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La Grande Sperimentazione

Noi abbiamo passato diversi milioni di anni ad affinare la relazione precoce madre-bambino… e appena 15 anni a distruggerla. A partire dalla 2° guerra mondiale, con un’accelerazione verso il 1960, abbiamo cominciato la più grande sperimentazione sociale intrapresa nel mondo occidentale: le madri di bambini in età prescolare e di bebè hanno cominciato a lavorare fuori casa. Ciò non ha modificato solamente la nostra cultura (credi religiosi, struttura familiare, tradizioni, abitudini alimentari, numero di figli in una famiglia, redditi familiari), ma ha trasformato anche la relazione madre-figlio e ha portato ad un modo tutto nuovo di allevare i figli. Per un bambino, il modo di imparare a diventare uomo è stato completamente rivoluzionato. Oggi siamo probabilmente l’unica specie tra i mammiferi nella quale la madre e il suo piccolo non restano insieme, inseparabili, almeno due o tre anni dopo la nascita. Chiedete ai gorilla o alle balene, scuoterebbero la testa dalla meraviglia.
(Niels Peter Rygaard)

Sia detto senza astio né senso di rivalsa… ma questa Grande Sperimentazione ha dato, col tempo, risultati devastanti. Dobbiamo ammettere che la costruzione di una mente, forse anche di un cervello dotato di equilibrio, empatia, capacità di autocontrollo e di attenzione richiede processi sottili che sfuggono alle osservazioni troppo superficiali e riduzioniste. C’è voluto tempo per vedere i frutti maturi di questa rivoluzione: i bambini di oggi sono figli della prima o addirittura della seconda generazione che ha partecipato a quel grande esperimento sociale di cui parla Rygaard, e si affacciano sul mondo con la peggior dotazione che si possa immaginare: la Grande Sperimentazione ha lasciato loro forme di attaccamento variamente disturbate, deprivazione da relazioni intime rispecchianti e rinforzanti, una vita troppo precocemente distaccata dall’ambiente caldo e rassicurante della diade madre-bambino. I risultati li vediamo ogni giorno nelle scuole, nelle case, e, purtroppo, talvolta sui giornali. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità il peso globale dei disturbi mentali continua a crescere con un conseguente impatto sulla salute e sui principali aspetti sociali, umani ed economici in tutti i Paesi del mondo.
Tra coloro che percepiscono il disastro, ognuno depreca quel che vede nel proprio ristretto campo visivo: le incapacità dei genitori, o della scuola, o l’abuso di social media o di videogame, lo scarso rispetto dello studio tradizionale, o magari i problemi con l’ortografia, la grammatica, la storia, il galateo, l’empatia, e tanto altro. E ognuno sostiene con buone ragioni che, se solo si potesse por mano a questo o quel singolo aspetto, il resto si sistemerebbe da sé.
Amiamo illuderci, evidentemente. Sistemando questo o quello non andrà a posto un bel niente, o al massimo ci andrà per pochi privilegiati. I buchi e gli ammanchi nella costruzione degli individui sono ormai troppi, e troppi i finti supporti patologici e patogeni: videogame, social media, violenza, ritiro, odio e paura. Troppo deboli, finanche deformi gli anticorpi prodotti da cultura, scuola, e perfino dalla buona volontà. Forse ce ne accorgiamo solo ora, ma non da ieri la nostra civiltà in declino ha oltrepassato il punto di non ritorno nella capacità di formare individui riusciti ed equilibrati. Ovviamente ci riesce ancora, ma sempre più spesso l’opera è incompleta o anomala sotto qualche aspetto.

Come scrisse in un suo fulminante articolo Walter Battacchi,
Chiunque osservi con occhi ingenui un bambino nei primi due anni di vita si trova davanti uno spettacolo meraviglioso: a meno che non sia gravemente carenziato o traumatizzato o ammalato, quell’esserino gli apparirà fiducioso, allegro, generoso, sincero, desideroso di conoscere e di fare. […] Come sarà quel bambino fra quarant’anni?
Non posso che avvalermi di un’inferenza induttiva probabilistica e immaginare che non sarà molto diverso, se non in peggio, dalla media degli adulti attuali, cioè statisticamente normali. Più analiticamente, sarà normalmente diffidente piuttosto che fiducioso, narcisista piuttosto che amante del prossimo, cinico piuttosto che pietoso, feroce piuttosto che mite, ipocrita piuttosto che sincero, cialtrone piuttosto che educato, ignorante piuttosto che colto. Dove è finito quel meraviglioso bambino? C’è da rabbrividire.
Marco Walter Battacchi, Per una psicologia critica dello sviluppo, Psicologia Contemporanea n.197 sett-ott 2006

Masse di individui malformati dentro, impauriti, carichi di odio e di desideri di rivalsa, afflitti da un vasto senso di perdita e di depauperamento, desiderosi, semplicemente, di agire la propria distruttività verso i più deboli. Non faticano a trovare nicchie ideologiche che diano corpo e una sorta di legittimità ai loro bellicosi moti interiori: non odiano qualcuno, odiano tutto, perfino sé stessi. Anzi, all’odio di sé sono stati educati proprio dal loro mondo, ma avvertono forse una specie di sollievo (patologico) quando qualche teorico neonazista indica loro la possibilità di odiare precise categorie di persone.
Servirebbero gesti forti che troverebbero scarso consenso. La Grande Sperimentazione ormai è realtà, e chi volesse modificarla apparirebbe un retrogrado o un reazionario. Chi volesse rendere illegali i videogiochi violenti e antisociali apparirebbe un liberticida. E così continuando.

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