da questa malattia, ci si è subito preoccupati dell’impatto che avrebbe avuto sulla popolazione africana, considerato l’impatto che aveva avuto in Italia, nonostante l’organizzazione sanitaria che abbiamo. Ci si preparata a fronteggiare un’ecatombe ma così non è stato: per fortuna i numeri del Covid in Africa sono stati molto limitati e ora possiamo capire perché. La genetica ci permette di capire quali possono essere state le differenze. La genetica ci permette di avere risposte che per millenni nessuno ha potuto avere”.
Anche per Bertolaso “queste conoscenze hanno anche implicazioni sul futuro. Questo modello, infatti, ci aiuterà, in caso di nuove ondate, a proteggere le categorie più a rischio, che non sono solo i fragili già noti, come gli anziani, ma anche chi proviene dall’uomo di Neanderthal”.
Da Ariela Benigni, segretario scientifico del Mario Negri, “un particolare ringraziamento ai sindaci di Bergamo, Alzano Lombardo, Nembro, Albino, Ranica e di molti altri Comuni, ai medici di base, alle farmacie, alle biblioteche, alle associazioni e a tutti i cittadini che si sono impegnati nella promozione dello studio. È grazie alla dedizione di ognuno di loro se oggi abbiamo raggiunto questo importante risultato”.
14 settembre 2023
I Neanderthal sono tra noi. Meglio, dentro di noi: con varianti di geni che hanno a che fare con alcune caratteristiche di capelli, unghie e pelle, e che potrebbero averci avvantaggiato in un ambiente freddo. Ma anche con varianti correlate al diabete di tipo 2, alla malattia di Crohn, alla cirrosi biliare, al lupus. Sarebbe questa l’eredità dei Neanderthal che noi sapiens ci portiamo dietro da almeno 40 mila anni. Non tutti allo stesso modo, ma chi più e chi meno: tra i più ci sono le popolazioni europee e dell’Asia dell’Est; tra i “meno” quelle africane, i cui antenati non hanno avuto occasione di entrare in contatto con gli antichi cugini che vivevano per l’appunto, in Europa e in Asia). Si stima che, in media, tra l’1 e il 4% del genoma di ogni essere umano moderno arrivi dai Neanderthal, ma si parla di un 20%, forse di un 30%, se invece si considera complessivamente tutto il materiale genetico che potrebbero averci tramandato.